In Italia la condizione di donna e straniera genera una doppia penalizzazione nel mondo del lavoro, portando a una minore autonomia economica e a maggiori difficoltà per l’inclusione nel tessuto sociale del paese.
In questi giorni abbiamo parlato molto di occupazione femminile, declinando il tema in diversi modi, dai servizi per l’infanzia agli incarichi nella sanità, passando per una comparazione della situazione italiana con quella degli altri paesi europei.
Rimanendo in ambito lavorativo, però, la provenienza aggrava un gap evidente e purtroppo già noto tra donne e uomini.
La migrazione “emancipatoria” delle donne
Dei 5,1 milioni di cittadini stranieri residenti in Italia, poco più della metà sono donne.
2.623.802 donne straniere residenti in Italia, al 1° gennaio 2023.
Come ha evidenziato in un report Idos, da oltre mezzo secolo le donne sono protagoniste del fenomeno migratorio in Italia. Fin dagli anni ’70, infatti, molte di loro sono arrivate nel nostro paese mosse da un progetto migratorio emancipatorio dal punto di vista socio-economico.
La storia dell’immigrazione femminile in Italia, con i relativi dati, parla invece di donne dinamiche, autonome nei loro percorsi e protagoniste delle loro vite, ma marginalizzate e schiacciate su posizioni subalterne da modelli di organizzazione sociale ed economica gerarchizzati per genere e cittadinanza, che le espongono a meccanismi di discriminazione.– Idos, L’immigrazione femminile in Italia: sempre più preziosa, sempre più svilita – febbraio 2023
Anche per queste ragioni, la condizione lavorativa delle donne non italiane è ingabbiata spesso in ruoli occupazionali svantaggiati, stereotipati e caratterizzati da scarsa mobilità sociale.
Le lavoratrici straniere hanno retribuzioni più basse
Alla fine del 2022 Istat certificava un tasso di occupazione in Italia pari al 60,1% nella fascia d’età tra 15 e 64 anni, con una sostanziale equivalenza tra i cittadini italiani (60,1%) e stranieri (60,6%).
Tuttavia, se dettagliamo i dati analizzando le differenze di genere e di cittadinanza notiamo disparità evidenti. Solo il 47,5% delle donne straniere tra 15 e 64 anni ha un’occupazione, a fronte del 51,5% delle donne italiane, del 68,6% degli uomini italiani e addirittura del 74,9% degli uomini stranieri.
27,4 punti percentuali di differenza tra il tasso di occupazione degli uomini stranieri rispetto alle donne straniere, al 2022.
Dati che confermano i ragionamenti sulle difficoltà da parte delle donne, soprattutto non italiane, nel proprio processo emancipatorio, e che si mostrano molto simili anche quando andiamo a vedere i livelli di retribuzione dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti nel settore privato.
In questo caso riusciamo a farlo in riferimento ai dati del 2021, forniti sempre dall’istituto di statistica.
A parità di condizioni e considerando tutte le tipologie di lavoro dipendente nel settore privato, gli uomini italiani vengono retribuiti 12,45 euro l’ora, a fronte di una retribuzione oraria di 11,42 euro delle loro connazionali donne, di 10,83 euro degli uomini stranieri e di 10,35 euro delle donne nate in un paese estero.
In altre parole, nel caso di un impiego full time di 40 ore settimanali, un uomo italiano viene retribuito circa 350 euro in più della sua collega straniera.
Le disparità di genere e nazionalità nel mondo del lavoro sono indicative di quanti passi sia ancora necessario compiere.
Come abbiamo visto anche attraverso le nostre recenti analisi sul tema, le questioni relative all’occupazione e alla retribuzione delle donne straniere non sono le sole meritevoli di approfondimento, ma sono certamente indicative di come ci siano ancora molti importanti passi da compiere per superare le discriminazioni, siano esse di genere o di nazionalità, nel nostro paese.
Sono tutti ostacoli che devono essere abbattuti innanzitutto dal punto di vista culturale, oltre che attraverso politiche pubbliche efficaci che tendano a una maggiore inclusione sociale e, soprattutto, riconoscano l’importanza del diritto all’indipendenza economica delle donne.
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