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Le elezioni federali tedesche del febbraio 2025 hanno stravolto il panorama politico della Repubblica Federale Tedesca. Se nell’ex Germania Est ha dilagato l’“ondata blu” di AfD, Berlino, al contrario, si è confermata epicentro della rinnovata energia della Linke, la sinistra radicale che dopo anni di marginalità, divisioni e crisi di identità è riuscita a ricompattarsi in tempi sorprendentemente brevi.

In città la Linke ha ottenuto il 20% dei voti, superando la CDU del sindaco Kai Wegner (18,3%) e i Verdi (16,8%) da sempre forza politica della sinistra di movimento. L’AfD ha raggiunto un preoccupante 15,2%, ma si è affermata solo nell’estrema periferia orientale, nel quartiere di Marzahn – Hellersdorf, mentre l’SPD, che ha governato la città riunita per oltre 30 anni, ha registrato il suo peggior risultato dal 1990 con il 15,1%. L’affluenza cittadina è stata dell’80,3%, segno di un forte coinvolgimento in un contesto di crescente mobilitazione, anche se oltre 900.000 residenti, quasi un quarto della popolazione, non hanno potuto votare perché privi di cittadinanza. Queste persone appartengono spesso alle comunità più attive nelle mobilitazioni per i diritti sociali, contro il razzismo e per il diritto alla casa, e a loro si aggiungerebbero circa 99.000 residenti tra i 16 e i 17 anni, circa il 2,6% della popolazione, che potranno votare alle elezioni locali del 2026. Oltre il 30% di questi segmenti di popolazione sosterrebbe Die Linke, permettendo al partito addirittura di aumentare il consenso.

Ma come spiegare questo iato politico evidente tra il livello nazionale e la capitale?

Se si dovesse cercare un caso esemplificativo del successo della sinistra berlinese, questo sarebbe indubbiamente quello che è successo a Neukölln, ex periferia operaia di Berlino Ovest, storicamente abitata da migranti e rifugiati. Qui Ferhat Koçak, attivista antirazzista e ambientalista di origine curda, ha vinto il collegio uninominale con il 30%: la prima storica affermazione di Die Linke in un collegio dell’ex Germania Ovest. La sua campagna, profondamente radicata nel territorio, ha mobilitato giovani volontari con 500.000 visite porta a porta e un’intensa attività social. Koçak, nipote di Gästarbeitern, è da anni voce pubblica contro razzismo, disuguaglianze e minacce neofasciste. Nel 2018, la sua casa fu bersaglio di un attentato incendiario neonazista, episodio simbolo della violenza dell’estrema destra collusa con alcuni agenti della Polizei. La sua elezione ha segnato un passaggio chiave: una voce delle lotte dei lavoratori migranti entra nel Bundestag, portando visibilità e rappresentanza a comunità da sempre escluse. Dopo la scissione di Wagenknecht, la candidatura, apparentemente coraggiosa, di Koçak si è rivelata vincente, rilanciando la Linke su basi inclusive. E a Neukölln, gli iscritti sono quintuplicati e ora le riunioni si tengono in spazi pubblici più larghi dei locali dei 6 circoli di quartiere. Una storia che ha dimostrato bene quanto la sinistra più popolare, radicata e fedele alla propria identità di classe, parli ai margini e conquisti fiducia.

E il successo della Linke a Berlino è andato oltre i confini di Neukölln e delle sue specificità. Altri casi degni di nota per portata e importanza sono stati la vittoria di Pascal Meiser, attivista dei movimenti per il diritto all’abitare e contro la gentrification a Kreuzberg-Friedrichshain, storica roccaforte dei Verdi; quella di Gregor Gysi, rappresentante della Linke storica, erede del PDS e radicata nella Germania orientale, che ha conquistato il quarto mandato a Treptow-Köpenick, tra la working class “bianca”. E altrettanto notevole la vittoria della co-leader nazionale del partito, Ines Schwerdtner, con il mandato diretto dal quartiere di Lichtenberg, a Berlino Est, contro Beatrix von Storch, fondatrice dell’AfD, dagli inquietanti legami con la scena neonazista cittadina.

Un mosaico sociale: la diversità di Berlino

Una vittoria su più piani, dunque, per una forza molteplice che non poteva che affermarsi nella metropoli dalla composizione demografica e dalla storia più complessa della Germania. Berlino è una delle metropoli più eterogenee d’Europa, probabilmente l’unica e certamente la più popolosa “città santuario” del continente. Ma Berlino è anche un distillato delle peculiarità urbane tedesche: pensiamo proprio a Neukölln e ai suoi 329.917 abitanti di cui il 25,8% stranieri ed il 48% tedeschi ma con background migratorio. O a Kreuzberg, con il 31,6% senza la cittadinanza tedesca, e la fortissima presenza di comunità turcofone e arabe. In entrambi questi quartieri, un abitante su due ha una storia di migrazione alle spalle, con il suo carico di esclusione, razzismo e – nel dibattito del 2025 – di criminalizzazione islamofoba. E questi territori, allargando lo sguardo, sono evidentemente emblema della Germania del 2025: un paese che ha accolto negli ultimi dieci anni tre milioni di rifugiati e centinaia di migliaia di stranieri, comunitari o extracomunitari.

E se Neukölln è l’emblema della Germania meticcia che premia la sinistra radicale, Sonnenallee – il grande viale che attraversa il quartiere – ne incarna le contraddizioni più vive. Qui, dove la Linke ha sfiorato il 45%, batte il cuore della comunità mediorientale berlinese, inclusi numerosissimi discendenti palestinesi. È la strada conosciuta in tutta Europa per essere stata teatro degli scontri più duri con la Polizei durante le – ormai centinaia – di manifestazioni e presidi per Gaza che tante e tanti hanno visto sui social negli ultimi anni. Una strada che è diventata la Mecca dell’opposizione all’ondata islamofoba e razzista che ha travolto le urne federali a febbraio.

È stato proprio dai quartieri di Neukölln e Kreuzberg, che le comunità musulmane hanno giocato il loro ruolo chiave nel successo di Die Linke. Sono le stesse comunità che hanno affrontato le sfide maggiori, soprattutto a partire da ottobre 2023, con le prime manifestazioni in solidarietà con la Palestina e l’arresto di 174 attivisti nei primi scontri con la Polizei. Da lì si è innescata un’escalation repressiva accompagnata da una campagna mediatica martellante, che ha giustificato l’adozione di misure senza precedenti contro la libertà di espressione in una città dalla tradizione liberale come Berlino. Repressione che, partendo dalle manifestazioni pro-Pal, il governo CDU-SPD ha esteso alle proteste più ampie. Nel maggio 2024, ad esempio, la polizia ha sgomberato con la forza circa 150 manifestanti pro-Palestina dall’Istituto di Scienze Sociali dell’Università Humboldt. La cancellazione di eventi culturali e accademici legati alla Palestina è diventata prassi, con casi emblematici come quello dell’Università di Colonia, che ha ritirato un’offerta di docenza alla filosofa Nancy Fraser per il suo sostegno alla Palestina; o quello della Freie Universitàt Berlin che ha cancellato il talk di Francesca Albanese, relatrice speciale per le Nazioni Unite, in seguito a pressioni da parte del sindaco di Berlino e dell’ambasciatore israeliano in Germania. Francesca Albanese, invitata da Judische Stimme e da Diem25, ha subito numerose accuse di antisemitismo, intimidazioni e minacce di arresto da parte delle autorità locali. O ancora, vi è stato il caso del professor Ghassan Abu Sittah, rettore dell’Università di Glasgow, fermato e successivamente espulso all’aeroporto di Berlino, dove era giunto per partecipare a una Conferenza per la Palestina. La conferenza stessa è stata interrotta e sgomberata dalle forze dell’ordine, nello sgomento della sinistra berlinese. Dopo le elezioni, Berlino ha perfino avviato richieste di espulsione per cittadini UE e statunitensi incensurati, unicamente sulla base della loro partecipazione a manifestazioni, con accuse generiche e spesso senza prove. Una deriva pericolosa per lo Stato di diritto, in un clima generale di odio islamofobo rilanciato dall’estrema destra di AfD e tradotto in episodi di violenza.

Solo la sinistra radicale si è sottratta alla strumentalizzazione della tragedia mediorientale, a differenza delle forze del governo Scholz, Verdi compresi. Una scelta difficile e non scontata nel quadro della sinistra storica tedesca, considerata la sua diffusa e longeva accondiscendenza verso le azioni del governo israeliano, motivata dalla “speciale responsabilità del popolo tedesco verso la vita ebraica ovunque nel mondo” (cit. Gregor Gysi). Una tendenza quest’ultima, a essere onesti, oramai in minoranza e sempre in tensione dialettica con le nuove e più giovani generazioni del partito che vengono proprio dai quartieri popolari come Neukoelln e Kreuzberg come dai contesti più metropolitani tedeschi e che hanno saputo diventare maggioritarie costruendo alleanze dalle strade delle città alle lotte internazionali, salvando il partito di sinistra dalla sua crisi di identità e consensi.

La questione abitativa e le critiche alla coalizione CDU-SPD

La polarizzazione politica a Berlino, che richiama le “Cultural Wars” statunitensi ma con forti elementi di classe ed economici, si intreccia con la lunga battaglia contro la crisi abitativa. La gentrification, la turistificazione e l’espulsione dei più vulnerabili da diversi quartieri hanno reso la “casa” la priorità assoluta per i berlinesi. Da anni la Linke sostiene i comitati per il diritto all’abitare e ha rilanciato, proprio a fine 2024, la proposta di espropriare i colossi immobiliari. La stessa che fu approvata dal 56,4% dei cittadini nello storico referendum del 2021 e disattesa clamorosamente dalla coalizione di governo della città CDU-SPD. Sia l’ex sindaca dell’SPD Giffey sia l’attuale della CDU Wegner ne hanno ignorato l’esito, reintroducendo misure a favore della rendita immobiliare. Questo tradimento del mandato democratico ha rotto in modo drammatico il rapporto di fiducia tra molti berlinesi e i partiti tradizionali, spingendoli verso la sinistra radicale che su questo punto è stata percepita come coerente persino da elettori moderati.

L’ombra dell’estrema destra

Sebbene in Germania si dica sempre “Berlin ist kein Deutschland” (Berlino non è la Germania), la capitale non è isolata dal contesto nazionale, dove Alternative für Deutschland (AfD) è salita al 24% nei sondaggi. Anche nella capitale sono aumentati gli episodi violenti di matrice razzista e neofascista: nel 2024, secondo l’Ufficio per la protezione della Costituzione, i reati di matrice estremista sono cresciuti del 17,34%, raggiungendo 33.963 casi, tra cui circa 2.000 attacchi violenti, come incendi a centri e negozi di migranti e atti di vandalismo contro moschee e spazi culturali, concentrati a Neukölln e Kreuzberg. A marzo 2025, nel quartiere di Friedrichshain, una marcia neonazista del movimento Identitario, con esponenti AfD e youtuber della “manosfera”, ha causato scontri con contro-manifestanti, mostrando l’aggressività della nuova destra, simile al movimento MAGA negli USA. È facile leggere il voto per la sinistra radicale di queste comunità anche in chiave di autodifesa dalla violenza, non solo verbale o concettuale, della destra.

Alle ultime elezioni inoltre, l’AfD ha ottenuto il 28% tra i giovani maschi e addirittura il 30% tra gli under 35 omosessuali, segnalando un suo crescente appeal non solo nei quartieri orientali ma sorprendentemente in segmenti variegati e demograficamente significativi nella capitale tedesca. Al contrario, tra le donne under 35 e nella più attiva scena queer cittadina, Die Linke ha ottenuto il 33%, seguita dai Verdi al 27%. Questa polarizzazione politica che si sovrappone a divisioni di genere, orientamento sessuale e origine migratoria, rende sempre più fragile la governance del “centro politico”. A Berlino in modo più drammatico, data la contiguità fisica in cui vivono questi mondi in conflitto irreversibile tra loro, ma in generale in tutta la Germania. Sono proprio queste tensioni sociali ad alimentare la sfiducia nei partiti storici di governo, sempre più asserragliati in un moderatismo inservibile per i bisogni delle fasce escluse, specialmente delle minoranze e delle classi urbane marginalizzate. È in questo quadro che si può leggere ancora meglio l’aumento del consenso verso Die Linke rispetto, per esempio, alla proposta politica socialsciovinista e conservatrice del Bundnis Sarah Wagenknecht.

Prospettive future: Die Linke verso il Rotes Rathaus?

Provando a guardare al futuro, il successo di Die Linke nel 2025 prefigurerebbe una svolta storica alle elezioni comunali berlinesi del 2026: una vittoria che avrebbe eco federale e rappresenterebbe un primo severo giudizio sul governo Merz, il cui contratto programmatico tra CDU/CSU e SPD prende a modello proprio il “centro politico” che guida Berlino. L’insoddisfazione per le politiche abitative, la gestione repressiva delle tensioni sociali, l’aumento delle disuguaglianze, l’autoritarismo burocratico e giudiziario verso rifugiati e stranieri e l’austerità selettiva sui progetti socio-culturali potrebbero spingere molti berlinesi verso alternative più radicali, ma più vicine ai reali bisogni dell’elettorato.

Die Linke appare precisamente come l’unica forza capace di intercettare questo malcontento, in modo inedito anche nei quartieri popolari e multietnici, pur mantenendo il suo radicamento a Est, dove contende ad AfD il voto di protesta. La possibilità che la sinistra radicale conquisti il Rotes Rathaus – sede del sindaco – non sembra più utopica. Già oggi, secondo sondaggi di marzo 2025, Die Linke è in testa con il 24%, seguita dai Verdi al 21% e dalla CDU in calo al 18%.

Se il consenso crescerà anche di poco, una assolutamente inedita coalizione Linke-Verdi potrebbe diventare possibile. Uno scenario temuto dalla Grosse Koalition a guida CDU, perché Berlino, pur diversa dal resto della Germania, incarna da sempre quelle contraddizioni strutturali nazionali che CDU e SPD hanno rimosso dal dibattito politico, come mostra il nuovo contratto di governo, basato su un conservatorismo rabbioso che attribuisce la crisi economica alla polarizzazione politica, agli immigrati, ai sussidiati e alle proteste contro il genocidio a Gaza, bollate indistintamente come antisemite. Poco prima del voto, Merz dichiarava: “Non accoglieremo profughi da Gaza, nel nostro paese abbiamo abbastanza giovani uomini antisemiti”. Parole che identificano come “nemico interno” tedesco una parte consistente proprio della società berlinese.

Per Merz, migranti, solidali con i palestinesi, disoccupati e poveri sono un problema. E per questo quartieri come Neukoelln – con il 12,1% di disoccupazione (contro il 5,8% federale) e oltre 90.000 percettori del Bürgergeld – rappresentano un laboratorio politico alternativo. Zone dove quasi metà della popolazione ha origini migratorie e dove la Linke ha stravinto “a sorpresa” con una campagna basata sulla speranza: casa, diritti, libertà, diritto internazionale.

La strada è stretta, ma l’entusiasmo è tornato nelle sezioni della sinistra berlinese. Se Die Linke saprà consolidarsi nei quartieri popolari e multietnici, unendo le sue anime, anche su temi complessi come la politica estera – cruciale in una città che ospita esuli da Palestina, Ucraina, Kurdistan e oltre – e se riuscirà, con i movimenti sociali, a proporre un progetto credibile, il 2026 potrebbe segnare l’elezione del primo sindaco di sinistra radicale nella Berlino riunificata.

In un panorama segnato dalla crescita dell’AfD, dal ritorno di un conservatorismo austero e da campagne contro i migranti, Berlino può quindi diventare capitale europea di un’altra storia: un’amministrazione di sinistra, antifascista, popolare, solidale ed internazionalista. Un segnale forte alla sinistra continentale contro il populismo di destra, l’etnonazionalismo e il tecnofascismo.

Sarebbe una svolta non solo locale ma un messaggio all’Europa: la democrazia si difende con inclusione e giustizia sociale, non con repressione e austerità. Ma da qui al voto, servirà opposizione dura al governo Merz. Da questo dipenderà il futuro della Linke, a Berlino e in Germania.

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