Signor presidente, colleghi senatori, se dovessi risultare sgradevole sappiate che non è mia intenzione. Vorrei ribaltare un famoso incipit dicendo che tutto fuorché la cortesia mi porta contro questa proposta di legge. Il mio dissenso comincia nel titolo, si alimenta nel testo e diventa totale sull’idea stessa di toccare la Costituzione. Per rispetto del mio partito non voto contro, ma nel rispetto dell’articolo 67 della Costituzione non posso votare a favore. D’altronde c’è già troppo unanimismo: si diffondono luoghi comuni che suonano veri solo perché vengono ripetuti con sicumera dall’inizio del dibattito trent’anni fa. Alcuni giovani parlamentari andavano ancora all’asilo, il mondo è cambiato, ma l’agenda è rimasta sempre la stessa. L’entusiasmo iniziale delle Bicamerali si è tramutato in una vera ossessione a modificare le istituzioni, una malattia solo italiana che non trova paragoni in nessun altro paese occidentale. È difficile credere che la nostra Carta sia tanto più difettosa delle altre da meritare questo accanimento terapeutico. È più probabile che il malanno dipenda dagli improbabili costituenti. Siamo chiamati a dichiarare che la revisione della Costituzione è oggi una suprema esigenza nazionale. Mi chiedo, perché? Per cosa? E in nome di chi?
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