Introduzione
L’acronimo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) designa un forum di coordinamento politico, diplomatico ed economico che riunisce le economie più rilevanti del cosiddetto Sud Globale. Istituito nel 2009 su iniziativa congiunta di Brasile, Russia, India e Cina, il gruppo è stato successivamente ampliato nel 2010 con l’ingresso del Sud Africa, con l’obiettivo esplicito di riformare la governance delle istituzioni politiche ed economiche internazionali affinché risultino maggiormente rappresentative degli interessi dei Paesi in via di sviluppo, in proporzione al loro crescente peso economico e demografico.
Negli ultimi anni, i BRICS hanno conosciuto un notevole processo di espansione, accogliendo tra i membri a pieno titolo l’Egitto, l’Etiopia, l’Iran, gli Emirati Arabi Uniti e l’Indonesia, e arrivando così a rappresentare quasi la metà della popolazione mondiale e circa il 35% del PIL globale. Parallelamente, il gruppo ha formalizzato rapporti di partenariato con numerosi altri Paesi, tra cui Bielorussia, Bolivia, Kazakistan, Cuba, Nigeria, Malesia, Thailandia, Vietnam, Uganda e Uzbekistan.
Una panoramica sui contenuti della Dichiarazione Congiunta – luglio 2025
A quasi vent’anni dal primo incontro ufficiale, il 17° Vertice dei BRICS – pur avendo progressivamente esteso la propria agenda tematica a questioni quali il cambiamento climatico, la transizione energetica e la riforma della governance digitale – continua a perseguire alcuni dei suoi obiettivi fondativi. Tra questi, riveste ancora un ruolo centrale la richiesta di una profonda ristrutturazione dell’architettura finanziaria internazionale, con particolare riferimento al Fondo Monetario Internazionale (FMI) e alla Banca Mondiale (BM). I Paesi membri ribadiscono l’esigenza di una maggiore rappresentatività dei mercati emergenti e in via di sviluppo all’interno di tali istituzioni, ritenute oramai anacronistiche rispetto agli attuali equilibri economici globali.
La riforma della governance globale costituisce infatti uno degli assi portanti della Dichiarazione Congiunta intitolata “Strengthening Global South Cooperation for a More Inclusive and Sustainable Governance”, adottata a Rio de Janeiro, che si apre riaffermando un interesse già espresso in precedenti edizioni: la modifica della composizione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di includere nuovi membri permanenti, in particolare India e Brasile. La discussione prosegue affrontando la questione delle quote di voto nel FMI, rispetto alla quale i BRICS auspicano un riallineamento sostanziale che rifletta in modo più accurato il peso economico relativo delle economie globali.
Inoltre, i leader del forum hanno promosso iniziative comuni in ambiti cruciali quali il cambiamento climatico, la transizione digitale – con particolare attenzione alla governance dell’intelligenza artificiale – e il rafforzamento della cooperazione economica, anche attraverso strumenti innovativi come il BRICS Pay. Quest’ultimo mira a costituire un’alternativa ai tradizionali sistemi di pagamento internazionali, con l’intento di ridurre la dipendenza dal dollaro statunitense, obiettivo da tempo presente nell’agenda del gruppo.
Durante il Summit sono stati inoltre riaffermati i principi fondamentali che ispirano l’identità del forum sin dalle sue origini, in linea con lo spirito di Bandung e i postulati della coesistenza pacifica del secondo dopoguerra: rispetto reciproco delle sovranità nazionali, solidarietà, eguaglianza, inclusività, cooperazione vantaggiosa per tutte le parti (win-win), centralità delle istanze del Sud Globale e priorità agli strumenti multilaterali.
Attraverso la Dichiarazione Congiunta, i BRICS si pongono anche in contrasto con le misure protezionistiche di matrice trumpiana (pur senza menzionare esplicitamente il presidente degli Stati Uniti), riaffermando il proprio sostegno al sistema commerciale multilaterale incarnato dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), riconosciuta come principale organo normativo dell’economia internazionale. In tale contesto, viene anche caldeggiato l’ingresso all’OMC di Paesi come Iran ed Etiopia. Se, da una parte, il BRICS, nella sua forma ampliata, diventa uno dei principali bersagli della retorica protezionistica statunitense, che minaccia di imporre dazi più elevati agli aderenti a quello che Trump definisce un “blocco anti-americano”, dall’altra, il gruppo si propone come alfiere del libero commercio e dell’abbattimento delle barriere tariffarie e non tariffarie.
La Dichiarazione si esprime anche in merito ai principali teatri di crisi internazionale. Tra questi, viene condannato l’attacco all’Iran del 13 giugno 2025, definito una violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. Viene inoltre denunciata la gravità della situazione nella Striscia di Gaza, per la quale si chiede un cessate il fuoco incondizionato e il ritiro delle truppe israeliane sia dalla Striscia sia da tutti i Territori Occupati, affermando al contempo il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e alla creazione di uno Stato indipendente. I BRICS, inoltre, si oppongono a qualsiasi sanzione internazionale unilaterale, non stabilita dalle Nazioni Unite e qui il riferimento va naturalmente all’Iran e alla Russia quali principali destinatari di sanzioni statunitensi.
Vi è nella dichiarazione una differenza evidente tra le nette prese di posizione rispetto al conflitto tra Israele e Palestina e la posizione più sfumata e meno univoca in relazione al conflitto russo-ucraino. Il testo si limita, infatti, alle seguenti parole: “Richiamiamo le nostre posizioni nazionali sul conflitto in Ucraina già espresse nei fora appropriati, quali il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. […] Ci aspettiamo che gli sforzi attuali conducano a una soluzione di pace sostenibile”.
Interessi e asimmetrie dentro e fuori dai BRICS
All’interno del gruppo BRICS, si registra un’incontestabile egemonia economica della Cina, la quale si traduce in un’influenza politica altrettanto significativa. Il prodotto interno lordo cinese risulta essere circa quattro volte superiore rispetto a quello dell’India – che costituisce la seconda economia per dimensioni all’interno del blocco – e il divario appare ancora più marcato se si considerano la Russia, il Brasile e, in misura ancor maggiore, le economie minori che compongono il gruppo. Bast pensare che il 70% del PIL complessivo dei BRICS è attribuibile alla sola Cina.
Tali asimmetrie si riflettono nelle relazioni commerciali e finanziarie intra-BRICS. Con la parziale eccezione dell’India, gli scambi tra la Cina e gli altri membri del gruppo si strutturano secondo un modello centro-periferia, in cui la Cina importa prevalentemente materie prime (minerali, risorse energetiche, prodotti alimentari) ed esporta prodotti finiti a più alto valore aggiunto. Le politiche di investimento estero promosse da Pechino, riconducibili in larga parte al quadro strategico della Belt and Road Initiative, si concentrano sul finanziamento e sulla realizzazione di infrastrutture logistiche e impianti estrattivi, funzionali all’approvvigionamento delle risorse necessarie al sostegno della propria crescita economica; e sulla delocalizzazione del manifatturiero ad alta intensità di lavoro che richiede livelli molto bassi di professionalizzazione e di salario.
Queste dinamiche hanno dato origine a un intenso dibattito accademico e pubblico circa la possibilità di rintracciare, nelle pratiche economiche e nelle relazioni di potere promosse dai BRICS, nuove forme di imperialismo caratterizzate da una ridefinizione delle modalità di controllo e dipendenza economica. Simili configurazioni, pur su scala ridotta, si manifestano anche nei rapporti tra le altre economie maggiori del blocco (India, Russia, Brasile) e i membri minori, così come nelle interazioni tra i BRICS e altri Paesi del Sud Globale, in particolare in Africa e America Latina.
Tra i casi più emblematici, si può citare l’espansione delle imprese multinazionali dell’agroindustria brasiliana nel continente africano, promossa attraverso diverse forme di cooperazione bilaterale nei settori dello sviluppo e della ricerca agricola. Le finalità sottese a tali strategie consistono nel garantire l’accesso a risorse strategiche, promuovere l’internazionalizzazione delle imprese brasiliane e consolidare l’influenza politica del Paese nella regione. In tal senso, i progetti finanziati dalla Banca Nazionale per lo Sviluppo Economico e Sociale (BNDES) durante i mandati presidenziali di Luiz Inácio Lula da Silva, formalmente inquadrati nel paradigma della cooperazione Sud-Sud, avevano come obiettivo quello di facilitare l’ingresso delle imprese brasiliane nei mercati africani, sostenere la competitività dell’agrobusiness nazionale e incentivare le esportazioni alimentari verso nuovi sbocchi commerciali.
Le principali potenze economiche all’interno del gruppo BRICS, nel perseguimento di uno degli obiettivi fondativi dell’organizzazione – ovvero promuovere lo sviluppo dei Paesi membri anche attraverso strumenti finanziari alternativi e autonomi rispetto al Fondo Monetario Internazionale (FMI) e alla Banca Mondiale (BM) – e nell’espandere allo stesso tempo le loro sfere di influenza, hanno istituito, accanto alle proprie istituzioni bancarie nazionali, organismi finanziari multilaterali interni al gruppo sin dal 2014. Tra questi si annoverano la New Development Bank (NDB), incaricata del finanziamento di progetti infrastrutturali nei Paesi in via di sviluppo, e il Contingency Reserve Arrangement (CRA), una rete di sostegno finanziario volta a offrire assistenza alle economie in difficoltà.
Con l’allargamento del gruppo, formalizzato nel 2023 e ulteriormente confermato in occasione del vertice del 2025, è stato stabilito che le economie di maggiore rilevanza all’interno dei BRICS manterranno in maniera stabile, anche in prospettiva di future espansioni, una quota di voto pari al 55%. Tale assetto assicura a questi Stati un potere negoziale significativamente superiore, che consente loro di definire e imporre condizioni vincolanti nell’ambito della concessione di prestiti e nelle loro politiche di investimenti.
Tali condizioni possono tradursi, ad esempio, in un accesso preferenziale alle risorse naturali del Paese beneficiario oppure, nel caso della Repubblica Popolare Cinese, nell’imposizione di clausole che escludano l’intrattenimento di relazioni politiche o commerciali con Taiwan.
Conclusioni
Il rafforzamento del blocco BRICS si colloca nel contesto di una crescente competizione globale, intensificatasi a partire dal 2009 in seguito alla crisi finanziaria dei mutui subprime negli Stati Uniti e al consolidamento della posizione economica della Cina. Questa nuova rivalità, inizialmente di natura economica e successivamente anche politica, si è manifestata attraverso iniziative come il Pivot to Asia e la Trans-Pacific Partnership promosse dall’amministrazione Obama, alle quali ha fatto seguito la robusta risposta cinese con il lancio della Belt and Road Initiative, tuttora in fase di espansione.
Nonostante la disponibilità di sistemi di comunicazione molto più avanzati e interconnessi, la posta in gioco in questa nuova fase della competizione globale ripropone dinamiche storiche già osservate nei processi di espansione del capitalismo globale. Le economie emergenti, al pari di quelle avanzate, mirano a garantire la propria stabilità interna attraverso l’espansione delle rispettive sfere di influenza e capacità di controllo a livello internazionale, con l’obiettivo di assicurarsi l’accesso stabile alle materie prime e ai mercati di sbocco per i propri prodotti. In parallelo, l’eccesso di capacità produttiva nei settori industriale e dei servizi viene gestito attraverso un’intensificazione dei flussi di investimenti diretti esteri, la cui protezione richiede un rafforzamento della presenza economica, diplomatica e, in taluni casi, militare nei territori interessati.
Tale controllo può essere esercitato mediante diverse strategie: accordi di cooperazione, alleanze bilaterali e/o multilaterali, partenariati strategici, iniziative diplomatiche oppure tramite l’uso della forza. Ci si trova, dunque, di fronte a un intreccio complesso tra interessi economici e logiche di potenza, in cui interagiscono attori statali, non statali e sovranazionali, accompagnati dal potere modellante del discorso pubblico e da narrazioni valoriali dicotomiche che alimentano tensioni e antagonismi geopolitici.
In questo scenario, i BRICS si configurano non soltanto come un meccanismo di cooperazione economica e politica tra economie emergenti, ma anche – e forse soprattutto – come uno strumento strategico di proiezione del potere. Il gruppo funge da piattaforma attraverso la quale i suoi membri più influenti possono estendere le proprie sfere di influenza geopolitica, consolidare quelle già acquisite e, al contempo, tutelare i propri interessi economici e politici.
Da un lato, l’appartenenza al forum consente a tali Stati di operare come blocchi contrattuali coordinati, in grado di influenzare le dinamiche della governance globale, avanzando istanze condivise in materia di riforma delle istituzioni finanziarie internazionali, riequilibrio dei meccanismi decisionali multilaterali e promozione di modelli alternativi di sviluppo. In questo senso, i BRICS si presentano come uno strumento di acquisizione di potere negoziale, che rafforza la capacità dei membri di competere con le economie avanzate su un piano più paritetico, e di allargare le proprie sfere di influenza allo scopo di assicurarsi il controllo di materie prime e mercati in un clima di forte antagonismo.
Dall’altro lato, il gruppo si configura anche come una “arena di protezione” collettiva, in cui i Paesi membri possono coordinare risposte a pressioni esterne – economiche, commerciali o politiche – e sostenere strategie comuni di autodifesa. Tale funzione protettiva assume particolare rilevanza in un contesto internazionale segnato dal riemergere di politiche protezionistiche, da dinamiche di frammentazione economica, da una crescente competizione per le risorse strategiche e da velleità imperialistiche e nazionalistiche allo stesso tempo.
In definitiva, i BRICS si pongono come una struttura duale: da un lato, veicolo di espansione dell’influenza globale dei suoi membri, soprattutto delle economie più forti come Cina, India e Russia; dall’altro, spazio di solidarietà strategica volto a mitigare la vulnerabilità strutturale dei Paesi in via di sviluppo. Pur nella retorica della cooperazione Sud-Sud e della governance inclusiva, il motore primario del gruppo rimane ancorato agli interessi economici e politici dei suoi singoli attori statali e non statali. In tale prospettiva, la coesione e la capacità di incidere dei BRICS sembrano dipendere in misura significativa dalla persistenza dell’antagonismo sistemico con gli Stati Uniti e, in parallelo, dal posizionamento strategico che i Paesi dell’Unione europea decideranno di adottare nel futuro ordine globale.
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