Intervento di Maria Luisa Boccia al convegno il “Coraggio della pace – Disarma”, tenutosi a Roma tra il 9 e l’11 maggio 2025.

L’ antropologia politica basata sull’opposizione amico-nemico ha la matrice immaginaria dell’indipendenza dei singoli che stringono un patto con il quale danno vita allo Stato-nazione. L’ossessione identitaria è il veleno che intossica le società contemporanee, contrappongono i diritti di un gruppo sociale a un altro. Per costruire convivenza dobbiamo rendere operante l’imperativo di “ripudio della guerra”, scritto nella Costituzione italiana, e che è principio fondativo dell’ONU. Non è un enunciato valoriale astratto, ma un fine politico da realizzare, rendendo efficaci e operanti nelle relazioni internazionali le forme e le pratiche di civilizzazione dei conflitti che operano – o dovrebbero operare – all’interno degli Stati nazione.

“Noi intuiamo una soluzione alla guerra ben più realistica di quelle offerte dagli studiosi nella rottura del sistema patriarcale” così Carla Lonzi nel 1970 (Sputiamo su Hegel, 1974).

Non è una affermazione retorica, ideologica: Per “soluzione realistica” Lonzi intende la fine della politica basata sull’opposizione amico-nemico che prevede il regolare e legittimo ricorso alla guerra. In questa concezione potere-forza-violenza sono equivalenti, hanno una comune matrice nella virilità, nella supremazia del sesso maschile. Una soluzione realistica della guerra richiede di andare alle radici inscritte nella storia, incistate nell’interiorità, legittimate dalle narrazioni e dai saperi.

Per cambiare i rapporti tra i sessi il femminismo ha dovuto pensare e praticare una differente politica perché non si è proposto di rovesciare i rapporti di dominio, di sottomettere il sesso maschile, ma di modificare la coscienza di sé – di donne e di uomini –, il rapporto con l’altro da sé, la condivisione del mondo tra soggetti differenti.

Togliere la complicità femminile alla guerra ha voluto dire “fare tabula rasa” – sono parole di Lonzi – della cultura ricevuta, delle rappresentazioni su cui poggia il rapporto tra politica e guerra. Ed è opera tanto più indispensabile nella realtà attuale di consumo quotidiano di immagini e parole che costruiscono la normalità della guerra-

Simone Weil parla di ricorso a “parole omicide”, adorne di maiuscole: Vita (il valore per eccellenza), Libertà, Democrazia, Nazione, Patria, Popolo. Parole che hanno perso ogni legame con la materialità dell’esistenza, con le vite concrete, divenute scarti, numeri.

Il lavoro sulle parole, volto a costruire una diversa lettura della realtà è essenziale per sottrarsi al fondamentalismo etico, allo scontro di civiltà tra Bene e Male che legittima “la guerra giusta”.

Per costruire una convivenza durevole, la sola sicurezza “realistica”, dobbiamo pensare la pace non come cessazione della guerra, delle guerre, in atto, ovvero come un intervallo, più o meno lungo, tra una guerra e un’altra, ma come costruzione di un ordine mondiale, e regionale, basato su un diverso modo di agire e risolvere i conflitti, sul riconoscimento della pluralità delle differenze, sulla reciproca dipendenza, sulla comune vulnerabilità.

L’ antropologia politica basata sull’opposizione amico-nemico, noi-loro, ha una matrice immaginaria, quella dell’indipendenza dei singoli che stringono un patto con il quale danno vita allo Stato-nazione. L’ossessione identitaria è il veleno che intossica le società contemporanee: nazionalismi, populismi, politiche identitarie, che contrappongono i diritti di un gruppo sociale a un altro, minano la convivenza dentro e fuori i confini delle società- Stato.

Per costruire convivenza dobbiamo rendere operante l’imperativo di “ripudio della guerra”, scritto nella Costituzione italiana, e che è principio fondativo dell’ONU. Non è un enunciato valoriale astratto, ma un fine politico da realizzare, rendendo efficaci e operanti nelle relazioni internazionali le forme e le pratiche di civilizzazione dei conflitti che operano – o dovrebbero operare – all’interno degli Stati nazione.

Vanno in direzione del tutto opposta le recenti proposte di riarmo della UE. È auspicabile, ed è realistico, proporsi di fare dell’UE una potenza militare in grado di competere con altre potenze nel mondo? O, viceversa, non sarebbe necessario fare del ripudio della guerra un principio formale, giuridico, dell’Unione, coerente con la storia da cui trae origine?

Sulla demolizione del nemico faccio mie le parole di Yonatan Zeigen, in un’ intervista pubblicata nel sito Gariwo.mag (11 aprile 2025): “ Trasforma il tuo nemico in un partner”. Figlio di Vivian Silver uccisa il 7 ottobre nel kibuz di Be’eri, Zeigen si dedica interamente all’attività di un’associazione di parenti delle vittime volta a costruire la convivenza tra i due popoli. Il fine è di superare l’obiettivo di “due popoli, due Stati” per costituire una Confederazione, ritenuta la sola alternativa durevole, realistica (torna questa parola) rispetto al rischio, probabile, del riesplodere del conflitto violento che ha segnato la storia della regione. Volere davvero la pace significa “riconoscere l’umanità dei palestinesi pari alla nostra”. Solo “condividendo libertà, diritti, sicurezza” si può risolvere “ il grande problema della terra”. “O noi o loro” è, viceversa, la risposta semplice del potere alla paura identitaria.

Per realizzare questa soluzione è necessaria una presenza attiva della comunità internazionale, con un’azione coordinata e non con iniziative dei singoli Stati. È significativo il riferimento all’orientamento che è prevalso nei diversi paesi dell’Occidente: “sembra che finora abbiano importato il conflitto invece di esportare soluzioni”. “Gli ebrei e i mussulmani, o palestinesi, nel mondo se davvero amano i loro popoli in Medio Oriente devono marciare insieme sotto la bandiera della pace invece che sotto le bandiere nazionali”.

Raccogliamo il suo invito se vogliamo davvero demolire il nemico.

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