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“La luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta”.

(citazione di Papa Franceso dal Prologo Di Giovanni,
nell’omelia dell’Angelus a San Pietro, domenica 5 gennaio 2025)

La nostalgia di ogni tramonto
è speranza nell’alba.

Pubblichiamo questo articolo come anticipazione del volume collettaneo numero XXXIII/27 della collana Athanor dell’Università degli Studi di Bari, diretta da Augusto Ponzio, dal titolo “Il diritto all’infunzionalità come fondamento dei diritti umani”, a cura di Susan Petrilli, Mimesis Edizioni, Milano.

L’ingiustizia, in greco ἀδικία, con l’alfa privativo, non è il contrario – l’opposto – della giustizia, ma la sua privazione, la sua mancanza.

Possiamo avere una grande ricchezza e goderne, un senso di grande abbondanza, mancando tuttavia, in modo grave, di giustizia. Questa mancanza possiamo nasconderla con le parole, fuggirla con il pensiero, ma spesso si vede a occhio nudo, anche se a sentirne le conseguenze, molto spesso materiali, sono altri da noi.

Da sempre, la povertà di alcuni esseri umani dipende dall’ingiustizia di altri esseri umani, ma gli ingiusti hanno da sempre usato ogni mezzo per nasconderlo, per evitare di scoprire la loro ingiustizia. Chi è ricco dice di meritare la propria ricchezza e cerca di dimostrarlo in ogni modo. Si dice che chi è povero meriti, anche lui, la propria povertà, spesso per giustificare la ricchezza di chi è ricco.

Nelle società, in tutte le società, negli Stati, in tutti gli Stati, da sempre ci sono dei modi per passare dalla povertà alla ricchezza, ma sempre mantenendo quel tanto di ingiustizia, di mancanza di giustizia, che consente il mantenimento della povertà e della ricchezza, della gloria e dell’ignominia, del bene e del male, della pace e della guerra, dell’alto e del basso. L’alto e il basso non sono concetti soltanto spaziali perché la società umana è gerarchica come lo è il branco in certe altre specie animali. Si preferisce, spesso, riportare il concetto di gerarchia nell’ordine del sacro, anziché alla situazione degli individui nel branco. Non a caso il termine gerarchia deriva da ἰερός, sacro, divino.

Sull’ambiguità del termine sacro, pur avendo già scritto, confesso che è ben difficile dire in modo esauriente dei suoi significati e del suo uso. Certamente esso giustifica molto spesso in termini di divino il potere e il possesso dei beni di alcuni, privilegiati, esseri umani.

La solidarietà, il reciproco essere in rapporto nella comunità politica, attraverso la parola, il logos, degli individui umani tra loro, viene alterato dalle leggi esteriori dello Stato, producendo anche enormi disuguaglianze di ogni genere e rendendo alcuni esseri umani privi della possibilità di una vita umanamente libera e dignitosa.

Per operare in questa direzione, alcune comunità umane, nei secoli, si sono organizzate in modo tale da rendere possibile anche un impoverimento sempre maggiore dell’ambiente naturale, del mondo della vita al quale anche l’essere umano appartiene, del quale l’essere umano è una parte.

V’è uno stretto rapporto tra l’ingiustizia politica e l’ingiustizia nel rapporto tra gli esseri umani come specie e gli altri viventi nel mondo della vita. Con il progresso delle conoscenze che rendono sempre più potenti i mezzi di aggressione sia degli esseri umani nei confronti degli altri esseri umani, sia degli esseri umani nei confronti del mondo della vita, questa situazione di mancanza, di privazione, dell’ingiustizia, è divenuto sempre più evidente, fino al punto di mettere a rischio la vita non soltanto dei diseredati nelle singole comunità politiche, ma persino le condizioni di vita della specie umana nel suo ambiente naturale.

L’ingiustizia, come afferma Platone nella Repubblica, è privazione del bene – ἀγαθόν –, una idea che soltanto l’essere umano, in quanto parla, può concepire. Il bene, dice il Socrate platonico, e la giustizia sono la cosa medesima. E il bene è il padre del sole, che sta all’origine della vita in tutte le sue forme. La privazione della giustizia, quindi, la sua mancanza, diviene prima o poi mancanza della vita, rischio di perdere la vita.

Questo sta nello spirito dell’Occidente attraverso la tradizione filosofica greca. Una tradizione che si incarna poi nei Vangeli cristiani e ha nella figura del Cristo una parola della rivelazione e una testimonianza divina per chi crede nella Sua divinità, ma anche umana per chi questa fede non la ha.

Papa Francesco ha manifestato in ogni suo atto questa fede, ma anche questa tradizione del pensiero occidentale.

Dobbiamo sperare che questa sua testimonianza non vada perduta.

Roma, 25 aprile 2025

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