È morto Pietro Barcellona, uno degli animatori di quel cenacolo di intellettuali fondato nel ’72 da Umberto Terracini, il “Centro per la Riforma dello Stato”, che trovò in Pietro Ingrao il suo più importante punto di riferimento.
Barcellona e i suoi sodali hanno sviluppato un’attività di ricerca e di elaborazione che, partendo da una rigorosa visione marxista della evoluzione della società italiana e delle sue istituzioni, ha percorso una propria, autonoma, originale strada nell’analisi e nella creazione di nuovi modelli di interpretazione della politica.
Già a metà degli anni ’80 proprio Barcellona (autore di più di 80 saggi pubblicati) si era impegnato in un’attenta critica dei sistemi di rappresentanza, individuando con anticipo e lucidità la crisi che si andava annunciando, non già delle formule politiche, ma dell’architettura stessa della nostra democrazia rappresentativa. I rapporti tra individuo e comunità, la frammentazione degli interessi dissolti in una complessità che ha messo in discussione gli schemi della sociologia tradizionale, disegnavano, nella precoce analisi del giurista siciliano, le rotture e le incertezze che hanno poi attraversato l’ultimo ventennio, in una parabola tutt’altro che conclusa.
Un esercizio che ha portato lui e alcuni suoi compagni di strada (il CRS continua la sua opera grazie all’impegno di studiosi come Mario Tronti e il più giovane Pasquale Serra) a rivedere, aggiornandoli, molti degli strumenti critici, attraverso una coraggiosa individuazione dei mutamenti in atto e delle esperienze storiche, con uno sforzo di attualizzazione non comune nel ceto intellettuale. Fino alle questioni più profonde, quelle che riguardano i rapporti con la fede e con l’immaginario.
Tutto questo, come dicevo, in tempi non sospetti, senza aspettare la catastrofe dei socialismi reali o lo stesso ripiegarsi dei meccanismi di democrazia classica. Verrebbe da dire che l’agonia politica in cui versa il nostro Paese e lo spettacolo indecente dell’avvitamento dell’intera classe dirigente, l’interminabile dibattito sulla legge elettorale, non sono che i fenomeni epigonali delle radicali mutazioni di senso individuate dal ricercatore.
Alla costante capacità di rimettersi in discussione fa da contrappunto, nell’opera di Barcellona e di chi con lui ha collaborato, un rigore metodologico ormai sconosciuto all’intera classe politica italiana. Nell’apprendere della sua scomparsa non si può che costatare amaramente che gli strumenti critici messi a disposizione dalla scuola di pensiero di cui è stato protagonista non siano però riusciti a incidere sull’operato di chi la politica l’ha praticata in questi anni. Se nei ragionamenti del filosofo non è venuta meno l’esigenza marxista di conformare sempre il pensiero a una “teoria della prassi”, chi si è assunto (arrogato?) la titolarità dell’azione si è sempre più limitato a perseguire una prassi senza teoria, circoscritta alla pura estemporaneità.
Resta solo da augurarsi che prima o poi qualcuno ritrovi la lucidità e dimostri lo spessore necessario per abbandonare tatticismi e meschine pratiche di autotutela per ridare al pensiero politico la dignità che gli è indispensabile per trovare soluzioni all’altezza dei tempi. In questo, il copioso lascito di studi di Barcellona potrà costituire un’imprescindibile punto di riferimento.
(tratto dall’Huffington Post)
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