Il Museo di Geografia di Padova
Il Museo di Geografia del Dipartimento di Scienze storiche, geografiche e dell’antichità dell’Università di Padovaè il primo museo universitario dedicato alla geografia in Italia e tra i primi al mondo nel suo genere. Lo spazio espositivo è stato inaugurato il 3 dicembre 2019 presso il Palazzo Wollemborg (casa natale dell’economista Leone Wollemborg, 1859-1932), divenuto dal 1972 sede del patrimonio della geografia patavina. Il museo conserva collezioni e testimonianze delle attività di ricerca e didattica svolte all’Università di Padova nel campo della geografia e propone un viaggio nelle sezioni – Esplora, Misura, Racconta – che rappresentano le azioni che caratterizzano il lavoro del geografo, scelte anche come payoff del logo del museo che raffigura lo schema di un mappamondo in due emisferi che ricordano un binocolo. L’allestimento è costruito intorno al patrimonio raccolto in 150 anni di attività scientifica e didattica; oltre a carte e a globi, si possono trovare documenti, rocce, plastici storici, strumenti di misura e atlanti antichi. L’insieme dei materiali, già riconosciuto come “collezione” dal Centro di ateneo per i musei, è inserito in un allestimento che si snoda in tre sale.
La sezione Esplora rimanda alle grandi spedizioni fatte nel passato e si ricollega a opere della letteratura di questo genere. Nella sala dedicata al geografo Giuseppe Morandini (Predazzo, 1909 – Padova, 1969), oltre alla visione di strumenti, diari di viaggio, disegni, macchine fotografiche d’epoca e vari strumenti utilizzati dagli esploratori, è possibile consultare il patrimonio museale digitalizzato.
La sezione Misura è rivolta al cambiamento climatico ed è dedicata a Luigi De Marchi (Milano, 1857 – Padova, 1936), geografo che diresse la prima Commissione internazionale sui cambiamenti climatici, a testimonianza che del fatto che il tema era già di interesse nel secolo scorso. Al centro della sala spicca un grande globo digitale che, azionato, mostra la situazione attuale rispetto al clima. Le pareti della stanza, tra pannelli illustrativi, display interattivi, infografiche e video, sono dedicate ai quattro elementi – aria, acqua, terra e fuoco – e agli effetti sulla vita dell’uomo del riscaldamento globale.
Lasezione Racconta è allestita nella sala dedicata al geografo Giuseppe Dalla Vedova (Padova, 1834 – Roma, 1919) ed è incentrata sullo sviluppo di tre concetti fondamentali per la geografia contemporanea: luogo, territorio, paesaggio. Attraverso immagini, video proiettati alle pareti, suoni, profumi guidati da una voce narrante, questo spazio museale offre un’esperienza multisensoriale che permette di approfondire la conoscenza delle mappe del passato relative a vari luoghi e ambienti del mondo. Al termine del percorso, visitatrici e visitatori sono invitati a misurarsi con idee e azioni che hanno un impatto nella vita degli esseri viventi e nell’ambiente.
La parete che fiancheggia lo scalone che conduce al museo è decorata da un’opera dell’artista Isacco Saccoman che indica graficamente alcuni meccanismi dei cambiamenti che interessano il pianeta Terra. Oltre alla visita del Museo è possibile vedere alcune sale accessorie come la Sala della Musica, destinata alle mostre temporanee e che ospita grandi mappe storiche e antichi globi, la Biblioteca a scaffale aperto che raccoglie plastici storici, mentre l’aula didattica viene usata per i laboratori con le scuole, seminari e conferenze. Nel salone principale del Piano Nobile di Palazzo Wollemborg, detto “Salone degli Specchi”, vengono ospitati dibattiti, incontri, presentazioni di libri, conferenze.
Nuovi immaginari terrestri
«Per risolvere il problema della corretta conoscenza strutturale del territorio e del paesaggio, il ruolo della geografia diventa quindi importante, purché l’analisi geografica imbocchi la strada della messa a fuoco degli specifici processi storici che lo hanno generato e in tal modo provveda consapevolmente alla “lettura delle sue forme odierne” (Sereno, 2001, p. 133). In altri termini, se il geografo vuole dare un senso sociale al proprio lavoro, deve produrre analisi dotate di adeguato spessore storico, che abbinino lo studio specialistico dei luoghi – con i contenuti e temi paesistici (intere categorie e singoli beni), fino alle puntuali schedature – con la geografia regionale (con la indispensabile multiscalarità): analisi da articolare sempre con il necessario svolgimento di tipo temporale, adottando metodologie anche innovative e utilizzando tecniche, strumenti e fonti che – sul terreno, in biblioteca, in archivio e ove possibile in laboratorio – più e meglio sono indicati alla trattazione dell’argomento».1
La geografia, nella sua duplice vocazione umana e fisica, è punto di osservazione privilegiato per l’analisi critica dei processi di trasformazione ambientale e le interazioni che questi hanno con i sistemi socio-economici. Il gruppo di lavoro dell’Associazione dei Geografi Italiani, A.Ge.I.,2 promuove lo studio delle tematiche ambientali per creare momenti di discussione e dibattito. Obiettivo del gruppo è di far convergere percorsi di ricerca già esistenti nella geografia italiana e, a partire da questi, aprire uno spazio di confronto e di progettualità comuni. In occasione delle Giornate della Geografia, tenutesi a Padova nel mese di settembre del 2018, A.Ge.I. ha presentato il Manifesto della Public Geography, che propone alla geografia italiana di considerarsi una disciplina aperta, orientata all’utilità sociale, chiamata ad accogliere, condividere e offrire conoscenza, costruendo una più efficace interazione e comunicazione scientifica con il territorio e la società civile per avviare un percorso di rinnovato ruolo pubblico della geografia italiana.3
Il libro Neogeografia. Per un nuovo immaginario terrestre di Matteo Meschiari, antropologo e geografo, pubblicato nel novembre 2019 per i tipi di Milieu Edizioni, è costruito tenendo appunto conto del rinnovato ruolo della geografia e proponendo una riflessione sulla geografia e sull’immaginare la Terra attraverso sei doppie esplorazioni, terrestri e poetiche: una narrazione di viaggio mediolatina del IX secolo, le canzoni di gesta antico-francesi, i viaggi in Canada del Capitano Cartier, la Liguria di Montale, l’India di Pasolini e Moravia, la Bretagna di Kenneth White. Sei testi/paesaggi per ripensare lo spazio e il funzionamento dell’immaginario alla ricerca dei comportamenti universali dell’Homo geographicus (definizione dell’Homo sapiens nello spazio). Spazio che, prima delle misure e delle teorie, si conosce con il corpo. Camminare, ascoltare, annusare, toccare sono esperienze del corpo che creano un’equazione tra uomo e terreno, tra paesaggio mentale e paesaggio concreto, Attraverso il linguaggio, attraverso architetture verbali, è possibile creare ulteriori collegamenti tra ciò che avviene nel cervello degli esseri umani e ciò che avviene nel mondo.
In Neogeografia l’autore esplora i paesaggi verbali per vedere se hanno qualcosa da dire sulla geografia in generale. La geografia viene intesa come pratica politica dell’immaginario, per ricalibrare il posto dell’uomo nel cosmo, per sgonfiare le estetiche antropocentriche: «Per capire che cos’è veramente la geografia occorre studiare allora tutta la contro-geografia, tutte le invenzioni geografiche dell’uomo non europeo, non occidentale, non bianco. E rendersi conto che i comportamenti geografici di Homo sapiens sono sempre incentrati sull’invenzione di un altrove».4 La Neogeografia cerca di rispondere alla domanda: come e perché reimmaginare la Terra può aiutare a salvarci? L’autore riconosce l’immaginazione come facoltà cognitiva, che ha permesso alla nostra specie di sopravvivere nei momenti di crisi, grazie alla sua capacità di costruire architetture mentali proiettate verso un futuro ancora non visibile, in base anche alla capacità di collegarsi al passato. La geografia ha gli strumenti per mappare un nuovo immaginario, farne un’analisi zonale, esplorare le terre incognite; compito complesso e necessario dal quale potrebbero emergere delle soluzioni per resistere in qualche maniera a possibili futuri disastri: «Il problema era già stato sollevato da alcuni geografi anarchici a fine Ottocento. […] ad esempio Elisée Reclus, che era abbastanza scettico sul primato della mappa e, nella sua Geografia Universale in diciannove volumi,5 insistette per pubblicare non solo cartine ma anche immagini del paesaggio, incisioni e in seguito fotografie. Una cosa scontata, per noi oggi, ma inedita per l’epoca».6
Attraverso i corpi,secondo Matteo Meschiari, la geografia può avere un approccio appropriato al collasso annunciato del sistema-terra, e così «potremo restituire al geografo il suo ruolo culturale, la sua vera vocazione, non come scienziato dello spazio misurabile, ma come attore in una pratica comunitaria alla ricerca di soluzioni di vita».7
Con il libro Landness. Una storia geoanarchica, pubblicato da Meltemi nella collana Atlantide nell’ottobre del 2022, Meschiari riprende il racconto di come affrontare l’Antropocene attraverso biografie, tempi e spazi che oltrepassano i limiti disciplinari geografici. Riprendendo il tema del linguaggio, l’autore ribadisce l’importanza del processo empatico, «alimentato da letture e birre», con vite vissute ai margini dello status quo scientifico e politico. L’essenza della landness è il procedere in solitaria seguendo «piste non marcate dall’uomo, linee di densità, vettori di crescita e dissipazione, reti invisibili ma sensibili»,8 una connessione tra azione, pensiero e narrazione, che contribuisce, anche in questo caso, alla formazione di un nucleo teorico-pratico che rompe le gerarchie disciplinari e permette di riconoscere l’Antropocene come un risultato culturale e non più come un’era geologica.
«It’s not climate change, it’s everything change»9.
Geografia di Genere10
All’inizio degli anni Ottanta l’ambito accademico anglofono avvia studi mirati a confutare le pretese di neutralità, oggettività e universalità del sapere geografico. L’obiettivo è evidenziare le discriminazioni di genere nell’interpretazione delle dinamiche spaziali, in modo da produrre un sapere geografico in grado di abbracciare tutte le esperienze umane e gli spazi da esse prodotti. Nel 2005, in Italia, viene costituito il gruppo Genere e Geografia A.Ge.I., del quale si può leggere nel numero monografico di «Geotema» (n. 33, 2009) Luoghi e Identità di Genere, curato da Gisella Cortesi. Il gruppo, oggi coordinato da Giulia de Spuches, è composto da geografe e geografi pionieri della geografia di genere in Italia, dottorande e ricercatrici, che nel gruppo hanno trovato uno spazio di produzione per la geografia critica e pubblica. Alcuni degli obiettivi che il gruppo si pone riguardano:
Tra i “supporti” con cui si costruisce la memoria collettiva, da più di un secolo, in Italia vi sono i manuali scolastici e, tra questi, i sussidiari che contengono immagini e rappresentazioni di genere. Ricerche sulle sezioni di geografia dei sussidiari della scuola primaria in Italia rilevano che gli stereotipi di genere, non soltanto continuano a esistere, ma soprattutto – essendo i libri di testo veicoli di socializzazione e di produzione culturale delle dinamiche di genere – rischiano di continuare a essere prodotti e riprodotti anche dalle generazioni future. Le immagini “scelte” dai sussidiari sono un’occasione di riflessione per cercare di mettere in luce e decostruire stereotipizzazioni e pregiudizi.13 Nel 2020, per i tipi di add, esce in Italia L’Atlante delle donne14 in cui l’autrice, Joni Seager, geografa, docente di Global Studies alla Bentley University ed esperta di politica globale, nonché consulente delle Nazioni Unite per le politiche ambientali e di genere, ricrea una mappatura femminista del mondo per informare sulla reale condizione delle donne del mondo.
Note
1. Maria Gabriella Ferrari, Leonardo Rombai, Geografia ed educazione all’ambiente ed al paesaggio: un’interazione in progress, in «Turismo e Psicologia», volume 8, Editoriale n. 1, 2015, pp. 3-19,https://turismoepsicologia.padovauniversitypress.it/system/files/papers/2015_1_02.pdf [data di visualizzazione: 27 dicembre 2022].
2. L’Associazione ha visto il suo primo Comitato direttivo insediarsi nel 1978, raccogliendo l’eredità del Comitato dei Geografi Italiani (Co.Ge.I.).
3. Cfr. https://www.ageiweb.it/wp-content/uploads/2018/03/Manifesto-Public-Geography-DEF.pdf; https://www.aiig.it/wp-content/uploads/2019/02/2018_n3_16.pdf [data di visualizzazione: 27 dicembre 2022]. Il Manifesto della Public Geography ha molti aspetti in comune col Manifesto della Public History di cui mi impegnerò a scrivere in un prossimo articolo.
4. Matteo Meschiari, Per un nuovo immaginario terrestre/Neogeografia, 22 dicembre 2019, in «Doppiozero», https://www.doppiozero.com/neogeografia-0 [data di visualizzazione: 27 dicembre 2022].
5. The New Universal Geography è il nome di un’opera di 20 volumi scritta da Elisée Reclus, pubblicata nel corso di diciotto anni, dal 1876 al 1894, dalla Librairie Hachette. Fornisce una descrizione e un’analisi del mondo intero, con dati sia fisici che umani. Dell’edizione originale non è stata eseguita alcuna edizione in facsimile; in un libro del 2014 è stata utilizzata solo la prefazione: Élisée Reclus, Prefazione alla Nuova Geografia Universale, prefazione di Frédéric Dufourg, introduzione di Claude Villers, Bordeaux, Elytis, 2014.
6. Claudia Bruno, La geografia come scrittura terrestre non può prescindere dall’imprevisto, 14 dicembre 2019, in «il manifesto», https://ilmanifesto.it/la-geografia-come-scrittura-terrestre-non-puo-prescindere-dallimprevisto [data di visualizzazione: 27 dicembre 2022].
7. Ibidem.
8. Matteo Meschiari, Landness. Una storia geoanarchica, Roma, Meltemi, 2022, p. 10.
9. Titolo di un articolo di Margaret Atwood pubblicato nel 2015. Non è solo il clima a cambiare, ma è l’intero sistema di condizioni e relazioni su cui si basano le nostre società e il nostro equilibrio di individui e di specie. Bisogna intervenire quindi sul contesto globale. L’articolo di Atwood è stato tradotto in italiano per la prima volta nella raccolta curata da Niccolò Scaffai, Racconti del pianeta Terra, Torino, Einaudi, 2022.
10. Luisa Rossi, geografa, docente di Geografia e Storia della geografia e delle esplorazioni, nel 2005 ha pubblicato L’altra mappa. Esploratrici viaggiatrici e geografe (Parma, Edizioni Diabasis). Il volume, dopo la presentazione a firma di Margherita Hack, ripercorre il contributo delle donne alla cartografia, alla geografia e all’esplorazione, riportando biografie dal Cinquecento al Novecento tra le quali Léonie d’Aunet, Ida Pfeiffer, Mary Sommerville, Dora d’Istria, Alexandra David-Néel. Sono fonti che, pur offrendo contributi importanti a geografia, cartografia e etnografia, in Italia, spesso, sono state ignorate. Il volume, supportato da un’ampia e accurata ricerca, documenta lo sforzo che alcune donne, a partire dall’Ottocento, riuscirono a imprimere per superare limiti culturali e che permise loro di partecipare, non più ufficiosamente, all’ampliamento delle conoscenze geografiche.
11. Cfr. https://www.ageiweb.it/eventi-e-info-per-newsletter/xxxiii-congresso-geografico-italiano-padova-8-13-settembre-2021-elenco-delle-sessioni-e-call-for-paper/ [data di visualizzazione: 27 dicembre 2022].
12. La simpoiesi, ovvero il con-fare, è un concetto chiave del pensiero di Donna Haraway. Prendendo spunto dal lavoro della biologa Lynn Margulis, Haraway riarticola la nozione di simpoiesi: «Le creature si penetrano a vicenda, si riavvolgono l’una attorno all’altra e l’una attraverso l’altra, si mangiano, fanno indigestione, si digeriscono in parte e in parte si assimilano a vicenda, e così definiscono degli ordini simpoietici altrimenti noti come cellule, organismi e assemblaggi ecologici», https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/chthulucene-sopravvivere-su-un-pianeta-infetto [data di visualizzazione: 27 dicembre 2022].
13. Cfr. Fiammetta Martegani, Genere e Geografia nei testi scolastici della scuola primaria italiana, in Diez anos de cambios en el mundo, en la Geografìa y en las ciencias sociales, 1999-2008, Actas del X coloquio internacional de geocrítica, Barcelona, 26 a 30 de Maio de 2008, Barcelona, Universidad de Barcelona, 2008, https://www.ub.edu/geocrit/-xcol/163.htm [data di visualizzazione: 27 dicembre 2022].
14. Traduzione italiana di Florencia Di Stefano-Abichain del volume The Women’s Atlas del 2018; la prima edizione, Women’s in the world: An International Atlas, a cura di Joni Seager e Ann Olson, risale al 1986.
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