La maledetta guerra è già fra noi, appena si tenta di articolare un giudizio, di introdurre sfumature tra il bianco e nero, arriva l’accusa di “intelligenza con il nemico”.
Anche il dibattito parlamentare italiano è avvenuto in questo clima. Vi erano alcuni parlamentari perplessi o contrari alla proposta di inviare armi all’Ucraina, per questo, avevano chiesto di poter votare separatamente questa parte della mozione, la maggioranza dell’aula ha negato questa possibilità e, quando alcuni come il Presidente della Commissione esteri del Senato, hanno di conseguenza votato contro, sono stati oggetto di accuse di alto tradimento fino alla richiesta di dimissioni.
In questo clima, chi vuole avanzare qualche perplessità o articolare un discorso, fa precedere le sue parole da dichiarazioni di condanna al Presidente russo Putin, anche se la propria storia e le proprie idee non avrebbero alcun bisogno di questa premessa ovvia e scontata; un rituale ridicolo che banalizza le stesse parole di condanna.
L’invio delle armi a un Paese in guerra è stata una di quelle novità assolute di questa crisi; lo ha deciso l’Italia, ancora più clamorosamente la Germania e altri Paesi europei. Alcuni hanno invocato l’incompatibilità con l’articolo 11 della nostra Costituzione, altri si sono chiesti se continuare ad armare esercito ucraino e soprattutto civili in una situazione di confronto bellico tra forze impari, non esponga ancora di più quella popolazione al massacro.
Si è detto che comunque servirebbe a rendere le operazioni belliche russe più difficili e a guadagnare tempo per una trattativa più favorevole; ho trovato queste motivazioni particolarmente ciniche da parte di chi sta, come noi, comodamente a casa propria, almeno per ora.
Nei miei dubbi, tuttavia, sentivo anche su di me lo stigma del tradimento fino a che questa mattina ho letto le stesse perplessità da parte di Alessandro Orsini, direttore dell’Osservatorio sulla sicurezza Internazionale dell’Università LUISS Guido Carli di Roma, il quale spiega che questa scelta rischia di non ottenere l’obiettivo di salvare vite umane e potrebbe portare a “sirianizzare” questo conflitto e cioè arrivare come accadde in Siria, alla distruzione delle città, consentendo ai civili che lo vogliano di uscire da corridoi previsti a tale scopo e poi, l’inferno su chi sceglie di rimanere a difenderle.
La mente è andata ad Aleppo e a Paola Caridi che sul suo blog “Arabi invisibili” ha scritto esattamente la stessa cosa salvo che, ci ricorda, di quella tragedia non è importato nulla a nessuno, neanche una parola di compassione. Anche lì i bambini scappavano con piccoli giocattoli nelle mani e chi li bombardava era lo stesso Putin; poi, una volta arrivati ai nostri confini, o li abbiamo respinti, o li abbiamo rinchiusi in campi orribili come quello di Lesbo, salvo qualche famiglia fortunata che ha potuto utilizzare i corridoi umanitari accordati a S. Egidio.
Questa volta, anche in questo campo, le cose sono cambiate: le porte di Polonia e Ungheria sono aperte ma, attenzione, non per tutti, infatti, gli africani, asiatici, etc., che si sono trovati intrappolati nel Paese non ricevono la stessa accoglienza ma vengono ignorati e lasciati a se stessi.
Qualche eco di questa questione l’abbiamo ascoltata anche nel dibattito nel Parlamento italiano dove, più di un esponente della destra ha tenuto a sottolineare che questa volta ci troviamo di fronte a “veri” profughi. In ogni caso la mozione è stata approvata a larghissima maggioranza.
Nelle stesse ore il Parlamento Europeo, convocato in seduta straordinaria, affrontava lo stesso dibattito. Particolarmente coinvolgente è stato l’intervento in video conferenza del Presidente Zelensky e significativa l’ovazione che ha ricevuto dall’aula. Anche in questo caso la risoluzione è stata approvata a larghissima maggioranza: 637 favorevoli, 13 contrari, 26 astenuti. Il punto più saliente è quello che chiede che le istituzioni dell’Unione “si adoperino per concedere all’Ucraina lo status di Paese candidato all’adesione all’UE in linea con l’art.49 del Trattato dell’UE e sulla base del merito”.
Questa vicenda ha aperto più questioni che meritano di essere affrontate.
Innanzitutto, come sostenere le sanzioni mantenendo la stessa coesione che si è raggiunta nel deliberarle. C’è chi parla, a questo proposito, di tener conto nel Patto di stabilità, del differente impatto che esse avranno sulle diverse economie.
In secondo luogo, la questione energetica e ambientale che andrebbero affrontate con coerenza se non vogliamo tradire gli impegni già assunti sull’abbattimento delle emissioni.
Il grande numero di rifugiati dovrebbe, poi, portare finalmente alla revisione della Convenzione di Dublino, cominciando dall’accordare la “protezione temporanea” per poi arrivare ad una vera riforma.
Vi è, poi, il grande capitolo della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) che dovrebbe essere oggetto di una vera e propria ridefinizione. Fino ad oggi la difesa Europea si è identificata con la Nato. Anche in questa crisi, seppure si trattasse di due Paesi non membri Nato (Ucraina e Russia), la parola l’ha avuta sempre il Segretario generale della Nato Jean Stoltemberg, fino a sovrapporsi sia a Macron che a Scholz nei loro tentativi di comunicazione con Mosca. Tutto ciò, oltre a essere irritante, non è più accettabile.
Questo dibattito è urgente e deve essere condotto in modo trasparente e democratico anche perché esso è legato alla decisione di aumento delle spese militari che l’Italia e, per la prima volta, la Germania hanno annunciato come conseguenza di questa crisi; tutto questo, insieme agli effetti delle sanzioni, avrà un effetto sui bilanci nazionali ed europeo.
Inoltre, è il momento per l’Unione europea di darsi una identità che vada oltre l’economicismo e il mercatismo che la contraddistingue nel mondo. Si dice retoricamente che l’Europa progredisce grazie agli shock esterni, questo non è del tutto vero altrimenti non ci troveremmo così sguarniti di fronte alle nuove e più impegnative sfide di questo tempo. Ricordo che contemporaneamente alla caduta del Muro di Berlino, si negoziava il Trattato di Maastricht sulla moneta mentre la Nato iniziava la sua politica di allargamento ad est.
Il Presidente Prodi ha sempre sostenuto che la moneta fosse imprescindibile, sia economicamente che simbolicamente, per tenere insieme l’Unione, questo può essere vero ma dimostra che agli appuntamenti con la Storia questa Unione europea è stata ed è sempre un passo indietro.
Infine, sulla questione della prospettiva di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea si può constatare innanzitutto che essa non è in conflitto con la richiesta di Mosca circa la sua neutralità, al contrario, essa potrebbe far parte di un negoziato “onorevole” qualora la situazione non precipitasse ulteriormente.
C’è da dire, però, che il modello di transizione andrebbe completamente rivisto nel senso che bisognerebbe iniziare dalle riforme politiche, istituzionali e democratiche e poi, solo dopo l’adesione, perfezionare i dossier economici e quelli sul mercato interno. Questo eviterebbe quel calvario ultradecennale che ha sfiancato le motivazioni iniziali dei tanti popoli, soprattutto dell’est europeo, che guardavano all’Europa con entusiasmo e si sono ritrovati nel pantano delle regolamentazioni del Mercato Unico, fino ad arrivare al paradosso di percepire sullo stesso piano le riforme per costruire un solido Stato di diritto, con le norme sugli ascensori e le spine elettriche.
Speriamo di essere ancora in tempo per tutto questo e, soprattutto, di riuscire a fermare questa terribile guerra per aprire un capitolo nuovo.
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