La sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici non può più essere considerata una nota a margine dei contratti o delle lettere di assunzioni. Nessun incidente, mai, poteva essere o è stato tollerabile, oggi ancor meno. La pandemia ci ha insegnato il valore della vita umana, della vita del pianeta e la necessità di fare della salute una priorità e una responsabilità di tutti, dello Stato, dei datori di lavoro, delle organizzazioni sindacali. Per questo pensiamo sia arrivato il momento di redigere un vero e proprio Statuto della salute e della sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici.
I dati di questi primi mesi del 2021 ci consegnano una realtà drammatica, sono diminuite le ore lavorate, moltissime persone – tutti quelli che possono – sono in smart working, sono diminuiti gli incidenti in itinere e nonostante tutto questo sono aumentati gli incidenti mortali sul lavoro e gli infortuni.
Insomma, sembra quasi che sull’altare della ripresa tutto sia sacrificabile, anche la sicurezza. Probabilmente, da un lato aumenta la pressione sul produrre per cercare di recuperare le perdite, dall’altro diminuisce l’attenzione sulla salute e sulla sicurezza. Sono convinta che gli imprenditori, ma anche la politica, non abbiano mai messo realmente al centro il valore della vita umana e quindi se bisogna risparmiare, sia nel lavoro normale che ancor di più in tutto ciò che ruota attorno agli appalti, quella diventa una voce comprimibile.
Per quanto ci riguarda, lo ribadiamo per l’ennesima volta, è davvero inaccettabile. Non c’è più tempo occorre agire ora, tanto più che non solo le condizioni epidemiologiche consentono graduali riaperture delle attività economiche, ma stanno arrivando anche le risorse europee che andranno spese entro 6 anni. Però, lo sottolineo con forza, questo non può essere realizzato a scapito della sicurezza.
Per noi in ogni luogo di lavoro, nessun escluso, bisogna investire in prevenzione salute e sicurezza. Chiediamo che le risorse del Pnrr, ma anche quelle nazionali, siano condizionate al rispetto delle norme sulla sicurezza, in somma potranno andare solo a quelle aziende che avranno un “bollino verde”, sulla sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici perché il rischio vero è che con i grandi lavori che si apriranno per il rilancio del Paese, se non poniamo vincoli rigidi, gli incidenti sul lavoro aumentino ulteriormente.
Serve una patente a punti per le imprese, come strumento di controllo sulla regolarità e il rispetto delle norme sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, la legalità e l’applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro.
Dobbiamo ricordare che non sono aumentati solo i morti, ma anche gli infortuni che oltre a essere un dramma per chi ne rimane vittima e magari anche disabile, sono un costo enorme per la collettività. Ma non basta, chiediamo al governo che in ogni luogo di lavoro, senza vincoli sul numero dei dipendenti, devono esserci i rappresentati per la sicurezza. Occorre investire su queste figure sia dal punto di vista della formazione che sulla disponibilità delle ore di permesso da dedicare alle verifiche. È arrivato il momento di pensare ad una legge che istituisca queste figure anche nelle aziende più piccole.
La formazione, dicevo, non riguarda solo gli Rls, è un diritto indiscutibile per ogni lavoratore e per ogni lavoratrice. Ciò che colpisce, tra le altre cose, delle ultime vittime, è la giovane età: erano alla prima esperienza di lavoro.
Riteniamo che la formazione vada fatta prima dell’ingresso al lavoro, ogni luogo e ogni organizzazione è diversa dalle altre occorre conoscerle bene e capire quali possono essere i rischi in quelle specifiche circostanze. La stessa formazione deve essere fatta ai datori di lavoro e pensiamo debba essere vincolate per tutti quelli che si apprestano ad aprire nuove attività.
Esiste un’altra questione che vorrei sottolineare. Nel nostro Paese il termine prevenzione è stato quasi espulso dal discorso pubblico e soprattutto dalle politiche che si mettono in campo. Non si fa prevenzione rispetto all’ambiente, se ne fa poca rispetto alla salute, non se ne fa in ambito lavorativo. Occorre investire in prevenzione e in ricerca. Bisogna ragionare su come dare vita a modelli di buona impresa e a modelli di buone pratiche, tanto più che il lavoro e la sua organizzazione cambiano rapidamente.
Aggiungo che è necessario costruire una vera e propria cultura della sicurezza, non solo attraverso l’informazione e la formazione dei lavoratori e dei datori di lavori, ma coinvolgendo i giovani: occorre iniziare già almeno dalle scuole superiori. Occorre informarli e formarli sui loro diritti, devono essere pronti ad avviarsi al lavoro con la consapevolezza che la sicurezza e il contratto sono obbiettivi imprescindibili. Infine, occorre fare sul serio i controlli e farne tanti. È necessario assumere gli ispettori e far saltare il blocco del turnover: nel 2010 le Asl contavano circa 5000 addetti alle ispezioni, oggi difficilmente si arriva a 2000. Servono medici del lavoro e addetti alle verifiche. Servono subito. Lo ripeto con forza, per noi il tempo è davvero scaduto, non accetteremo che a pagare il costo della ripresa siano i lavoratori e le lavoratrici.
Abbiamo deciso unitariamente di proclamare lo stato di agitazione che ci vedrà impegnati per tutto il mese di maggio in assemblee nei luoghi di lavoro.
Il 12 l’assemblea nazionale dei rappresentanti alla sicurezza e delle RSU, 2000 persone collegate, hanno condiviso con noi il percorso che ci vedrà nell’ultima settimana di maggio nelle piazze in tutte le città con iniziative di protesta senza escludere il ricorso allo sciopero.
“Basta morti e incidenti” non deve essere uno slogan ma un obbiettivo concreto da conquistare ora. Tornare a casa per le lavoratrici e i lavoratori deve essere una certezza, possiamo e dobbiamo garantirlo.
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