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Pubblicato il 8 Aprile 2022
  • Nel discorso dello ‘sviluppo sostenibile’, ad ascoltarlo bene, sono presenti due idee di base: (a) lo sviluppo deve essere reso sostenibile, perché adesso non lo è, e però (b) può esserlo, senza metterlo in questione in quanto tale, perché il risultato è alla portata dei mezzi offerti dal progresso tecnologico. Con l’aggiunta, non di rado, che proprio l’operazione di renderlo sostenibile, visti i tanti investimenti che richiede, consente di rilanciarlo, promuoverlo, ecc. Sbagliato: questa sorta di senso comune dell’ecologia merita critiche quanto mai severe. Affinché il progresso tecnologico contribuisca al rispetto dei planetary boundaries è necessario che i suoi risultati si uniscano a trasformazioni riguardanti i fondamentali della società e dell’economia – e a un elevato livello di umiltà scientifica.
  • Per quest’ultimo aspetto, si è già detto dei rischi insiti nella logica degli interventi ad hoc, di tipo ingegneristico: tanto peggio, va aggiunto, se progettati a scala planetaria, in chiave di geoingegneria, come se il pianeta Terra fosse assimilabile a un unico, enorme ‘oggetto tecnologico’.
  • Per quanto riguarda le trasformazioni di tipo sociale ed economico, valga innanzi tutto questo principio: come nessun farmaco è esente da controindicazioni, così nessuna tecnologia manca di fare pressione sull’ambiente. Pertanto, qualsiasi tecnologia, combinata con l’insaziabile demone dell’accumulazione che anima il capitalismo, finisce inevitabilmente per toccare e superare i planetary boundaries. Affinché questo non accada, tecnologie appropriate (per esempio carbon free)devono essere impiegate in modi e quantità appropriate – il che implica che la crescita, piuttosto che oggetto di un assillo, sia materia di un atteggiamento di tipo riflessivo, richiesta che a sua volta, di per sé, ‘allude’ alla necessità uscire dalla logica del capitalismo. In chiave costruttiva, all’interno di un atteggiamento del genere:
  • il tasso di variazione del Pil non deve necessariamente assumere valori negativi, ma ‘maggiore’ cessa definitivamente di essere sinonimo di ‘meglio’;
  • in ogni caso, le sue variazioni possono e devono accompagnarsi a profondi cambiamenti dei modi di soddisfazione dei bisogni, forieri di forme più alte e più civili (secondo il principio dei co-benefits, facilmente esemplificabile sui casi del trasporto e dei regimi alimentari);
  • i problemi delle disponibilità di reddito e della partecipazione al lavoro devono essere oggetto di interventi consapevoli, di segno redistributivo, piuttosto che affidati alla fallace convinzione che maggiori quantità di crescita possano, di per sé, risolverli.
  • Il tutto, crucialmente, nel rispetto della questione che verte sulle Common but Differentiated Responsabilities: la severità con la quale le variazioni del Pil dei paesi ricchi devono essere sottoposte al vaglio della critica dipende innanzi tutto dalla condizione che quelli poveri abbiano modo di provvedere alle loro proprie necessità di crescita, possibilmente senza riprodurre lo stile predatorio già sperimentato in Occidente, ma pur sempre assorbendo flussi di energia e materia.

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