Articolo pubblicato su “il manifesto” del 05.09.2025.
L’uomo, essere omicida, ha escogitato numerosi modi di uccidere. Essi offrono argomento agli studi antropologici, all’indagine storica, al diritto e alla meditazione filosofica. Modalità dell’uccidere da valutare ciascuna nella sua specificità, da intendere, cioè, sia nelle variegate dinamiche proprie dell’atto omicida compiuto dal singolo individuo, sia nei ben costruiti strumenti omicidiari che assicurano una adeguata gamma di possibilità alla efficiente macchina dell’uccidere nella disponibilità di organismi statuali.
Dopo il 1492 gli Stati europei ricorrono, tra le altre modalità ‘pubbliche’, a una forma dell’uccidere che si presenta assai diversa dalla guerra quale viene combattuta tra eserciti contrapposti. È la forma dello sterminio sistematico di fanciulli e di donne, di giovani e di vecchi, condotto fino all’estremo annientamento di intere popolazioni cancellate dalle loro terre, gli eventuali superstiti deportati in schiavitù o in ‘riserve’. Tale modalità dello sterminio dura in Occidente da cinquecento anni. Ha estinto le civiltà ‘precolombiane’ nelle Americhe e vessato le civiltà africane, alcune ferite a morte. Nel Novecento lo sterminio ha infierito in Europa affermandosi e perfezionandosi in Germania come perseguimento, tra l’altro, d’una ‘finale soluzione’ (Endlösung) della cosiddetta ‘questione ebraica’ (Judenfrage).
La guerra di sterminio si conduce sulle popolazioni civili che investe senza scampo e senza preavviso. Essa non consente difesa. Distrugge senza residui come il fuoco che riduce istantaneamente in cenere la stoppia, ammonisce il profeta Isaia: «il fuoco li consuma; non salveranno sé stessi dal potere delle fiamme» (Is 47, 14).
Shoah, in un attimo la totale devastazione: «Ti verrà addosso una sciagura che non saprai come scongiurare; ti cadrà addosso una calamità che non potrai evitare. Su di te piomberà improvvisa una catastrofe che non potrai prevedere». (Is 47, 11)
Tale la Shoah nominata in un testo dell’Antico Testamento. Allora annunciata su Babilonia ed oggi, ancora, la Shoah attuata, avviata a sorpresa il 7 ottobre 2023, il giorno della festa ebraica di Simchat Torah, più di 1400 vittime quel giorno e, poi, giorno dopo giorno, da due anni ormai, a seguire decine e decine di migliaia di uccisi. Come, emotivamente e concettualmente, pensare la Shoah, lo sterminio ‘senza nome’ che è nel nostro presente quotidiano? Shoah racchiude qualcosa di indicibile, qualcosa per cui manca la parola. Così, o la parola si ritrae e cede, o, se una parola affiora, un solo lemma si concentra e sostanzia in Shoah: «Ein wort du weiss/ein leich» («Una parola tu sai/un cadavere»), recitano due versi di Paul Celan.
Pure è un dovere pensare e dire, pronunciare e ripetere la parola Shoah e non stancarsi di rivolgere a noi stessi la domanda.
Ho avuto modo di intrattenere intense conversazioni con Imre Toth (1921-2010) nei mesi successivi alla pubblicazione del suo Essere ebreo dopo l’olocausto, uscito nel 2002. Mettevano capo a un punto queste parole tra noi, la considerazione che Toth svolge nelle ultime pagine del libro. Considerazione ma, piuttosto, una sua ferma convinzione. «Dio è morto ad Auschwitz» è stato autorevolmente affermato. Toth nega che Dio sia morto ad Auschwitz e, invece, sostiene, «l’antisemitismo è morto ad Auschwitz». Dove è Dio ad Auschwitz? Una domanda difficile. C’è antisemitismo dopo Auschwitz? Una risposta, ahimè, facile. Toth tuttavia riteneva esaurita l’energia storica che per secoli aveva animato e alimentato l’antisemitismo. Ad Auschwitz l’antisemitismo dell’Occidente ha raggiunto il suo punto culminante, scrive. Ed è ad Auschwitz che l’antisemitismo ha la sua inesorabile caduta.
Morte di Dio, morte dell’antisemitismo. Con questi dilemmi Toth mi ha lasciato nella condizione di chi, incerto dei propri passi, si muove a tentoni. Chiedo a Celan la parola poetica che possa illuminare (non sciogliere) il mio dilemma: «Ecco l’occhio del tempo/scruta torvo/da sopracciglio di sette colori./Fuochi lavano la sua palpebra,/la sua lacrima è vapore.//La cieca stella vi si avventa a volo/e fonde a quel più scottante ciglio:/si fa caldo il mondo,/i morti/gemmano e fioriscono».
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