20.000 euro, tanto valgono le vite dei migranti richiedenti asilo che i Paesi europei rifiuteranno di accogliere.
È il risultato del compromesso tra i ministri dell’Interno dei Paesi UE riuniti a Lussemburgo – pochi giorni prima di una delle più gravi tragedie avvenute nel Mediterraneo, un naufragio avvenuto stavolta a largo delle coste greche – i quali, non riuscendo a trovare l’accordo sulla ripartizione obbligatoria dei richiedenti asilo, hanno così risolto il problema: lo Stato membro che rifiuta di accettare la sua quota annuale di migranti – stabilita in base ad una serie di indicatori quali PIL, popolazione ecc. – a deve versare a un fondo il corrispettivo di 20.000 euro a persona.
E che fine faranno queste persone?
Naturalmente, nessuno dei Paesi UE accetta di divenire il loro punto di raccolta, meno che meno l’Italia e gli altri Paesi di primo sbarco; pertanto hanno ottenuto la possibilità che siano Paesi terzi a dover assolvere a questo compito e, anche a questo scopo, si creerà appunto il fondo alimentato dalle quote versate da chi non intende accogliere; la vocazione di questo fondo, per il momento, è molto generica: progetti “sulla dimensione esterna”.
L’argomento usato dall’Italia nel rifiutare indennizzi in denaro è stato per bocca del ministro Piantedosi, quello della dignità, che evidentemente non vale per i Paesi terzi cui ci si intende rivolgere.
Infatti, altro punto fondamentale dell’accordo è la possibilità di respingere le persone cui non è riconosciuto il diritto di asilo o altra forma legale di protezione, non solo nel rispettivo Paese di origine (cosa che ha creato problemi seri di fattibilità), ma anche in un Paese di transito, cui si aggiunge “purché sicuro”.
L’interlocutore prescelto, oggi, è il presidente tunisino Kais Saied il quale potrebbe avere sue ragioni per intraprendere questa avventura, anche se, non molto tempo addietro, fu egli stesso a denunciare il rischio di contaminazione etnica del suo Paese e ciò dovrebbe far suonare un campanello di allarme circa la “sicurezza” come condizione indicata per i rimpatri, soprattutto per i cittadini dei paesi subsahariani.
Il presidente Saied, eletto come indipendente al secondo turno delle presidenziali del 2019 con il 72,7% dei voti, in pochi anni, approfittando anche dell’emergenza pandemica, ha trasformato il suo governo in un vero e proprio regime. Nel 2021 ha assunto i pieni poteri costituzionali, ha sciolto prima il Governo e poi il Parlamento e nel 2022 ha cambiato la Costituzione, confermandola con un referendum farsa, senza quorum, che vide il 30% di partecipazione al voto.
Un vero e proprio colpo di Stato tanto che, nelle ultime elezioni parlamentari, che hanno visto il boicottaggio delle opposizioni, la partecipazione al voto non ha superato l’11%.
In aggiunta, la situazione economica e sociale è catastrofica, molta dell’immigrazione sulle nostre coste è rappresentata da cittadini tunisini, conseguenza evidente della disperazione ma anche della repressione in atto.
Proprio per questo il presidente Saied potrebbe avere interesse a un riconoscimento internazionale accompagnato dall’immissione di risorse che possano scongiurare il fallimento dello Stato e consolidare il suo potere; tuttavia, le condizioni poste dal Fondo Monetario Internazionale, potrebbero addirittura aggravare la situazione sociale per via delle clausole che richiedono dolorose ristrutturazioni, privatizzazioni e la fine dei sussidi per i generi di prima necessità. Il terzetto che si è recato a Tunisi (von der Leyen, Meloni, Rutte), ha avuto lo scopo di promettere un aiuto per lo sblocco del finanziamento del FMI, con l’aggiunta di un aiuto europeo, per ora poco significativo ma che potrebbe divenire ben più consistente in futuro.
Il Governo Meloni vuol dimostrare che, seppure non ha ottenuto il riconoscimento della “ricollocazione obbligatoria” nel negoziato tra i governi europei, con i respingimenti, si può raggiungere lo stesso obiettivo: basta sorvolare sul rispetto dei più elementari diritti umani.
Le analogie con la Turchia del presidente Erdogan, fatte le debite proporzioni, sono evidenti.
È da parte europea che la soluzione sembra del tutto autolesionista poiché essa aumenta il potere di ricatto di regimi totalitari, crea di fatto una indegna connivenza nella negazione di diritti fondamentali delle persone, inibisce lo sviluppo di paesi, quali la Tunisia, che aspiravano a un futuro diverso (ricordiamo nel 2015, il Premio Nobel per la pace al Quartetto per il dialogo nazionale tunisino che guidò la rivoluzione).
Quello era il tempo di sostenere come UE il processo democratico di quel Paese, cosa del tutto fattibile, visto che le dimensioni territoriali e la popolazione della Tunisia, rappresentano l’equivalente di una media regione europea.
L’orientamento votato dal Consiglio Affari Interni, che, per ora, costituisce un accordo di massima, dovrà dar vita a due Regolamenti: il primo sulle “procedure d’asilo” e il secondo sulla “gestione dell’asilo e dell’immigrazione”.
Questi regolamenti sono già oggetto di un esame congiunto tra Commissione europea, Consiglio e Parlamento e pare emergano, già in seno al Consiglio, valutazioni diverse circa la lista dei paesi terzi da ritenersi sicuri a cominciare dalla Tunisia. Il Parlamento europeo, da parte sua, in passato si è sempre espresso a favore della ripartizione obbligatoria tra i paesi UE, c’è da sperare che mantenga questa posizione.
Il Governo italiano presenta questo risultato come una vittoria anche se, da una parte, Paesi politicamente più vicini alla Presidente Meloni, quali Polonia e Ungheria, hanno votato contro, e altri quattro (Malta, Bulgaria, Slovacchia, Lituania) si sono astenuti segnalando malesseri di segno opposto in seno al Consiglio, dall’altra, l’accordo con la Tunisia appare tutt’altro che concluso anche se la presidente Meloni preme perché esso possa vedere la luce prima del Consiglio europeo di fine giugno.
Nel frattempo si capirà se le dichiarazioni, non certo accondiscendenti, del presidente Saied, alla fine dei colloqui con il “terzetto”, hanno lo scopo di alzare il prezzo del negoziato o preludono a un voltafaccia.
Procedura e contenuto rappresentano bene quest’Europa intergovernativa intenta a spostare i ricatti reciproci su soggetti terzi disposti a barattarli per propri fini.
L’Europa, dalla Prima guerra del Golfo in poi, ha perso molto della sua credibilità agli occhi delle opinioni pubbliche del mondo arabo, a cominciare dal Maghreb, a noi più vicino; si può essere amici di un dittatore e servirsi di lui per esportare i problemi che non si è in grado di risolvere, quello che rimane, nell’esperienza di vita di tante persone, è odio e risentimento, e ciò non depone bene per il futuro delle nostre relazioni con questi paesi.
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