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La contraddizione dentro

Nella Premessa al suo ultimo scritto, La contraddizione dentro, pubblicato postumo da Laterza, Franco Cassano scrive che l’ha pensato come un “tentativo di interpretazione autentica” intrapreso nel momento in cui “il corpo è sempre più un ostacolo”. Pur sapendo che non può essere un’interpretazione “veritativa” poiché “la vita e la storia di chi scrive è altro dalla scrittura” ed è solo attraverso il fraintendimento che “si può essere intesi e rivivere nell’altro” e non essere dimenticati1.

In queste brevi frasi ritrovo la radicalità femminista del “partire da sé” per trascendere il vissuto, senza rimuoverlo. È grazie al movimento mai acquietato della differenza che gli essere umani possono comunicare, restando diversi.

Per Cassano la contraddizione dentro è un’esperienza che non può essere elusa o risolta. Al contrario, bisogna stare nel fuoco tra “tener fede ai propri valori e la necessità di tradirli per apprendere”. Né tra quelli che non apprendono neppure di fronte all’evidenza; né tra quelli che si adattano a tutto e glorificano il ‘nuovo’2.

Mi sono soffermata su queste parole perché racchiudono una precisa visione, vorrei dire lo stile filosofico con cui Franco Cassano guarda il rapporto che i soggetti vivono e come interpretano se stessi, gli altri e le altre, la realtà. In particolare Cassano ritiene che la sinistra non praticando la “contraddizione dentro” è incapace di parlare ai diversi popoli del mondo; si muove tra due linguaggi, entrambi inutilizzabili: quello del suo passato e quello dei vincitori.

Dopo l’Ottantanove. La guerra e la missione della sinistra

Questo severo giudizio è formulato con nettezza, e poi ragionato, in uno scritto straordinario, per la vicenda ed il tema che affronta. Mi riferisco a La sinistra missionaria, relazione al convegno “La polveriera” tenutosi a Bari nel 20003. Fin dal titolo Cassano assume la guerra in Kosovo, sostenuta da governi di sinistra, come spartiacque. E ci mostra l’immagine della ”sinistra del futuro”, immagine confermata nella realtà presente. Per comprendere la portata dell’evento, le sue le ragioni di fondo c’è bisogno innanzitutto di una discontinuità teorica: “Non c’è nessun discorso da riprendere ma molti da cominciare”4. Prendo a riferimento questo testo perché anticipa la riflessione di Senza il vento della storia5, ancorandola a un evento, quello della guerra Nato in Kosovo, particolarmente significativo nel contesto attuale contraddistinto dalla guerra in Ucraina. In entrambi i conflitti infatti la sinistra, italiana ed europea, è coinvolta, fatta eccezione per alcune minoranze.

La guerra è legittimata come “guerra giusta” in nome della difesa dei valori “universali”, ovvero quelli della civiltà occidentale. È proprio questa motivazione “idealistica” che per Cassano rivela il mutamento culturale, e conseguentemente politico, intervenuto nella sinistra: la sua rinuncia a parlare e coinvolgere l’ampia e complessa realtà del mondo. È un paradosso solo apparente che proprio l’appello ai valori universali segnali un restringimento geografico della sinistra, la sua “regionalizzazione” nei paesi più ricchi e più sviluppati che la conduce a “un’identificazione acritica del progresso dell’umanità con l’espansione dell’Occidente”. Un giudizio prossimo a quello formulato da Jean Baudrillard dopo l’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001: “È inaccettabile che la modernità possa essere rinnegata nella sua pretesa universale. Che non appaia come l’evidenza del Bene (…) è un crimine contro il pensiero unico, contro l’orizzonte consensuale dell’Occidente”6.

Lucidamente Cassano individua nel crollo del comunismo – non solo dei regimi dell’Est – la causa dello squilibrio che investe l’intero ordine mondiale. Caduto uno dei pilastri che determinava non solo i rapporti di forza tra i due blocchi, ma quelli interni all’Ovest e, soprattutto, tra le diverse aree del pianeta, l’Occidente perde la sua variante messianica e radicale e si riduce a un solo polo, quello del capitalismo liberale. L’universalismo occidentale adesso ha una sola forma e, diversamente da prima, ha un solo segno: “Quello dell’universalismo del mercato e della globalizzazione”7. E la sinistra occidentale racchiusa in questo recinto lo fa proprio, fino a ricorrere alla guerra umanitaria, sotto la guida della Nato, per affermare la supremazia dell’Occidente.

Dietro la motivazione idealistica dei valori la guerra ripropone le ragioni realistiche degli Stati nazionali, degli interessi economici e militari di controllo su popoli e territori.

Per la sinistra di governo, intenta ad adottare politiche moderate, in nome e ragione delle compatibilità dettate dal neoliberismo, la guerra del Kosovo è stata “una splendida occasione (…) di rifarsi una verginità progressista e internazionalista”, con la “missione umanitaria”8. Oggi in Ucraina, come ieri in Kosovo; anzi più di ieri, considerato che la missione assume il rischio del ricorso al nucleare.

La riduzione opera non solo rispetto alla complessità del mondo, assumendo come nemico ogni forma di alterità, non riducibile alla propria misura unilaterale/universale. È la stessa pluralità interna, le differenze che attraversano l’Occidente a essere annullata. A cominciare dall’Europa fatta coincidere con la Ue come area geografica e come identità culturale e politica, ignorando le differenze di tradizioni, di storie, d’identità politiche che la compongono, a cominciare da quelle di lungo periodo che determinano vere e proprie “linee di faglia”, come quella tra cristianità d’Oriente e d’Occidente, tra cattolici e protestanti, e tra cristiani e mussulmani. Tutte emerse dietro e dentro lo “scontro di civiltà” nella guerra dei Balcani, come nelle altre guerre del dopo Ottantanove.

L’Europa della Nato

A sua volta l’Ue è ridimensionata a “fianco orientale” della Nato che registra già nel nome, North Atlantic Organization, la preminenza del Nord-ovest9. In questo quadro osserva Cassano, l’Italia è particolarmente mortificata, non potendo in alcun modo avvalersi dei suoi rapporti di prossimità e contaminazione con il Sud del Mediterraneo10. Ricordiamolo, la guerra in Kosovo è condotta dalla Nato, ovvero dentro il quadro, che ho sommariamente riassunto, che ha fatto da riferimento nel progressivo allargamento della Ue a Est. La parte di Europa che ha avviato e gestito l’unificazione ritiene che vi sia “una sola Europa” alla quale devono uniformarsi i diversi paesi.

Ed è un paradosso solo apparente che questo abbia promosso nazionalismi, e motivato guerre in Europa in nome dell’integrità di Stati-nazione. Negando la complessa realtà di paesi multiculturali e multietnici, quali sono i Balcani e l’Ucraina. In questa idea di Europa non c’è spazio “per nessuna pluralità perché da un lato c’è il bene, la civiltà, e dall’altro c’è il male, la resistenza asiatica e orientale alla democrazia, il magma di torbidi sentimenti reazionari”11. Merita sottolineare, di nuovo, la lungimiranza di questa analisi: se il problema è “la diversità di Mosca”, se “l’Est è la malattia e l’Ovest è la cura diventa legittimo chiedersi ‘quando bombardiamo Mosca?’”12. Né può sorprendere che a questa idea di Europa ristretta all’Ovest, si contrapponga un’idea di Russia altrettanto identitaria e integralista, il cui confine va esteso a Est, e che i valori occidentali vengano rappresentati come “il Male antirusso”. Non a caso nel discorso celebrativo dell’annessione delle quattro province del Donbass Putin ha scelto come barriera valoriale invalicabile la difesa dell’identità di “madre e padre” minacciata dal binomio “genitore uno e genitore due”. Un ritorno al fondamentalismo, certo, enfatizzato dall’Occidente per non interrogarsi sull’arroganza fondamentalista “con cui esso pretende di prescrivere se stesso come cura della deformità altrui”13.

A fronte di questo rinnovato dualismo, basato sulla reciproca costruzione del nemico, sempre più identificato come Male assoluto, andrebbe scelta la via, del tutto estranea alla logica identitaria, della pluralità delle differenze. Solo assumendo la pluralità complessa di cui è intessuta l’Europa, per storia, tradizioni e come realtà presente, è possibile costruire un’Europa unitaria. Per intraprenderla è però decisivo liberarsi del complesso di inferiorità di essere “un’America imperfetta e ritardataria”, trovando il proprio equilibrio nella funzione attiva di mediazione tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud, tra mare e terra.

La critica femminista all’universalismo

Può la sinistra svolgere un ruolo in questa prospettiva? Ritrovando la propria vocazione messianica e radicale? Cassano abbozza una risposta rivolgendosi esplicitamente alla cultura della differenza del femminismo: “Noi – scrive – abbiamo sempre pensato che il pensiero della differenza femminile fosse un punto di vista critico autonomo dai valori dominanti, dall’apologia della società dei diritti e dell’emancipazione”14. Ovvero dalla somma di identità, tutte affiancate e ricondotte a gruppi omogenei, portatori di istanze specifiche. La cultura della differenza, concordo con Cassano, è l’orizzonte teorico indispensabile per leggere il nuovo assetto del mondo in una prospettiva critica di trasformazione. Occorre problematizzare l’individualismo, come presupposto ontologico della soggettività e indirizzare l’universalismo verso l’universalismo plurale, in grado di individuare valori e riferimenti comuni. Invece di darci come meta l’universo, possiamo muoverci in una comune direzione, scontando l’incertezza insita nel rapporto con l’altro da sé. Il femminismo insegna anche che è possibile riattraversare la storia e le rappresentazioni del rapporto tra modernità e tradizione, se non si assume la modernità come un traguardo irrinunciabile in quanto incarna l’idea di progresso e di futuro.

Pluralità critica e non globalizzazione dei diritti

L’autonomia del pensiero critico viene da Cassano riferita al punto più alto e apparentemente irrinunciabile dell’universalismo occidentale, quello del diritto e dei diritti. Senza negare l’importanza di questa acquisizione, Cassano non considera “la globalizzazione dei diritti” un’alternativa all’omologazione perseguita dal capitalismo neoliberale e neoliberista. Piuttosto è la versione aggiornata del corporativismo, poco e nulla adeguata ad affrontare i fondamentalismi, proprio perché non mette in questione la pretesa occidentale di avere l’unica risposta ai conflitti, al disordine, al rischio di regredire all’ordine premoderno.

Non vi è dubbio che il diritto sia stata un’invenzione straordinaria per mediare i conflitti, porre limiti ai poteri e al ricorso alla violenza nelle società e tra Stati-nazioni. Ma, afferma Cassano: “Mi rifiuto di pensare che le altre culture siano prive di mediazione” e, di conseguenza, di proposte politiche in grado di garantire la pace. Riconoscere la pluralità dei soggetti, delle culture e degli strumenti che consentono la convivenza e la soluzione dei conflitti è l’opposto della loro affermazione autarchica. Si avvale della disponibilità ad aprirsi all’altro, a scambiarsi saperi e rimedi, a cercare insieme le risposte ai problemi. Per la sinistra, conclude Cassano, è l’unica strada “per abitare dappertutto, ovunque gli uomini sono impegnati nel difficile percorso verso il futuro”15.

Possiamo dire che l’attitudine critica verso la modernità, ovvero la propria tradizione, è per la sinistra una necessità se vuole riprendere la navigazione “senza il vento della storia”.

Note

1 Franco Cassano, La contraddizione dentro, Laterza Roma-Bari, 2021, p. 11.

2 Op. cit., p. 7-8

3 Imma Barbarossa (a cura di ), La polveriera: I Balcani tra guerre umanitarie e nazionalismi edizioni la meridiana, Bari, 2000. Il convegno, organizzato dall’Associazione per la pace di Bari e dalla Convenzione permanente delle donne contro le guerre, il 14-15 gennaio 2000, “nasceva dal desiderio – scrive Imma Barbarossa – di nominare questa guerra così vicina, così paradossalmente europea e nello stesso tempo così rimossa dal popolo di sinistra e dai governi europei che (quasi tutti) fanno riferimento all’Internazionale di sinistra (p. 8). Gli argomenti delle quattro parti del convegno erano presentati da un uomo e una donna, per dare voce a punti di vista sessuati; per la terza parte furono affidate a Cassano e a chi scrive.

4 Op. cit., p. 86.

5 Franco Cassano, Senza il vento della storia, Laterza, Roma-Bari, 2014.

6 Jean Baudrikkard,Power Inferno, Raffaello Cortina, 2003, p. 66. Baudrillard parla di “obbligo simbolico” del mondo verso “il dono unilaterale” del Bene, che è l’atto di potere più violento, perché è “senza contropartita possibile” (p. 67).

7 Op. cit., p. 87.

8 Op. cit., p. 89.

9 Op. cit., p. 90.

10 Su questo mi limito a richiamare il testo più celebre di Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, 1996.

11 Op. cit., p. 91.

12 Ibidem.

13 Op. cit., p. 92.

14 Op. cit., p. 94.

15 Op. cit., p. 95.

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