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La sinistra riparta dalle idee e non dai leader

Pubblichiamo l’intervista di Vittorio Bonanni a Mario Tronti, presidente del Centro per la Riforma dello Stato, pubblicata sul quotidiano "Liberazione" domenica 27 Febbraio 2011
Pubblicato il 27 Febbraio 2011
Materiali, Officine Tronti, Scritti

Non ha dubbi Mario Tronti. Per il filosofo, nonché presidente del Crs (Centro per la riforma dello Stato), la sinistra in Italia se vuole tornare a contare e a riappropriarsi di un’identità che sembra svanita nel nulla deve mettere in discussione la deriva personalistica che ha coinvolto tutti, sia il Pd che la sinistra radicale.

Professor Tronti, da quando inizia questo lento ma inevitabile abbandono della forma partito novecentesca da parte della sinistra italiana? Dalla caduta del Muro di Berlino o più tardi, con l’arrivo di Berlusconi, che certamente ha imposto un modello che in tanti poi hanno voluto imitare?
La deriva sicuramente comincia nei primi anni ’90. La caduta del Muro nell’89 ha senz’altro contribuito a mettere in crisi un apparato che si reggeva molto sulle forme organizzate della politica, soprattutto a sinistra. Però io penso che la vera crisi viene dopo, ed è molto dentro anche l’anomalia italiana. Perché poi negli altri paesi non c’è stato questo grande crollo della forma partito. I partiti sono rimasti più o meno in campo, tutti ricchi un po’ della propria tradizione sia pure in tono minore rispetto al passato. Invece qui è accaduto qualcosa secondo me molto prima della discesa in campo di Berlusconi. Ci fu una summa di cause: intanto il passaggio di Tangentopoli e la crisi dei partiti italiani, soprattutto di governo ma anche di quelli di sinistra che governavano localmente. Quello è stato un momento in cui i partiti sono stati visti come qualche cosa di molto legato alla corruzione del ceto politico, ed è cominciata una vicenda sfociata poi nell’antipolitica. Una fase giustizialista che la sinistra ha cavalcato perché sembrava che andasse a proprio favore. L’altro passaggio, secondo me ancor più fondamentale, riguarda tutta la vicenda cosiddetta referendaria. Quando si è cominciato a cambiare la legge elettorale attraverso i referendum. E lì è venuta avanti l’idea che bisognasse istituire questo rapporto diretto tra cittadino sovrano e scelta di governo, senza più la mediazione dei partiti. Una vicenda molto pesante che è stata successivamente presa in mano anche dalla sinistra.
Fa riferimento al patto Occhetto-Segni?
Sì, e fu devastante. Contribuì all’affermazione dell’idea che tutti i partiti in fondo fossero corrotti, non servivano più per governare perché la governabilità veniva assicurata da una legge elettorale che doveva essere maggioritaria e in quanto tale fondamentalmente anti-partito perché li costringe a schierarsi dentro una coalizione e a scomparire dentro di essa. Tutte queste cause sommate poi hanno portato nel ’94 alla famosa scesa in campo di chi ha visto in questo vuoto creato dalla destrutturazione dei partiti una possibilità per proporre una nuova forma, populista, direttista. Da lì poi non si è più riusciti a tornare indietro purtroppo.
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