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L’opinione pubblica si domanda con trepidazione: durerà la tregua faticosamente stipulata tra Israele e il Governo libanese più Hezbollah? Impossibile rispondere senza tener conto di quanto poco l’Occidente sappia del codice islamico di guerra e, in particolare, del significato di tregua (in arabo hudna). Una tregua islamica può essere lunga, in genere decennale (hudna tawìla), oppure breve, di pochi mesi o anche di pochi giorni (hudna qasìra). Ma qualunque sia la durata, si tratta di un principio sacrosanto: non osservarlo equivale a essere spergiuri e quindi a mettersi fuori dalla comunità civile. Nessuno oserebbe violare una tregua formalmente concordata se non per gravi infrazioni della controparte.

La storia delle Crociate è un esempio preclaro di una regola che rimane tuttora in vigore. Nella cruciale battaglia di Hittìn del 1187 il Saladino vittorioso catturò Guy de Lusignan, re di Gerusalemme, e Renaud de Châtillon, signore della rocca di Karak (nell’attuale Giordania). Tempo prima, vigente una tregua per il pellegrinaggio, era passata sotto Karak una carovana egiziana diretta alla Mecca. Renaud de Châtillon l’aveva rapinata e tratteneva in ostaggio nella sua rocca i pellegrini. A loro che gli opponevano la sacralità della hudna e del hajj, ribatté beffardo: «Chiedete al vostro Maometto che vi salvi». Il Saladino gli mandò a dire di liberarli in nome della tregua; al suo rifiuto fece voto di ucciderlo di suo pugno alla prima occasione. L’occasione giunse sul campo di battaglia di Hittìn. Ecco la cronaca di Bahà’ ad-Din, testimone della scena. «Saladino comandò che venissero al suo cospetto il re e Renaud de Châtillon. Lamentandosi il re per la sete, il sultano gli offrì una coppa di sorbetto. Il re ne bevve e la porse a Renaud. Ma Saladino ordinò all’interprete di dire al re: “Sei tu che gli dai da bere; io non offro a questo spergiuro né le mie bevande né il mio cibo”, intendendo con ciò che l’onore esigeva di non fare alcun male a chi aveva mangiato del suo cibo. Al che troncò il capo a Renaud di sua mano, adempiendo al voto». Dopo un lungo secolo di convivenza in Palestina i Franchi non avevano ancora capito quanto era grave violare una hudna.

Anche la storia recente ci insegna qualcosa. Il 15 aprile 2004, all’acme della rovinosa invasione dell’Iraq, Osama Bin Laden fece un’improvvisata offrendo – dal suo covo tra le montagne del Pakistan – una hudna di tre mesi ai governi europei, a condizione che iniziassero a ritirare le loro truppe, visto che «i sondaggi d’opinione rivelano come la maggior parte dei popoli d’Europa voglia la pace». Quel dato sui sondaggi era esatto; ma gli americani non erano certo disposti ad acconsentire a un’offerta del “Principe del Terrore”, una figura che pareva la reincarnazione del Vecchio della Montagna a capo di una nuova Setta degli Assassini rinominata al-Qa’eda.

Più utile al caso nostro è quanto avvenne nel 2006. L’Autorità Palestinese indisse libere elezioni in Cisgiordania e a Gaza, da tenersi il 25 gennaio. Con una mossa intelligente, favorita anche da Netanyahu, Hamas decise di parteciparvi e prese 74 seggi contro 45 seggi ad al-Fatah: senza brogli, come certificato dagli osservatori internazionali. Perciò Hamas propose a Israele una hudna tawìla di 10 anni (Hezbollah in Libano fece lo stesso). Ma su pressione d’Israele, gli Stati Uniti e l’Unione Europea si arrampicarono sugli specchi per disconoscere il responso delle urne. Democratie à la carte? Si chiedevano molti. Ai capi di Hamas non restò che revocare la tregua (lo stesso fece Hezbollah, da cui il devastante attacco israeliano contro il Libano nell’estate 2006).

Non era la prima volta: il 29 giugno 2003 Hamas aveva offerto agli israeliani una hudna qasìra di 45 giorni e poi un’altra di 10 anni nel gennaio 2004. Era stato il suo capo carismatico, lo sceicco paralitico Ahmed Yassin, a suggerire fin dal 1993 delle tregue finalizzate a concludere un vero armistizio senza rinunciare ai propri principi, tra i quali la “distruzione dello Stato sionista” (ma solo sulla carta, come scriveva l’OLP prima di depennarla). Israele aveva deriso quelle offerte, definendole una «cortina fumogena»; e per dirla tutta, il 22 marzo 2004 un elicottero inviato sopra Gaza aveva fulminato sulla sedia a rotelle Yassin all’uscita dalla moschea.

Ma ora interessa sapere se durerà questa tregua di due mesi? Formalmente il testo concordato è irreprensibile e accettato anche da Hezbollah. In pratica, si tratta di adempiere alla Risoluzione 1701, votata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU l’11 agosto 2006, che disponeva – oltre al potenziamento dell’UNIFIL – il ritiro dal sud del Libano di ogni presenza armata che non fosse quella dell’esercito libanese. Una Risoluzione mai applicata interamente, non tanto per l’inconsistenza delle forze libanesi quanto per la resistenza delle forze di Hezbollah a ritirarsi oltre la linea del Litani. Ma qui entrano in gioco le politiche inconfessabili di Netanyahu e del suo “cerchio magico”. Dal 2006 ad oggi Israele non si è mai adoperato seriamente per far applicare la Ris. 1701, pur avendo dalla sua parte il diritto e un’influenza internazionale per pretenderlo. Inoltre, quando arriverà il redde rationem, Netanyahu dovrà spiegarci perché abbia sempre facilitato il riarmo di Hamas attraverso i ricchi contributi del Qatar. Ci dovrà infine chiarire come potesse ignorare che sotto Gaza si stava scavando una rete di cunicoli pari alla metro di Londra, ma zeppa di armi e non di treni. Nel frattempo, sarà bene tenere d’occhio ogni movimento dei contendenti sul confine israelo-libanese, un terreno di campo dove si gioca una partita in cui l’arbitro ha scarsi poteri.

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Un commento a “Quale tregua tra Libano e Israele?”

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