La Buona scuola è una riforma mancata. E’ questa la critica più benevola, e insieme più severa. Scrive così Walter Tocci, che nella sua qualità di membro della Commissione parlamentare ha partecipato alla discussione sulla legge per la scuola del governo Renzi. Oggi, giovedì 3 dicembre, a Roma, alle 17:30, presso l’ITIS Galileo Galilei in Via Conte Verde 51 vicino alla fermata Manzoni della metro A, si terrà la presentazione del libro “La scuola, le api e le formiche. Come salvare l’educazione dalle ossessioni normative”. Si discuterà della condizione attuale del sistema educativo italiano, degli errori passati e delle prospettive future. Con l’autore ci saranno Gianni Amelio, Tullio de Mauro e Simona Flavia Malpezzi, con Saul Meghnagi a coordinare. Qui la scheda del libro La recensione di Federico Nastasi Il libro di Tocci, prima di leggerlo, l’ho visto comporsi pagina dopo pagina. Ho avuto un punto di osservazione privilegiato come revisore delle bozze, ed è stata una bella lezione di scrittura e di ricerca. E di politica. Non è un saggio sulla scuola, né è un pamphlet politico. E’ un testo nato durante la battaglia sulla Buona Scuola che nella scorsa primavera ha impegnato l’autore tra i banchi parlamentari, in posizione dialettica rispetto alla maggioranza del suo partito. Mesi di grande polemica, con una marea montante di critiche che riempiva internet e il dibattito pubblico, sfociata poi nella prima vera mobilitazione contro le politiche del governo Renzi, il grande sciopero del 5 maggio. Lo stesso Renzi ha poi ammesso gli errori. Errori di comunicazione, si è giustificato. Tocci ha proposto allora la mossa del cavallo, per spiazzare critici e sostenitori e bloccare il conflitto: assumere i centomila insegnanti e riaprire il dialogo con la scuola in un clima più sereno. Una decisione generativa, lo spirito del suo libro. Il testo all’inizio era una sorta di manuale per smentire i falsi miti del racconto mediatico: l’efficienza di mercato applicata ai presidi che scelgono gli insegnati, il premio in denaro ai professori più bravi, “l’autonomia scolastica” come panacea per i mali e i ritardi del sistema. Nella sua posizione di primo piano di contrasto alla legge, Tocci è diventato un riferimento per chi si è sentito tradito dal PD. Il risultato è stato un flusso di osservazioni, proposte e idee da tutto il Paese. Sono seguiti altri scritti e interventi parlamentari. Il libro è rimasto nella tasca della giacca, come un diario di battaglia da compilare nelle pause. E il diario è diventato un dialogo a più voci col mondo della scuola, una bussola che ha segnato il cammino nella battaglia politica e lo ha portato alla decisione di non votare la fiducia al Governo sulla riforma. Nei mesi di lavoro parlamentare l’autore ha girato le piazze, ascoltato i presidi, i sindacalisti, gli studenti e gli insegnanti, il mondo vitale. Ha raccolto frammenti di storie, e di straordinarie esperienze quotidiane, mentre il dibattito pubblico somigliava a un inferno caotico è andato a trovare i veri riformatori, che spesso vivono ai piani bassi. Leggendo si scopre la storia di Armando Vitale – ex preside di un liceo di Catanzaro – e del suo progetto Gutenberg, un laboratorio di lettura critica che oggi coinvolge quarantadue scuole in Calabria. Si ritrova il «capolavoro silenzioso» della scuola italiana capace di accogliere e istruire ottocentomila studenti figli di migranti (erano duecentomila nei primi anni 2000). Non è un elenco di buone pratiche, è la realtà lontana dal clamore, il risultato raggiunto in assenza di una politica nazionale adeguata. Vi si ritrova il primo compito assegnato ai riformatori, portare in alto ciò che è nato in basso. L’alto e il basso, gli ultimi due punti di riferimento dopo la scomparsa di destra e sinistra, secondo la fulminante vignetta di Altan. Nel libro ogni nota apre una pista che una volta intrapresa condurrà talmente lontano da dimenticarsi il punto di partenza. Lasciare la strada principale per infilarsi nelle viuzze secondarie, sentieri in salita o ripide discese: è il consiglio di lettura, e l’approccio politico che descrive meglio l’autore. Cosi facendo, ci troviamo negli Stati Uniti di Ronald Reagan, quando viene pubblicata una relazione sullo stato della scuola in America, redatta dalla National Commission on Excellence in Education. Nella pubblicazione, A Nation at Risk, si legge: «Se una potenza nemica straniera avesse tentato d’imporre all’America il livello mediocre di prestazioni scolastiche che conseguiamo ora, probabilmente saremmo stati indotti a considerare un simile gesto come un atto bellico (…)». L’impatto di questa relazione fu fortissimo e portò alla nascita delle valutazioni internazionali dei sistemi scolastici come le conosciamo oggi. A raccontarne le conseguenze è uno dei più grandi esperti al mondo di sistemi di valutazione dell’istruzione, l’italiano Norberto Bottani, ingiustamente sconosciuto al grande pubblico in patria. Lungo un altro viottolo, si può incontrare Giovanni Ferretti, fine studioso di Dante e Leopardi, primo grande direttore del Ministero dell’Istruzione, che tentò di portare nell’Italia liberata la pedagogia progressista di Dewey e della scuola americana. Non trovò consenso tra i governi repubblicani la sua idea di abolire il Ministero della Pubblica Istruzione e demandarne le responsabilità agli uffici regionali e periferici, una radicale autonomia scolastica troppo in anticipo per i tempi. Un discorso pubblico qualificato, un progetto politico ambizioso deve avere consapevolezza del proprio tempo e delle esperienze precedenti. L’idea di un tempo che finisce e ricomincia ogni volta che si spegne il proprio computer è la debolezza delle manovre politiche odierne, l’illusione di agire al di fuori del tempo. Riappropriarsi della storia, conoscere chi ci ha preceduto, è il secondo dei compiti da aggiungere al manuale dei riformatori. C’è poi un altro compito, il più sovversivo: la rivolta semantica contro l’uso distorto delle parole di questo tempo. Nel libro si sceglie di usare preside e non dirigente scolastico, scuola media e non scuola secondaria di primo grado. Ma la parola più importante è riforma. «Oggi non fa più presagire un’emancipazione, annuncia nuove sciagure. Bisogna redimere questa parola e portarla nell’educazione, per indicare il cambiamento necessario: prendersi cura della scuola come mondo vitale». Qual è il compito di una riforma che si prenda cura della scuola? Quali i compiti della scuola nella società? Assolvere al compito costituzionale di rimozione delle diseguglianze (fortissime nel Mezzogiorno come ci ricorda lo studio più volte citato di Trigilia e della Fondazione Res). Una vera riforma della scuola deve bloccare lo spreco delle competenze – il paradosso italiano di avere pochi laureati e poca domanda di lavoro qualificato – e aggredire la crisi cognitiva che impedisce all’Italia di trasformare la sua economia dal manifatturiero all’immateriale.Questioni eluse dalla legge. La Buona Scuola è una riforma mancata per le sue scarse innovazioni e per la sfiducia che alimenta. Una vera riforma della scuola può nascere solo da una decisione generativa. La decisione è la vera ossessione dell’autore, che ne parla diffusamente anche nel suo libro precedente, Sulle orme del gambero (Donzelli editore). Leggendolo mi è tornato in mente Sofri ne Il nodo e il chiodo (Sellerio editore): si parla di divisioni del mondo e quindi anche di unità. Il gesto di Alessandro a Gordio, che risolve con lo stratagemma della spada l’enigma del nodo, lascia il dubbio che il tagliar corto nasconda un non saper fare altrimenti. Sofri racconta di una donna armena che in un solo giorno aveva annodato diciannovemila nodi di tappeto e di Aracne che sfida Atena nell’arte della tessitura, e della sua metamorfosi. Un chiodo rompe irreparabilmente, un nodo intreccia e si scioglie ripristinando le cose com’erano. Per Tocci, la decisione generativa è critica e superamento della decisione che taglia; le cose migliori della storia nazionale sono venute quando i riformatori politici hanno aiutato altri riformatori che nella società già stavano realizzando qualcosa di nuovo. Le riforme della scuola nella Seconda Repubblica si sono limitate a interventi dall’alto che hanno prodotto un’alluvione di regole. Negli anni Settanta le sperimentazioni di Don Milani, Mario Lodi, Bruno Ciari crearono una nuova cultura didattica per i giovani insegnanti, diffusero le buone pratiche; le amministrazioni locali le sostennero e i partiti ne fecero un obiettivo nazionale. Solo dopo arrivarono le norme per generalizzare l’innovazione nata nel corpo sociale. L’ultimo monito è quello che conclude il libro. Un invito a imitare la sapienza e la lungimiranza di due comunità operose presenti in natura: le formiche che curano la buona vita in comune e le api che scrutano curiose nuovi paesaggi per arricchire gli alveari. Sono gli esempi da seguire per i riformatori che verranno. Federico Nastasi
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