Il discorso tenuto dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel suo ultimo anno di mandato, più che un bilancio critico sullo stato dell’Unione è sembrato il manifesto elettorale a sostegno di una sua riconferma, anche nel caso in cui le elezioni europee dovessero modificare il quadro politico che portò alla sua elezione.
La Storia è stata scomodata innumerevoli volte per rafforzare decisioni assunte e, soprattutto, per gli appuntamenti già avuti e quelli che ci si appresta ad avere.
Questa operazione ha comportato l’enfatizzazione di scelte, alcune di esse anche giuste, compiute nel passato, e troppe omissioni sulle criticità presenti e il silenzio su questioni decisive neanche nominate.
Ad esempio, molta parte del discorso è stata dedicata all’innovazione industriale da sostenere affinché possa essere compatibile con la difesa ambientale e con lo sviluppo tecnologico. Molte parole sono state spese sulla concorrenza, soprattutto quella che individua nella Cina il pericolo principale; neanche una parola sulle distorsioni alla concorrenza interne all’Unione dovute al dumping fiscale e sociale tutt’ora esistente.
Da qui l’incarico al Presidente Draghi di elaborare un documento che possa servire da guida sul tema della competitività, e c’è da augurarsi che quest’ultimo non eluda questioni fondamentali, visto che recentemente si è pronunciato in favore dell’unione fiscale.
Così come è stato giusto rivendicare le decisioni che per la prima volta hanno consentito il ricorso al debito comune per garantire investimenti, tuttavia, non una parola è stata spesa sulla nuova versione del Patto di Stabilità proposto dalla Commissione europea, che vede i Governi divisi con il rischio di tornare ai parametri pre-pandemia in mancanza di accordo.
La Presidente ha più volte celebrato la grande unità interna di fronte alla emergenza pandemica, tuttavia, è arduo sostenere, come lei ha fatto, di aver costruito l’Europa della sanità, anche perché i contratti stipulati con le industrie farmaceutiche sono tutt’ora secretati.
È, tuttavia, la realtà a essere stata travisata al punto da non cogliere il malessere che l’inflazione sta determinando in tanta parte della popolazione, che non riesce a mantenere un livello di vita dignitoso.
Molta attenzione, al contrario, è stata dedicata a quelle categorie che elettoralmente possono costituire un problema per il PPE: agricoltori, industria, piccole e medie imprese. Su queste ultime è stata annunciata la decisione di istituire un “rappresentante dell’UE per le piccole e medie imprese”, che riferirà direttamente alla Presidente al fine di semplificare gli adempimenti amministrativi che gravano su questo settore.
Sull’immigrazione la reticenza è risultata scandalosa al limite del razzismo se si confronta l’apertura ai rifugiati ucraini cui si propone di rinnovare, giustamente, la protezione temporanea con garanzia di alloggio, sanità, istruzione, con il trattamento riservato ai tanti altri che fuggono anch’essi da guerre, violenze, fame e persecuzioni.
Per questi ultimi auspica un accordo sul Patto dell’immigrazione, attualmente bloccato in Consiglio, che la Presidente annuncia vicino a soluzione, ma i comportamenti, anche recenti, dei singoli Stati non sembrano confermare, e ciò, al fine di dimostrare che l’Europa è in grado di gestire le migrazioni con “efficacia e compassione”.
L’“efficacia e la compassione” per la Presidente comportano un rafforzamento del controllo delle frontiere, anche estendendolo ad altri Paesi accordi come la Tunisia – la cui efficacia è sotto i nostri occhi – e una conferenza internazionale sulla lotta alla tratta degli esseri umani.
Infine, la guerra pare non avere alternative e l’Unione, che fino a ora si è distinta per aver rinunciato a qualsiasi atto di mediazione perfino umanitaria, si accinge a prevedere secondo la proposta della Presidente, fondi nel bilancio Europeo (utilizzando il regolamento ASAP che assicura contributi alle industrie degli armamenti) per fornire munizioni all’Ucraina fino a quando ciò si renderà necessario.
C’è da dire che gran parte di quella unità granitica, tanto celebrata dalla Presidente, si basa proprio sulla guerra. Non è un caso che l’applauso più lungo e fragoroso dell’aula parlamentare sia scattato proprio su questo passaggio del discorso. Tutto ciò delinea una prospettiva di confronto muscolare con la Russia non contingente, il che rende particolarmente critico anche il significato del futuro allargamento e lo stesso futuro dell’Unione; di questo occorre essere consapevoli perché si tratta di un elemento “costitutivo” del nuovo patto di unità di intenti.
L’allargamento è quindi nell’agenda dell’UE una priorità anche rispetto alle invocate riforme che potrebbero comportare modifiche degli attuali Trattati.
Secondo la visione di Ursula von der Leyen, occorre superare l’impostazione che stabiliva un nesso temporale tra allargamento e approfondimento, l’Unione che ha funzionato a 27 potrà funzionare anche a 35 e oltre.
Su tutto ciò si può discutere, anche perché le riforme dei Trattati che hanno preceduto o accompagnato i passati allargamenti, lungi da aver dato all’Unione una fisionomia di tipo federale, hanno consegnato ai governi un potere accresciuto, tanto da delineare l’attuale Unione come una Confederazione di Stati con procedure ulteriormente complicate dal sovrapporsi di competenze soprattutto del Consiglio, il quale assomma poteri legislativi, esecutivi e di indirizzo, interferendo, così, nelle competenze sia del Parlamento che della Commissione Europea.
Nel dibattito che è seguito, particolarmente interessante è stato l’intervento del Presidente del Partito Popolare Europeo Weber, il quale sembra essere più cauto sul rapporto con la destra, forse in funzione della campagna elettorale. Anch’egli ha voluto cimentarsi con la storia ricordando De Gasperi edil tentativo italiano di portare in porto la CED (Comunità Europea di Difesa), proponendo di ripartire da lì. Per completezza è bene ricordare che dietro la tenacia di De Gasperi, vi era l’ispirazione di Altiero Spinelli il quale, vedeva nella difesa europea, una delle chiavi per l’autonomia dell’Europa. Certamente non in funzione antiatlantica, tuttavia Spinelli voleva scongiurare proprio quello che poi è avvenuto e cioè l’Unione come “un insieme di Stati tributari al comandante atlantico”.
Il Parlamento Europeo, da parte sua, sta procedendo nel lavoro di riforma dei Trattati.
La Commissione Costituzionale esaminerà a breve una proposta elaborata dai relatori di cinque gruppi politici (Popolari, Socialisti e Democratici, Renew Europe,Verdi e Sinistra) che prevede la modifica di numerosi articoli dei Trattati, a cominciare dal superamento del voto all’unanimità del Consiglio. Se supererà il voto in Commissione, la proposta potrebbe andare al voto della Plenaria in Novembre.
Da notare il fatto che il relatore del Gruppo ECR (quello di riferimento del Partito Europeo di Giorgia Meloni) si è dimesso, non riconoscendosi nel contenuto del testo.
Come evolverà questa situazione è difficile dirlo, certo è che sia il Presidente Macron che la Presidente von der Leyen, che, insieme, avevano lanciato quel processo partecipato sul futuro dell’Europa, oggi paiono averlo dimenticato e lo stesso Parlamento nell’elaborare le sue proposte, non ha ricevuto, benché sollecitato, i comitati che si erano costituiti su impulso delle stesse istituzioni con tanto di piattaforma informatica.
La verità è che siamo alla fine della legislatura e questo, da una parte, non dà legittimità a progetti che necessitano di tempi più lunghi e, dall’altra, inducono sia i partiti che i loro esponenti, alla ricerca del consenso più immediato.
È interessante a questo proposito capire come le famiglie politiche europee e i partiti nazionali affronteranno questa campagna, che dovrebbe essere volta a suscitare innanzitutto la partecipazione al voto, visto che le elezioni europee registrano il tasso più basso di partecipazione ormai anche in Italia.
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