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Φύσις κρύπτεσθαι φιλεῖ

La libertà, la spiritualità della parola – dell’amore –, ama nascondersi.

Eraclito

Il tutto è divisibile,
l’universale e la monade
non lo sono.

Pubblichiamo questo articolo come anticipazione del volume collettaneo numero XXXIII/27 della collana Athanor dell’Università degli Studi di Bari, diretta da Augusto Ponzio, dal titolo “Il diritto all’infunzionalità come fondamento dei diritti umani”, a cura di Susan Petrilli, Mimesis Edizioni, Milano.

C’è stato un momento, nella storia dell’umanità, nel quale gli esseri umani, in quanto tali, si sono riconosciuti come appartenenti alla stessa umanità. Di questo momento c’è rimasto un documento scritto: l’approvazione della dichiarazione universale dei diritti umani del dieci dicembre 1948 dell’assemblea generale dell’ONU, delle Nazioni Unite. Da quella presa di coscienza di sé dell’umanità non si può tornare indietro, in quel giorno è iniziata la storia dell’umanità nel suo insieme, la storia di tutti gli esseri umani, nessuno escluso.

I popoli che hanno approvato quella carta, lo hanno fatto anche in nome dei popoli che non erano rappresentati, l’hanno approvata in nome di tutti i popoli umani della Terra.

Quell’approvazione dava per superati ogni controversia, ogni razzismo, ogni guerra. Quella approvazione non era il risultato di un accordo tra loro dei vincitori della Seconda guerra mondiale: essa implicava l’accordo su quei principii di vincitori e vinti, allo stesso titolo e in perfetta uguaglianza di dignità e di diritti.

L’approvazione di quella carta era assai più dell’approvazione di una Costituzione della Terra, perché non era la fondazione di un unico Stato per tutta l’umanità, ma di un unico mondo spirituale per tutti gli esseri umani. Uno Stato si fonda sul potere e impone il diritto in nome della forza, un unico mondo spirituale per tutta l’umanità si fonda sulla parola che rende possibile il diritto con la ricerca della giustizia, la libera ricerca della giustizia da parte di tutti gli esseri umani, indipendente da qualsiasi maggioranza, da qualsiasi costrizione, da qualsiasi tentativo di imporre la legge con la forza delle armi. Anche il migliore degli Stati amministra la giustizia che impone con la forza che gli deriva dal potere: l’umanità, per mezzo della parola, del pensiero, cerca la verità e la giustizia indipendentemente dalla forza, anche dalla forza della maggioranza o delle maggioranze: verità e giustizia che devono divenire la regola degli Stati, non dipendere dal loro arbitrio. Nessun singolo Stato ha il diritto di imporre al proprio popolo una legge che l’umanità ritiene ingiusta.

Rispetto agli Stati, la dichiarazione universale dei diritti umani, dunque, è regolativa, non costitutiva. In questa regolatività consiste tutto il suo valore etico e politico.

Tutti i popoli, non soltanto tutti gli Stati, hanno diritto alla pace e alla giustizia, perché hanno diritto alla pace e alla giustizia tutti gli individui umani.

Ci sono, per ragioni storiche e geografiche, popoli senza Stato: essi hanno diritto alla libertà e alla pace come gli Stati nel cui territorio, per motivi di forza militare, si trovano. Non esiste un diritto di proprietà degli Stati nei confronti dei popoli.

La giustizia delle leggi non dipende dal numero delle persone che le hanno volute, ma dalla totalità del popolo del quale sono leggi. Per questo i parlamenti includono e devono includere rappresentanti di ogni orientamento politico che hanno tutti lo stesso diritto alla partecipazione alla formulazione delle leggi stesse. Poiché vale per tutti, la legge ha il dovere di pensare alla libertà e all’uguaglianza nella dignità e nei diritti di tutti i popoli e di tutti i componenti dei popoli, di tutti i cittadini. La legittimità di una legge dipende non dal numero di coloro che l’hanno voluta, ma dal suo essere più o meno capace di rispettar la libertà e l’uguaglianza nella dignità e nei diritti di coloro dei quali è legge.

Dal momento nel quale si è approvata la dichiarazione universale dei diritti umani c’è un problema di universalità dei diritti che non è soddisfacibile soltanto con un criterio di maggioranza politica di chi vuole una legge. L’universalità di una legge non dipende dalla forza del potere, ma dalla capacità del pensiero. Ogni essere umano è chiamato a dare liberamente il suo contributo per giungere alla formulazione di regole che rendano universali le leggi che regolano la vita dei singoli popoli e dell’umanità nel suo insieme.

Questo significa che la guerra, ogni guerra, è una ingiustizia che va fermata sulla base del diritto internazionale, perché ormai esistono dei principii secondo i quali possono stabilirsi le regole pacifiche dei rapporti dei popoli tra di loro. La pace deve ormai dipendere non dall’equilibrio della forza tra gli Stati, ma dai principii del diritto internazionale.

Dal dieci dicembre 1948, dichiarare una guerra e volerla vincere, ma anche, prepararsi a una guerra, preparare una guerra, deve considerarsi un crimine con l’aggravante della premeditazione. L’etica stessa della guerra che prevede l’uso dei cittadini come mezzi, espressione della propria forza militare, viola palesemente i principii della dichiarazione universale dei diritti umani.

Questo non può, non deve più essere ignorato. L’umanità non ha soltanto paura, ma ha piuttosto orrore della guerra. Il Dio nascosto nel cuore degli uomini, di cui parla la Bibbia ebraica, condanna ormai ogni guerra. È semplicemente scandaloso che una parte del Governo israeliano che sta uccidendo migliaia di civili a Gaza si dichiari religiosa.

Così come è scandaloso che gli Stati e le alleanze, in Europa, invochino la vittoria nella guerra in Ucraina come una condizione della pace. Condizione della pace non è la vittoria della guerra, ma il rispetto del diritto dei popoli e dei cittadini alla libertà e all’uguaglianza nella dignità e nei diritti.

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