Lo scorso 7 settembre finiva la sua avventura umana Pietro Barcellona, nella consegna serena e totale della sua anima a Dio con lo sguardo rivolto a quel suo Gesù che era tornato ad amare con la tenerezza e l’ardore di un bambino. Intellettuale, docente illustre, militante del Partito comunista italiano, alla fine era ritornato alla fede cristiana nella quale era stato educato da ragazzo. Del suo itinerario spirituale sono stato testimone in questi ultimi anni nei quali egli mi ha fatto dono della sua insperata e grande amicizia. Pietro ha fatto irruzione, infatti, in modo imprevisto nella mia vita di vecchio prete, pur piena di tante sorprese, ma che non si è mai abituata al riaccadere del miracolo dell’incontro cristiano.
In uno dei suoi ultimi libri egli scriveva: «Sin da ragazzo il mio demone mi ha spinto a una lotta incessante contro l’insignificanza degli esseri umani e del mondo circostante, contro l’indifferenza dell’universo che appare nelle notti stellate come un cielo lontano e inattingibile. Ho forse precocemente avvertito che mi era affettivamente impossibile rassegnarmi alla contingenza assoluta delle cose che mi circondavano, non perché non sentissi legami affettivi fortissimi con parenti e compagni di scuola, ma perché mi sembrava di vederli contemporaneamente presenti e in fuga verso un nulla che ne cancellava persino le ombre» (Incontro con Gesù, Milano, Marietti, 2010, pagine 152, euro 14).
Ineludibile-questione-Dio-Barcellona-VentorinoIn questa confidenza è sinteticamente espressa la molla segreta che ha spinto Pietro Barcellona a compiere il suo lungo percorso che si configura come un ritorno a casa. Tutto comincia con un’opzione per il valore dell’essere e per il senso dell’esistenza, in un rifiuto dell’assurdo, e quindi del caso o del niente come inizio e destino delle cose più belle e dei rapporti più cari. Questa posizione umana, la più ragionevole che si possa avere, dopo averlo indotto a cercare nelle forme ingenue della sua infanzia le prime fantastiche espressioni, lo ha portato in seguito a investire tutte le sue energie in quella sorta di «assoluto terrestre» che fu la rivoluzione bolscevica. Infatti è stato «il tema della solitudine cosmica e il bisogno disperato di trovare un riferimento solido al nostro pellegrinaggio vivente» (ibidem) che lo spinsero verso l’attivismo politico nel partito comunista.
Nel 1989 il crollo del muro di Berlino, che coincise con il crollo della comunità di affetti che egli si era costruito e «anche delle idealizzazioni effimere» in cui si alienavano la sua libertà e la sua creatività, lo ha esposto alla cultura del pessimismo facendogli incontrare di nuovo “il mostro” contro il quale aveva sempre combattuto. Il nichilismo si presentava adesso sotto la forma dei «nuovi saperi emergenti, che attraversano lo studio della mente» e che «ripropongono l’evoluzionismo come unica spiegazione delle metamorfosi della vita». Ci sono infatti — scriveva — «molte cose convincenti nell’evoluzionismo, ma c’è un’obiezione dell’esistenza che si ribella alla doppia contingenza del nascere per caso e del vivere per funzionare come parti di un processo che, però, può fare anche a meno di te» (ibidem). Da qui la sua lotta accorata contro questa imperante e totalizzante visione del mondo e dell’uomo.
La stessa idea di Dio, alla quale nel frattempo si era riaccostato, come condizione insopprimibile della dignità e della libertà della persona, nonché della possibilità stessa del pensiero umano (tema questo di un nostro assiduo conversare, rifluito poi in una pubblicazione dal titolo L’ineludibile questione di Dio, Milano, Marietti, 2009, pagine 120, euro 18), a poco a poco gli si era rivelata insufficiente a fondare la sua esigenza di fondo, che poi è propria del cuore di ogni uomo: un’esperienza che già nel presente mostri la possibilità di un riscatto dell’esistere dall’insignificanza.
Si chiama Dio ciò che il cuore dell’uomo brama; anche se il possesso di Dio può realizzarsi solo per dono, per “grazia”. È per questo che una visione in cui «l’umano e il divino rimangono due poli troppo distanti» non consente a ciascuno di noi di accettare il dolore e la sofferenza, le malattie e le morti premature o, peggio, le stragi e i genocidi. La storia umana non può essere compresa «senza che il divino innervi intimamente le vicende terrene degli uomini e delle donne in carne e ossa».
Ecco perché Pietro è stato affettivamente colpito dalla figura di Gesù Cristo, dal suo avvenimento: «Il Verbo incarnato, l’essere figlio dell’uomo e figlio di Dio, che assume i connotati di una persona fisica, in un tempo determinato, in un luogo preciso è assolutamente fuori anche dalla stessa attesa messianica delle scritture bibliche, è una rottura totale della continuità del tempo storico» (Incontro con Gesù). Uno stupore divenuto ammirazione e gratitudine, apertura alla possibilità di una conoscenza nuova del Mistero.
Le conseguenze che Barcellona ha intravisto di questo impensabile e gratuito avvenimento di Dio nel tempo sono di enorme portata e soprattutto si rivelano corrispondenti alle attese del suo cuore e alla sua ricerca appassionata di un fondamento adeguato, di una pienezza già da ora possibile, in grado di giustificare la vita presente con le sue gioie, i suoi dolori e le sue fatiche. Il tempo umano, infatti, nel cristianesimo è il tempo dell’incontro con il Figlio dell’Uomo, in forza del quale «l’a-temporalità dell’amore penetra nelle pieghe della temporalità mondana. L’incontro con Gesù fa esplodere anche il tempo messianico e il “qui e ora” si insinua dentro la temporalità umana». Nella prospettiva del “qui ed ora” l’amore di Gesù coincide con l’amore per qualunque altro essere umano che ne incarna il “volto crocifisso” (ibidem).
Il regno di Dio che Gesù inaugura non è la fuga nell’utopia, non è il rinvio sine die di una palingenesi di cui non si conoscono i contenuti, ma «l’iniziazione affettiva a una pratica e a un sapere trasformativi che rendono possibile il ritorno della Persona nell’orizzonte di una nuova alba». Esso è frutto dell’azione di una presenza unica, quella di Cristo, di cui non abbiamo un’esperienza diretta, ma una certezza ragionevole, fondata proprio sugli effetti che essa produce e che pertanto lo rende contemporaneo a ogni uomo in ogni epoca della storia. Per cui Pietro Barcellona poté affermare: «La contemporaneità della Persona di Gesù Cristo è dunque per me l’inizio di una vera e propria rivoluzione nei rapporti tra gli esseri umani. Come scrive Fulvio Papi, chi afferma che Gesù è il Figlio di Dio, un attimo dopo deve cambiare la propria vita» (ibidem).
Il percorso spirituale di Barcellona non è stato appena un itinerario intellettuale, ma un processo di trasformazione della sua esistenza nel quale alla verità, man mano riconosciuta, egli offriva l’adesione profonda e leale della sua libertà.
(Tratto da tempi.it)
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