Quanta gente a Scafati, quanta folla nelle strette vie del centro cittadino. In questo comune di cinquantamila anime del salernitano sono arrivati da tutta Italia, in difesa di un fondo agricolo strappato alla camorra, simbolo di riscatto e di una legalità messa a rischio dalla criminalità organizzata. C’è chi ha dormito solo tre ore per arrivare qui, c’è chi addirittura si è messo in viaggio il giorno prima, dalle regioni del nord come dalla Sicilia e dalla Calabria. Soddisfazione e gioiosa incredulità i sentimenti prevalenti, in un lungo corteo che nel suo percorso diventa una sorta di processione laica, a difesa di terreni fertili e coltivati dedicati a un ragazzo del posto, Nicola Nappo, ucciso senza colpe a soli 23 anni. Un giovane assassinato con sette colpi di pistola su una panchina davanti alla sede del Comune, mentre chiacchierava con un’amica. Era incensurato Nicola, di mestiere faceva il fabbro, gli investigatori capirono subito che era stato vittima di uno scambio di persona.
Il 29 aprile 2023 sarà ricordato come un giorno di resistenza e di lavoro pulito, onesto, dignitoso, due ideali strettamente allacciati in una manifestazione fortemente voluta dalla FLAI-CGIL, da Libera, dall’intera Confederazione e da Alpaa: giù le mani dal fondo Nappo. Perché la lotta contro le mafie, il caporalato e il lavoro nero è resistenza quotidiana nell’Italia di oggi. “Una lotta anche per il diritto di poter lavorare con dignità, di avere la possibilità di realizzarsi e di costruire un progetto di vita”, dice dal palco il segretario generale della CGIL, Maurizio Landini. Parole che rimbalzano in una piazza Vittorio Veneto strapiena, segno concreto del successo della manifestazione ‘La legalità ha radici profonde’ organizzata qui a Scafati, per rispondere a tre recenti raid vandalici – solo gli ultimi di una lunga serie – ai danni del Fondo “Nicola Nappo”. Anche per rispondere a chi, come il ministro leghista Matteo Salvini e il presidente campano dem Vincenzo De Luca, vorrebbe rimettere in vendita i terreni “sul libero mercato”. Una ipocrisia, perché il progetto di trasformare terreni coltivabili in una colata di cemento esisteva già. Gli affari sono affari, la camorra lo sa bene. Ma la CGIL e Libera non ci stanno: “La legge sui beni confiscati – ricorda Landini – è stata conquistata con lotte e battaglie. Fu Pio La Torre che ebbe l’intuizione di colpire i beni dei mafiosi, e qui con noi c’è Libera che volle una legge di iniziativa popolare. Oggi c’è qualcuno che pensa, sia da destra che da sinistra, di vendere i beni confiscati per rimetterli in mano alla criminalità. Lo diciamo con chiarezza: da qui vogliamo fare diventare nazionale la lotta contro le mafie. L’Agenzia per i beni confiscati deve essere rafforzata, assegnandole anche i soldi sequestrati per investire su lavoro, socialità e sui territori”. Se poi la Corte dei Conti rileva che “gli ostacoli maggiori nel destinare a nuovo uso i beni sequestrati alle mafie sono legati, oltreché alla lunghezza dei procedimenti, alla ridotta disponibilità finanziaria dei Comuni e degli enti del Terzo settore, che rende difficoltoso l’avvio dei progetti di reimpiego sociale delle strutture sottratte alle organizzazioni criminali”, la replica di CGIL e Libera non si fa attendere: “È giunto il tempo di aprire un tavolo di confronto fra i soggetti sociali e il Governo, il riutilizzo dei beni confiscati rappresenta uno strumento formidabile di contrasto alle mafie e alla criminalità organizzata”.
Insieme la CGIL e Libera, la FLAI e l’Alpaa che gestiscono con l’associazione “Terra Vi.Va” i 120mila metri quadrati di terreni sequestrati al clan Galasso, riqualificandoli e restituendoli alla comunità. Pasquale Galasso era un boss della camorra, che negli anni ottanta del secolo scorso aveva strappato le terre ai contadini per pochi spiccioli, e aveva acquistato una mastodontica villa che voleva trasformare in una clinica privata. Togliere alla collettività per fare i propri interessi, questo era il suo credo. “Ora invece noi ci riprendiamo questi spazi e ne facciamo un presidio di legalità, abbiamo restituito a più di cento famiglie del territorio dei pezzi di terra per farne orti urbani, qui vengono gli scout, i giovani di Libera, i musicisti in erba hanno la possibilità di realizzare delle sale prove, le associazioni che curano il sociale insieme alle scuole possono organizzare iniziative e trovare qui un rifugio sicuro dove studiare, dipingere, seguire le proprie passioni”, spiega Giuseppe Carotenuto, presidente di Alpaa.
Le musiche popolari dei gruppi che hanno trovato nel fondo un luogo accogliente dove poter suonare accompagnano un corteo di migliaia di persone. Un risultato non scontato in una città che è medaglia d’oro della Resistenza, ma che ha visto sciogliere per due volte il consiglio comunale per le infiltrazioni della criminalità. “Chi non salta camorrista è”, cantano i manifestanti, compresi i migranti di Gioia Tauro che sono arrivati fin qua per prendere parte alla giornata della legalità. “Questa è una grande risposta democratica. Noi non ci fermeremo, negli anni hanno tentato di intimidirci e intentato battaglie legali. La villa accanto al fondo (attuale caserma della Guardia di finanza) era il segno del potere dei boss. Noi a cento passi, reali e in memoria di Peppino Impastato, abbiamo costruito gli orti sociali, l’orto dei cento passi. La dovevamo fare questa manifestazione, anche per dare voce ai tanti terreni confiscati alle mafie che sono nella stessa nostra situazione. Ma noi resisteremo, un minuto più della camorra”, sottolinea Carotenuto. “Questa non è una manifestazione rabbiosa. Noi dimostriamo oggi che la nostra forza è la gioia – sottolinea Giovanni Mininni – segretario generale della FLAI-CGIL – è la prospettiva, è l’umanità. Un’umanità che parte dalle cose concrete che il Fondo Nappo fa, e che vuole indicare allo Stato che devono essere fatte, in territori dove la camorra opprime anche gli spazi democratici, dove la politica non a caso è sempre più debole. E chi ne paga le conseguenze sono le lavoratrici e i lavoratori”. L’importanza di Libera in questo cammino virtuoso è fondamentale, anche sul piano legale, per difendere il Fondo Nappo dalle pretese della malavita e, ancor prima, promuovendo la legge di iniziativa popolare che portò alla confisca dei beni mafiosi. Così quando sale sul palco Don Luigi Ciotti lo accompagna un’ovazione: “Se la politica non costruisce la giustizia sociale – ammonisce – diventa criminogena. E non c’è legalità se non c’è uguaglianza. Ma purtroppo questo paese sta vivendo una profonda emorragia di umanità, basta vedere come trattiamo i migranti. Trasformare i beni confiscati in una possibilità di riconquista della democrazia e di lavoro è doppiamente importante. Penso ci sia bisogno di mandare un messaggio più generale, che chieda alle istituzioni e al governo di fare tutto ciò che è necessario per fare in modo che queste esperienze possano produrre. Perché la vera sconfitta della malavita organizzata è quella di far prevalere la forza dello Stato, dei cittadini, della democrazia”.
Cartoline da Scafati, dove un luogo strappato alla camorra è diventato un presidio di legalità. Qui chi lavora la terra ha un regolare contratto di lavoro, così come chi trasforma le produzioni, a partire dai celebri pomodori San Marzano dop. Poi c’è la frutta, le migliaia di piante di limone, arancio, albicocco, nespolo, melograno, nocciolo e naturalmente viti e ulivi, trattati senza pesticidi e fitofarmaci, nel solco di quel made in Italy di qualità che trova invariabilmente clienti interessati alla commercializzazione. Si coltiva legalità al fondo Nappo, i giovani che lavorano su quei terreni ne sono consapevoli ed entusiasti. Un’autentica impresa, visto che le campagne dell’agro nocerino-sarnese raccontano una lunga, terribile storia di criminalità organizzata. E da queste parti passa il fiume Sarno, che il 5 maggio del 1998 a causa di una frana esondò, causando un’alluvione di fango e detriti che travolse tutto e tutti, provocando 161 morti e centinaia di feriti. Quasi non sembra vero che oggi, in queste zone, la sera si possano vendere nelle piazze pomodori coltivati a regola d’arte.
Al fondo Nappo si fa festa, con a Paranza r’o Lione, un gruppo di ricerca e di recupero delle tradizioni popolari e contadine. “Sai perché si chiama paranza? Perché i pesciolini che saltano quando si tirano su le reti da pesca sembrano ballare”. Ha inizio la tammurriata, impossibile restare fermi in questo trionfo di percussioni e tamburelli. Poi pasta al ragù per tutti, ragù anticamorra preparato con i pomodori raccolti nel fondo dagli attivisti. Fame di legalità.
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