Alla fine di maggio, si è svolto a Berlino il XV Congresso della Confederazione Europea dei Sindacati (CES) che ne ha celebrato anche i 50 anni dalla fondazione. Come ha dichiarato il Segretario Generale della CGIL Maurizio Landini: “Si è concluso nel miglior modo possibile, tutti i sindacati europei, tutte le federazioni europee di categoria e l’intero gruppo dirigente appena eletto hanno condiviso la proposta della CGIL di avviare un percorso di mobilitazione europea”.
È un fatto tutt’altro che scontato.
La CES unisce 93 sigle sindacali di oltre 40 Paesi e 10 federazioni di categoria: un insieme che rappresenta decine di milioni di lavoratrici e lavoratori, composto però da sensibilità diverse, portatrici di esperienze nazionali non omogenee e rappresentanti di legittimi interessi locali o di settore.
Già solo partendo da questi numeri, appare chiaro come sia stato straordinario ottenere un consenso pressoché unanime alla nostra proposta politica.
È un lavoro iniziato da tempo, quando si andavano definendo le proposte politiche per questo Congresso e, come CGIL, abbiamo proposto per primi una lettura socio-economica della fase europea che si è poi dimostrata ampiamente condivisa.
Siamo partiti dal rifiuto di qualsiasi tentativo di ritorno alle misure di austerità che, già da alcuni mesi, vedevamo crescere sia a livello Comunitario che nei singoli Stati.
Quando ci ha colpiti la pandemia, infatti, il governo europeo e quelli nazionali sembravano aver compreso che dalla crisi non si usciva con vecchie ricette: lasciando il mercato senza regole, tagliando la spesa pubblica, riducendo i diritti dei lavoratori e permettendo che pochi si arricchissero sempre più sfruttando proprio le crisi in atto. Il Next Generation EU e i PNRR, la sospensione del patto di stabilità, la tassazione degli extra-profitti, la contrattazione collettiva come strumento essenziale sancita in una direttiva europea; si andava nel verso giusto.
Soltanto due anni dopo, l’Europa si trova coinvolta in una sconsiderata guerra che ha tragiche conseguenze sia umanitarie che socio-economiche: l’aumento del costo della vita, le speculazioni sul costo dell’energia e degli alimenti, l’aumento delle bollette, dei mutui e degli affitti; il crollo del potere d’acquisto di salari e pensioni… Un’altra crisi, che si collega a quella precedente, a tutte quelle precedenti; una crisi ormai di sistema.
La risposta che però ora sta arrivando è la stessa fallimentare di prima: chiudere in fretta e furia la parentesi “sociale” e utilizzare la cosiddetta “austerità” per permettere di nuovo le più avide politiche neoliberiste.
Contro questa “restaurazione”, le lavoratrici e i lavoratori si stanno mobilitando in tutta Europa: le manifestazioni del sindacato italiano nel mese di maggio nelle principali città, le mobilitazioni in Francia, Belgio, Regno Unito, Austria… Le forti iniziative sindacali in Germania e in Spagna che hanno stimolato governi più “sensibili”.
Lavoratori e pensionati europei sono già in piazza con gli stessi obiettivi: l’aumento dei salari, il lavoro sicuro, dignitoso e stabile e non più precario, gli investimenti pubblici, le pensioni eque, la difesa della scuola e della sanità pubbliche, un fisco giusto che tolga a chi è più ricco e a chi specula; la parità di diritti e di salario tra uomo e donna; un nuovo modello di sviluppo europeo che si basi sulla giustizia, sull’equità, sull’inclusione, sulla vera democrazia anche nei posti di lavoro.
Abbiamo raccontato questo a tutti gli altri sindacati, perché la CGIL crede davvero nel sindacato europeo. Un sindacato capace di dialogare autorevolmente nei tavoli con le istituzioni europee e che sia capace – al tempo stesso – di far sentire la voce dei milioni di lavoratori che rappresenta.
Per questo abbiamo promosso una risoluzione d’urgenza che lanciasse – proprio dal Congresso della CES – una grande mobilitazione europea, a partire da subito, a giugno, con le singole iniziative nazionali e culminante in un grande momento comune in autunno.
La nostra proposta è stata subito sottoscritta dalla UIL, da tutti i sindacati spagnoli, belgi, francesi (di qualsiasi estrazione), da quelli dell’est Europa e da pressoché tutte le federazioni europee di categoria. – stata sostenuta esplicitamente dai sindacati inglese, tedesco e scandinavi. Ed è stata approvata all’unanimità, col consenso di tutti i dirigenti sindacali europei e con solo tre astensioni.
Per la prima volta, inoltre, la platea congressuale era costituita da una maggioranza di delegate e la segreteria che è stata eletta è la più giovane di sempre. Ne fa parte anche Tea Jarc, sindacalista slovena di 35 anni a capo del movimento sindacale giovanile sloveno e della CEC e della protesta contro l’ex presidente di destra Bahor.
Il congresso ha anche approvato un ambizioso Piano di azioni per il prossimo quadriennio e il Manifesto di Berlino, oltre a una Carta dei valori che ribadisce i valori dell’europeismo, delle libertà individuali, del rispetto dei diritti civili e sociali e dell’antifascismo/lotta alle destre estreme e ad autoritarismi e nazionalismi.
Le questioni aperte e le sfide davanti a noi restano tante e alte, certo: non solo quelle poste dalle crisi in atto, ma anche quelle derivanti dalle diverse sensibilità dei singoli sindacati nazionali. Per noi la più importante, ancora aperta, è quella sulla guerra in Ucraina e sulle soluzioni più utili da mettere in campo. Su questo continueremo a incalzare l’intero movimento sindacale europeo, forti delle nostre ragioni e della rete di relazioni che va anche di là dal mondo strettamente sindacale.
Anche su questo, se saremo uniti, come sempre, saremo più forti.
E cambieremo davvero questa nostra Europa.
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