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Proviamo a disinnescare alcune trappole che nel discorso pubblico distorcono la nostra percezione sulle migrazioni. Lo facciamo attraverso dati statistici ed elementi giuridici, ma soprattutto con la passione e il dolore che affrontare questi temi comporta.

In fuga dai “paesi sicuri”

Non sono clandestini, sono richiedenti asilo – lo ha detto anche la Corte di Cassazione nel 2023 contro l’uso propagandistico del termine fatto dalla Lega Nord, in quanto l’uso della parola “clandestino” è, per la Corte, discriminante. Non sono clandestini, ma richiedenti asilo, perché poter chiedere il diritto all’asilo è scritto nella Carta dell’ONU, nella Convenzione di Ginevra, nella Carta europea dei diritti umani, nella Costituzione italiana. Quando le migranti e i migranti lo richiedono, non sono comunque detenibili, né in Italia, né tantomeno in un Paese terzo (Direttive europee del 2008 e 2013). Ma non accade.

Accade invece che possono essere trattenuti e detenuti, per un presunto pericolo di fuga, o mancanza di documenti e risorse finanziarie, negli hot-spot, nei Cpr e nei Cas. E vi possono stare anche 18 mesi.

Accade invece che il Governo si inventi i Ctra, Centri di trattenimento richiedenti asilo, dove si mettono in atto le procedure accelerate di frontiera, così accelerate che non c’è spazio per l’assistenza legale, non c’è il tempo e il modo per esaminare i casi singoli, le loro storie, i paesi da cui provengono, sia da parte delle Commissioni che della magistratura. Fare in fretta, negare l’asilo e rispedirli a casa loro. Respingerli, questo l’obiettivo. Il diritto è sospeso. Ma accade che i Tribunali non convalidino: i 12 migranti tornano dall’Albania, quelli di Porto Empedocle e Modica vengono rilasciati, e tornano tutti a essere sottoposti alla legislazione, si fa per dire, ordinaria. Le nostre prigioni in Albania per ora sono vuote, ma l’Italia ha ora pur sempre “una sua Guantanamo” (così Luca di Sciullo, Presidente Idos, alla presentazione del Dossier statistico immigrazione 2024).

Se le procedure accelerate decadono perché inammissibili, allora diventano lente, si può restare in un centro di detenzione fino a 18 mesi. Oppure, come per i tunisini, dato che la Tunisia sarebbe un Paese sicuro, si viene rispediti in massa a casa, in un Paese dove i profughi subsahariani vengano mandati a morire nel deserto.

Sulle procedure accelerate sono intervenuti i giudici di Roma, Palermo e Catania perché sono tenuti a garantire la difesa di un diritto, sancito dall’articolo 10 della Costituzione, dalla Convenzione di Ginevra, dalla Carta dei diritti umani dell’Ue e dell’ONU.

È il loro ruolo. All’Unione europea spetta la competenza sul diritto d’asilo, l’ha fatto negli ultimi anni con due Direttive (85/2005 e 32/2013), e spetta alla Corte europea interpretarle e scrivere, come ha fatto con la sua sentenza, i criteri per definire un Paese sicuro al fine dei rimpatri: tutto il territorio di un paese deve essere sicuro, non ci devono essere discriminazioni o repressioni per nessuna categoria di cittadini. E spetta ai giudici attenersi a questi principi. Ignorare queste sentenze significa accettare implicitamente il rischio di esporre migliaia di persone a trattamenti inumani e degradanti, in palese violazione del principio di non-respingimento.

Un esempio, tra i tanti possibili. Fino a pochi giorni fa la Nigeria, paese dove sono assai diffusi i casi di tratta, di matrimoni forzati e di violenze contro le donne, era considerato dal Governo italiano un Paese sicuro. Ce l’hanno raccontato cos’è la Nigeria – nell’esperienza del Tribunale delle donne per le donne migranti – le giovani nigeriane scappate dal rito voodoo o da mariti e padri violenti.

E per il Governo italiano sono sicuri anche il Bangladesh, l’Egitto di Giulio Regeni e di Patrick Zaki. Sul decreto legge del Governo (d.l. 158/2024) il Tribunale di Bologna ha chiesto lumi circa il contrasto di questo decreto con il diritto europeo alla Corte di giustizia europea, con grande scandalo delle destre italiane.

Se andiamo in altri paesi europei, per la Germania è sicura la Georgia, dove l’omosessualità è reato, è sicura la Moldavia, dove i rom sono perseguitati. La Svezia e la Finlandia hanno revocato la protezione agli esuli kurdi, in cambio di un appoggio della Turchia alla loro adesione alla NATO. La Polonia ha sospeso il diritto d’asilo per chi proviene dalla Bielorussia.

In complesso nel 2023 in Europa su più di un milione di richiedenti asilo, hanno ottenuto una forma di protezione sussidiaria o umanitaria intorno a 409.000 richiedenti. La maggior parte in Germania, seguita dalla Francia e dalla Spagna. In Italia nel 2023 sono state 135.000 le domande di protezione internazionale, ne sono state esaminate 47.000, i dinieghi in primo grado sono stati 25.000. Ma se stai ai confini tra Italia e Slovenia, neppure puoi presentarla una domanda di asilo, vieni respinto alla frontiera. E tra chi entra in Italia solo il 25%, i più vulnerabili, sono ammessi nell’accoglienza Sai gestita dai Comuni e dalle famiglie, ma la gran parte (75%) stanno negli hot spot e nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) senza più insegnamento della lingua italiana, assistenza sociale e psicologica.

C’è certamente una ulteriore svolta a destra in Europa, a partire dalla nuova Commissione europea, dai capi di governo del Regno Unito e della Germania, dal voto di PPE e destre nel Parlamento europeo, tutti a favore della detenzione alle frontiere, della esternalizzazione delle frontiere, dell’appalto a Paesi extraeuropei per bloccare o detenere i migranti. Dall’Albania, alla Libia, alla Tunisia, alla Turchia, fino all’Uganda e al Ruanda.

Nel 2026, con l’entrata in vigore del Patto europeo per l’asilo tutto ciò sarà non solo possibile, ma giusto e legittimo. Ma per il momento l’Italia ha ricevuto la stigmatizzazione da parte di un organismo dell’ONU preposto e da parte del Consiglio d’ Europa, per parole, fatti e norme razzisti e discriminatori nei confronti dei migranti.

In questo quadro così buio e feroce, dove solo alcune istituzioni e associazioni fanno luce, cos’hanno da dire i migranti? Sarebbe il caso che potessero parlare, e allora, forse, nel sentire le loro storie di fuga, torture, persecuzioni, violenze, fame, siccità e inondazioni, salterebbe in aria tutto questo sistema omologante e repressivo. Salterebbe non nei fatti, ma nelle nostre coscienze, almeno.

Le donne migranti afghane, pakistane, nigeriane, ivoriane avevano tutte una gran voglia di parlare negli incontri che abbiamo avuto come Tribunale delle donne, e hanno parlato, hanno raccontato le loro vite, hanno denunciato, hanno proposto. Anche tutti/e gli altri e le altre migranti devono poter parlare. Se stanno in un limbo senza diritti, se sono rinchiusi, diventa difficile. Ma se le pietre potessero parlare…

Il lavoro di cura

Non sono badanti, sono lavoratrici domestiche, sono assistenti domiciliari, assistenti familiari, care givers, ma il termine badante, che poco rispetta chi offre la cura e chi la riceve, è destinato a prevalere.

Potranno entrare nel 2025 quasi 20.000 lavoratori e lavoratrici domestici, di cui 9.500 con il decreto flussi triennale e 10.000 con canale di ingresso sperimentale per l’assistenza di grandi anziani e disabili. Si aggiungono ai 428.000 già presenti, dei quali più del 85% donne. Comprendendo anche le lavoratrici e lavoratori italiani, son più di 800.000 (cifra che all’incirca raddoppia, se si aggiungono lavoratrici e lavoratori irregolari). Sono tanti e tante, perché il bisogno di cura cresce, si calcola per il 2025 un fabbisogno di più di due milioni tra colf e assistenti alla persona. In occasione del click day 2023, 110.000 erano state le domande, ma solo 9.500 gli ingressi autorizzati. Il prossimo click day è previsto per il 7 febbraio 2025. È plausibile che, se entrano in forme legali, i loro diritti siano rispettati; ci sono i contratti nazionali, le associazioni e i patronati. Ma chi risolverà quel malessere di chi deve coabitare con l’assistita/o nella assenza di confini di spazio e di tempo, con una giornata lavorativa che talvolta non finisce mai, un carico lavorativo e soprattutto emotivo? Chi risolverà la loro nostalgia per figli lontani divenuti orfani bianchi, “left behind”? Chi le aiuterà anche quando tornano a casa a non subire la “sindrome Italia”, una sindrome di spaesamento, di sentirsi ovunque straniere. Sono contraddizioni che invadono anche le nostre coscienze, di femministe in particolare, perché a loro tendiamo a delegare il lavoro di cura nelle nostre famiglie. Anche se c’è, ma non sempre, nelle nostre famiglie, rispetto dei diritti, dialogo e comprensione, i problemi restano aperti.

Le lotte per i diritti

Non sono trafficanti, i trafficanti non stanno nei barconi, ma sono migranti come Io capitano e come Maysoon Majidi, fuggita dalle persecuzioni in quanto curda iraniana, attiva per i diritti civili e incarcerata in Italia per 11 mesi con l’accusa di essere stata una scafista. Ora è libera, in attesa di una assoluzione, e ringrazia per la solidarietà e l’aiuto politico che ha ricevuto da tanti attivisti. “Mi ha aiutato a resistere sapere che fuori dal carcere c’erano ragazzi e ragazze della mia età (28 anni), ma anche persone più anziane, disposte a battersi per me”. C’è un filo che unisce le lotte per i diritti umani in Iran come in Italia. Ci può essere lo stesso filo a unire le lotte dei migranti, qui e nei loro paesi di origine, alle lotte civili, sociali e politiche che insieme possiamo sostenere. Perché, forse, dopo gli/le immigrati/e, la repressione tocca anche a noi, come sta avvenendo con i decreti sicurezza. Brecht insegna. Le seconde e terze generazioni di origine migratoria possono fare da ponte. E permane il grande tema della cittadinanza, ancora aperto a un impegno comune.

Illuminiamo le buone prassi.

E come non accostare le lotte per l’accoglienza e la dignità delle e dei migranti alle lotte contro un destino di profughi, dei palestinesi – quelli che sopravvivono – e di siriani, curdi, afghani…

Allora l’Altro non sarebbe l’Altro.

*Isabella Peretti è fondatrice dell’Associazione Lesconfinate, cocuratrice della collana sessismoerazzismo (Futura Edizioni). Si è avvalsa in questo articolo di molti dati e considerazioni contenute nei Dossier statistici immigrazione 2023 e 2024, a cura dell’Idos.

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