Lavoro, Politica, Temi, Interventi

Da diversi mesi la CGIL e molte Associazioni, reti del civismo attivo, organizzazioni civiche e sociali hanno dato vita ad un confronto su alcuni grandi temi che riguardano il futuro del Paese.

Dopo un intenso lavoro preparatorio quel confronto ha portato a due importanti iniziative pubbliche: la prima lo scorso 7 ottobre a Piazza Vittorio sui temi della transizione ecologica, dell’innovazione tecnologica, del rilancio e della qualità del welfare pubblico; la seconda si è svolta lo scorso 14 dicembre ed ha messo in rilievo le tante criticità presenti nella legge di bilancio da poco votata dal Parlamento. Ciò che ha colpito delle due iniziative è stata l’ampia partecipazione e la qualità del confronto che si è sviluppato. Ognuna delle Associazioni ha preso parte a questo lavoro con la propria autonomia, senza nascondere le diversità di opinione e di giudizio. Anzi, proprio la consapevolezza delle diversità ha costituito e costituisce la condizione per un confronto vero e senza reticenze.

Per quale ragione organizzazioni e associazioni tra loro assai diverse hanno voluto dare vita a un lavoro comune e a un’esperienza per certi versi inedita? Le ragioni sono diverse, quelle che seguono ci sembrano le più importanti. In primo luogo c’è una consapevolezza comune. Tutti avvertiamo che il Paese sta attraversando una delle fasi più difficili della sua storia recente. Siamo infatti nel pieno di una crisi sistemica. La crisi generata dalla diffusione della pandemia minaccia la salute e la vita delle persone, ha cambiato gli stili di vita e le relazioni, ha colpito l’economia e il lavoro. A essa si aggiunge e si intreccia un altrettanto grave crisi climatica. A fronte di una situazione così grave ci sarebbe bisogno di una discussione pubblica, di un coinvolgimento del mondo del lavoro, delle reti del civismo civico e sociale, sulle opzioni e le scelte che riguardano il futuro del Paese e delle persone. Niente di tutto ciò. Il confronto pubblico langue, la partecipazione mortificata. Lo stesso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non ha avuto luoghi di confronto reale. Neanche il Parlamento è stato messo nelle condizioni di svolgere una discussione di merito. Eppure quello è uno strumento su cui si giocherà non poco del futuro del Paese. Si sceglie, così come si è fatto negli ultimi anni, di dare una veste “tecnica”, e proprio per questo indiscutibile e ”oggettiva”, a scelte che sono invece politiche. Le scelte, ad esempio, che riguardano la transizione ecologica sono politiche non tecniche. Riguardano l’indirizzo che si vuole dare al Paese. Parlare come fa spesso il ministro della Transizione ecologica al di fuori di qualsiasi confronto democratico, di nucleare e di nuove centrali termoelettriche non ha nulla a che spartire con la lotta al cambiamento climatico e con la necessità di dare vita e una nuova e diversa qualità dello sviluppo sostenibile sul piano sociale e ambientale. Oggi ci sono tecnologie che consentono di utilizzare le fonti di energia rinnovabile e costruire attorno a essa nuove filiere industriali collegate ai processi di riconversione verde. È qui che bisogna investire avendo la capacità di coniugare lavoro e ambiente. Inoltre, se davvero si vuole assumere il grande tema della transizione ecologica, ciò comporta un cambiamento profondo degli stili di vita nella parte ricca del mondo capace di ridurre i consumi opulenti e gli sprechi a cui la società induce. E questo non si realizza se non si è in grado di sollecitare una partecipazione democratica, una consapevolezza diffusa dei cambiamenti necessari per affermare un nuovo e diverso modo di produrre e di consumare, una nuova e diversa scala di valori e di convenienza. Bisognerebbe favorire, stimolare le occasioni di confronto, di partecipazione attiva. Al contrario, negli ultimi anni e ancora oggi, la politica nel suo complesso, stenta a riconoscere le organizzazioni che rappresentano il mondo del lavoro, le associazioni della cittadinanza attiva, quali portatrici di culture, di competenze, di saperi.

Sono queste considerazioni comuni che hanno portato la CGIL e molte realtà del mondo associativo ad avviare questo confronto. Abbiamo voluto dare voce a chi rappresenta il lavoro e la società civile. Relegare ai margini queste culture, questi saperi e competenze significa impoverire la qualità della democrazia, sancire una separazione tra la politica, che di fronte a problemi complessi fa un passo indietro e si nasconde dietro presunte scelte tecniche, e la realtà sociale del Paese. La piena riuscita delle due iniziative promosse dalla CGIL e dalle associazioni hanno dimostrato che c’è una volontà diffusa di riprendere la parola. Le piazze così piene di lavoratori e lavoratrici in occasione dello sciopero generale promosso da CGIL e Uil sta a dimostrare che nel Paese c’è un disagio diffuso e che a quel disagio va data rappresentanza e prospettiva. Il conflitto e la partecipazione sono il sale della democrazia, se vengono meno a risentirne è proprio la tenuta e il legame sociale del Paese.

È su queste considerazioni comuni che si è realizzato l’incontro tra CGIL e realtà del mondo associativo. E c’è una volontà comune di dare continuità a questo lavoro avviato. La CGIL in questo percorso intende impegnarsi a fondo. I grandi temi che oggi sono sul tappeto l’ambiente, l’innovazione tecnologica, la qualità del lavoro, le disuguaglianze generazionali, di genere, territoriali, la cultura di genere richiedono un cambiamento del modo di essere del sindacato, della sua cultura politica. Per noi si pone la domanda cruciale se saremo davvero in grado di ripensare la nostra nozione di sviluppo. È inutile negarlo, noi viviamo una contraddizione: quella di considerare necessario dare vita a un diverso modo di produrre e di consumare e, al tempo stesso, aver costruito la propria presenza e iniziativa dentro un modello di crescita prevalentemente quantitativa. Sta qui la grande questione con la quale dobbiamo misurarci. Il tema cosa produrre, come produrre, per chi produrre è irrimandabile. Ed è un terreno di riflessione e di iniziativa sindacale nel quale si incontrano altri soggetti, il movimento ambientalista, il movimento delle donne, le organizzazioni impegnate nel sociale, che sono decisive per costruire un nuovo profilo programmatico. E questo non è un impegno che si cala dall’alto ma comporta che vi siano soggetti e istanze collettive capaci di essere protagoniste di un cambiamento profondo nella produzione e nei consumi. Sta qui l’importanza di aprirci a nuove culture e a nuovi soggetti.

La CGIL è nel pieno della propria Assemblea Organizzativa proprio perché avvertiamo l’esigenza che se si vuole cambiare la società bisogna cambiare anche noi stessi. Inoltre, tra breve daremo avvio alla nostra discussione congressuale. Vorremmo che in questo nostro importante percorso la rete di Associazioni con le quali abbiamo fin qui lavorato desse il proprio contributo di analisi e di proposte. Ricordo che Bruno Trentin in una Conferenza di Programma della CGIL nel 1994 parlava della necessità di costituire con associazioni e movimenti degli organismi di consultazione. È un terreno di riflessione che, a maggior ragione per l’esperienza che insieme abbiamo avviato, vale la pena aggiornare e sperimentare.

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