Ambiente, Internazionale, Politica, Temi, Interventi

Ho più di 80 anni, e quindi, con 40 gradi di temperatura mi si invita pressantemente dalle autorità sanitarie a non uscire di casa fra le 10 e le 18, di bere tanta acqua, di mangiare poco e bene. Frutta e verdura, tra l’altro sempre più care. A casa sto bene. Ho l’aria condizionata, un TV con il satellitare, e tanti libri da leggere. Ma come mi capita fin da piccolo – la terribile educazione di un padre partigiano e comunista – non riesco a non pensare agli altri. A quelli che casa non ce l’hanno, a quelli che sotto il sole vanno nei cantieri o a raccogliere frutta e verdura nei campi, e a quelli che per vivere girano sotto il sole in bicicletta – quando va bene a pedalata assistita – per portare in giro pacchi di Amazon o cibo per Deliveroo. Guardo ansiosamente il meteo per capire se domani migliorerà. Ma le previsioni disponibili non lasciano scampo. A luglio e a agosto la temperatura si alzerà ancora. Sarà superiore di 2 o 3 gradi a quella dello scorso anno, che era sua volta il più caldo degli anni precedenti. E un po’ di gente, soprattutto povera e anziana, come è già successo l’anno scorso, comincerà a morire di caldo. Nemmeno la pioggia e il vento porteranno beneficio. Perché, come sta già succedendo nell’Italia del Nord e in molte parti di Europa, si abbatteranno sui nostri campi e sulle nostre città come un flagello, senza nemmeno provocare un abbassamento della temperatura. Le autorità di bacino che monitorano le condizioni idriche del nostro paese ci dicono che fra un po’ avremmo qualche serio problema con la distribuzione dell’acqua. Ancora. Lo zero termico si sta già situando a 5.000 metri. Le nevi si sciolgono anche sul Monte Bianco, e si accelererà la drastica riduzione dei ghiacciai. Gli scienziati, questi sconosciuti ai politici che ci governano, ci dicono che stiamo già sopra l’aumento della temperatura su quanto era previsto dagli accordi di Parigi, che erano il limite invalicabile per mantenere una vita decente per il genere umano sulla terra. E per preservare il modo per le generazioni future.

Mi fa un po’ impressione che nel dibattito parlamentare prima dell’andata di Meloni al Consiglio d’Europa e alla riunione della NATO, del caldo non abbia parlato quasi nessuno, rivelando ancora una volta la distanza che separa la politica dalla vita delle persone. Il riscaldamento climatico è stato evocato per criticare, da parte della Presidente del Consiglio, gli eccessi del Green Deal europeo, e per magnificare il ruolo dell’Italia che ha avuto un ruolo essenziale per ridimensionarne la portata e gli obiettivi, contro i talebani del verde che tanto male rischiano di fare alla nostra economia. La quale Presidente si è accodata con entusiasmo accodata al servilismo di Rutte verso Trump per aumentare fino al 5% del PIL la spesa militare del nostro Paese, dentro la strategia, già esplicitata dalla von der Leyen del riarmo dell’Europa contra la possibile aggressione russa. La deterrenza, il para bellum, diventa il regolatore principale dei rapporti fra le nazioni. Il riarmo diventa addirittura per la Germania, in primo luogo, ma per l’intera Europa, il volano per superare la crisi della industria. Abbiamo ragionato per anni di riconversione dell’industria bellica, oggi sta avvenendo il contrario, con ripercussioni terribili anche sul nostro futuro. La produzione di armi diventerà sempre più la condizione per la tenuta del nostro settore produttivo. Produrre armi, il peccato più grave per Papa Francesco, ma anche per Leone XIII, diventerà il modo principale per assicurare lavoro industriale negli anni che verranno.

Questa cosa aumenterà il nostro caldo quotidiano. Le armi son un potente fattore di inquinamento atmosferico, di produzione di CO2, sia quando vengono usate che quando sono fabbricate. La deterrenza, i nazionalismi ostili, la ricerca e l’invenzione del nemico, rendono impossibile la collaborazione fra nazioni e continenti, che è la condizione imprescindibile per impedire che il riscaldamento climatico renda in vivibile il Pianeta. Solo un mondo regolato dal rispetto reciproco fra i Paesi renderà possibile questo sforzo comune, sempre più disperato e sempre più imprescindibile. L’Europa, oggi marginale, potrebbe tornare grande se proponesse al mondo, agli americani, ai russi e ai cinesi, un vero e proprio piano di disarmo, capace di invertire la tendenza mortifera in atto basandosi sulla necessità generalizzata di essere sicuri non solo verso i nemici veri o presunti, presenti o futuri, ma soprattutto verso il crescere impetuoso del riscaldamento climatico, che è la minaccia alla vita umana già in atto. Una strada difficile, forse impossibile. Con Putin che intensifica i suoi bombardamenti sull’Ucraina, con Netanyahu che stermina civili innocenti, con Trump che si fa alfiere del riarmo e delle trivelle per estrarre e produrre ancora più gas e petrolio, e l’Europa, con l’Italia in prima fila, che lo segue. Ma se vogliamo costruire davvero un grande movimento di popolo per mettere fine agli orrori del tempo presente, accanto alla denuncia degli orrori della guerra, e della follia di investire risorse in ciò che la guerra alimenta e perpetua, dobbiamo cominciare a mettere in luce come guerra e armi stanno distruggendo vita non solo in Palestina, in Ucraina e in tante altre parti del mondo, ma stanno alterando e minacciando la nostra stessa vita, hanno a che fare col caldo che ci opprime e con la grandine che ci flagella.

A scuola sì continua a leggere e a studiare Leopardi. E alla fine del liceo si legge “La Ginestra”. Che esalta l’umiltà di questa piccola pianta, che resiste alle eruzioni del Vesuvio che hanno distrutto tanta vita e tanta storia umana, e la contrappone alla superbia arrogante degli uomini, inconsapevoli della propria fragilità, intenti a immaginare “magnifiche sorti e progressive” – oggi potremmo dire a progettare la crescita del PIL – e a costruirsi nemici da combattere, invece di unirsi per arginare la forza distruttiva della natura. Messaggio più che mai attuale, tanto più che oggi “lo sterminator Vesevo” siamo noi.

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