Probabilmente perché sviati dall’implicito accoglimento di una nozione assai ampia di lavoro nei documenti internazionali (la Dichiarazione concernente gli scopi e gli obiettivi dell’OIL, annessa alla Costituzione della stessa organizzazione, al Capo II, lett. a), stabilisce che «tous les êtres humains, quelle que soit leur race, leur croyance ou leur sexe, ont le droit de poursuivre leur progrès matériel et leur développement spirituel dans la liberté » e formulazioni analoghe si trovano nella Carta sociale europea) (1) e dall’andamento della stessa discussione in Assemblea Costituente, i costituzionalisti e i lavoristi italiani hanno concentrato la loro attenzione su una questione interpretativa dell’art. 1 Cost. che a mio avviso è meno centrale di quanto si sia ritenuto sinora. Certo, come si sa bene, alla Costituente ci si confrontò accesamente sulla proposta comunista e socialista di qualificare quella italiana come « Repubblica di lavoratori » e, nonostante le rassicurazioni di Basso e di Amendola, i quali avevano precisato che la formulazione non intendeva avere alcuna inflessione classista, all’esito di una complessa vicenda (2), si preferì aderire alla proposta di mediazione avanzata da Fanfani, che venne appunto recepita nel testo.
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