Nel testo del d.d.l. di conversione del decreto legge sulla spending review, sul quale il Governo ha posto la fiducia, è stato infilato all’ultimo minuto dai relatori un emendamento, evidentemente su sollecitazione del ministro Profumo, che pretende di leggere l’art. 2 comma 9 della legge Gelmini come se la decorrenza dell’anno di proroga del mandato dei Rettori in carica vada riferita non all’adozione iniziale da parte del Senato accademico, ma all’ “adozione definitiva” all’esito del controllo esercitato dal Ministro entro 120 giorni. In questo modo verrebbero ad usufruire di un secondo anno di proroga un gruppo di Rettori, scaduti alla fine dell’anno accademico 2010/2011, in carica da 12 anni e più, con buona pace della legge 240/2010, che al fine di evitare il fenomeno dei Geronto-Rettori ha previsto con un voto che sul punto è stato bipartisan che i nuovi Rettori siano eletti per un mandato di 6 anni non rinnovabile. Si tratta di un fatto di inaudita gravità sia per il metodo in quanto ha introdotto nella legge di conversione un emendamento totalmente estraneo al titolo e ai contenuti del decreto legge, sia per il merito perché ha frustrato l’aspettativa democratica di una quindicina di Atenei di poter completare in tempi ragionevoli il rinnovamento del proprio sistema di governance. Ma la lettura che l’emendamento dà della legge, così come le note che il ministero ha fatto circolare nei mesi scorsi, a firma di alcuni dirigenti, contrasta palesemente con il testo della norma che collega espressamente l’anno di proroga all’adozione dello Statuto entro 6 o 9 mesi dall’entrata in vigore della legge (quindi entro luglio o ottobre 2011). D’altra parte, se si desse per buona la fantasiosa “interpretazione autentica” proposta dal Ministro, i Rettori in scadenza nel 2011, poiché ancora non vi era stata l’approvazione definitiva dello Statuto successiva ai rilievi ministeriali, risulterebbero già decaduti. Nei mesi scorsi un gruppo nutrito di professori e ricercatori di una ventina di Università ha costituito un movimento nazionale contrario alla proroga, e sono state presentate interrogazioni e interpellanze parlamentari, alle quali il Ministro non ha mai risposto di persona. In compenso egli ha impugnato, con un atto di palese disprezzo nei confronti dell’autonomia universitaria, i decreti dei Decani de L’Aquila e di Parma che, applicando la legge, avevano indetto le elezioni nell’anno accademico in corso ottenendone la sospensiva. L’unico TAR che si è pronunciato nel merito con una sentenza del 9 luglio è quello dell’Umbria, che sulla base di una lettura non solo formale, ma sostanziale della legge ha stabilito che il Rettore dell’Università di Perugia decade il 31 ottobre 2012 e ha ordinato all’Ateneo di compiere tutti gli atti necessari all’indizione delle elezioni del nuovo Rettore. Quindi l’emendamento si pone in aperto contrasto con l’unica lettura possibile della norma data da un Tribunale dello Stato e dimostra quanto fossero deboli le ragioni del Ministro sul terreno giudiziario. In sostanza quello perpetrato è un atto di arroganza del potere, compiuto per compiacere un gruppo ristretto di Rettori a scapito della futura governance dei rispettivi Atenei, sulla quale i Rettori uscenti potranno incidere nominando alcuni componenti del Consiglio di Amministrazione e il Direttore generale. Tutto ciò contrasta con la logica e con lo spirito delle buone riforme che dovrebbero tendere, se veramente fossero tali, a garantire il rinnovamento più rapido possibile delle amministrazioni pubbliche e dei loro vertici, specie quando sono in carica da tempo immemorabile. Infine l’azione del ministro Profumo si riverbera negativamente sull’intero Governo, in quanto dimostra che al suo interno vi è chi risponde non all’elettorato, come vuole la sua natura tecnica, ma agli interessi ristretti di qualche lobby o gruppo di potere. Non resta che ammettere amaramente che l’Università italiana meriterebbe qualcosa di diverso e di meglio!
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