Foto di Engin_Akyurt da Pixabay di Maria Alessandra Panzera
Le proteste di Hong Kong hanno segnato la fine del 2019 con un’immagine che riassume lo sconvolgimento politico che ha caratterizzato l’intero anno. Un anno il cui ordine del giorno è stato infatti, protestare, in particolare per la lotta al cambiamento climatico.
Ciò che ha fermato tali disordini politici, insieme ad altre forze della vita sociale e politica comunitaria, è stato lo scoppio del tragico Covid-19, conosciuto anche come Coronavirus. I successivi metodi di adattamento e di reazione attuati da individui e governi in risposta a questo focolaio epidemico possono essere un punto di studio antropologico. Ho selezionato quelli che potrebbero segnalare un cambiamento cultura-le fondamentale e portare con sé un nuovo modo di vivere. Tali misure di adattamento e reazione condividono il comune denominatore di essere in forma digitale.
La “TedTalk” di Bill Gates, volto della rivoluzione tecnologica, vista da milioni di spettatori e che spiega nel lontano 2014 il rischio di un imminente epidemia, simboleggia probabilmente come “la tecnologia” sia un passo avanti rispetto ai governi. Ed abbia così, a differenza dei governi, la soluzione ai problemi della società.
La prima innovazione digitale che ha guadagnato notorietà in Italia è stata quella del “crowd-funding”. Con l’emergere di numerose piattaforme di crowd-funding, questo fenomeno si è velocemente diffuso. Si potrebbe sostenere che questo sia uno strumento positivo, poiché permette alle persone di contribuire direttamente alle cause individuali e collettive. Tuttavia, si potrebbe anche sostenere che possa istituzionalizzare la debolezza degli Stati nel rispondere a tali problemi, relegandoli all’iniziativa e alla responsabilità degli individui (e anche, appunto, alla tecnologia).
Il secondo metodo di adattamento al nuovo Coronavirus è la digitalizzazione del lavoro: ovvero, lo “smart-working”. Le politiche di “lavoro a distanza” stanno diventando sempre più popolari e stanno rimodellando il modo in cui lavoriamo. Gli investitori indirizzano la loro attenzione su questo nuovo settore, elogiando le startup che consentono eventi remoti. Insieme all’istruzione online, ne viene ampiamente apprezzata la semplicità, la flessibilità e la libertà (oggi sinonimo di indipendenza). Offre inoltre, nuove opportunità per interagire con un vasto pubblico ad un basso costo marginale e condividere le proprie capacità. Tuttavia, se a lungo andare i governi continuassero a relegare l’innovazione tecnologica alle imprese, e per di più, senza rego-lamentazioni adeguate, i migliori interessi delle persone potrebbero non essere garantiti e la democrazia potrebbe essere minacciata. In primo luogo, le interazioni umane naturali che si svolgono nella vita reale, a scuola o sul posto di lavoro, che consentono alle persone di scambiare liberamente opinioni, potrebbero scomparire se queste misure fossero utilizzate anche dopo lo stato di emergenza. Su Internet ciò che non assomiglia alla nostra “cronologia” viene spesso filtrato a meno che non cerchiamo attivamente qualcosa che non lo sia. Nella vita reale, tuttavia, possiamo entrare in contatto più facilmente con idee diverse dalle nostre, avere un dibattito, raggiungere un compromesso e riflettere più a lungo sui temi trattati. A differenza di quanto invece accade nei sistemi non democratici (i quali appaiono sempre più attraenti alle nuove generazioni, frequentati attivi dei social media). Inoltre, potremmo iniziare ad occuparci esclusivamente di ciò che ci riguarda più da vicino e perdere il senso di coesione e comunità che guida la richiesta collettiva di cambiamento. In effetti, questo dovrebbe essere il lavoro dei sindacati, oggi invece in difficoltà nelle “gig economy” in cui i conducenti di Uber lavorano per poche monete all’ora.
In secondo luogo, disporre degli strumenti culturali e tecnici è ciò che consente di accedere in modo efficace al regno dello smart-working. Sia in termini di impostazione che di partecipazione. Le persone che lavorano nei settori meno redditizi potrebbero essere ulteriormente escluse da questa innovazione. Ad esempio, gli operatori dell’assistenza sociale potrebbero non entrare affatto in questa scena. E che dire degli studenti che semplicemente non dispongono di una trasmissione Internet abbastanza buona per accedere all’insegnamento online? Questo non è ovviamente un problema digitale in sé. Come ho già detto, è anche (o soprattutto) politico. Ma sarebbe preferibile che lo smart-working, anziché essere l’estensione delle disuguaglianze preesistenti, fosse costruito in modo da fornire soluzioni.
Con le interazioni sociali completamente interrotte, anche i social media hanno visto un “boom” dell’uso. Sempre più persone hanno iniziato a provare nuove piattaforme per continuare a interagire tra loro. Si potrebbe sostenere che passare una quantità crescente di tempo sui social media abbia i suoi limiti. Basti pensare alla pressante questione della privacy sui dati. Tuttavia, molti hanno anche affermato che la vita sociale è migliorata positivamente, poiché le persone hanno più tempo da dedicare al parlare tra di loro tramite i social network. Forse, se tutto ciò sarebbe stato simile qualche decennio fa, soltanto con lunghe telefonate.
Essere nostalgici del passato non è mai un bene e nemmeno lo è il passato stesso. Tuttavia, il problema che ho voluto sottolineare nell’esemplificare come la tecnologia sia entrata in molte sfere della nostra vita e di come le stia cambiando è che, sebbene possa essere fantastico, deve accadere con cautela, equità e saggezza. Soprattutto in questo momento, in cui le soluzioni a breve termine sembrano le più allettanti.
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