Intervento al convegno “A 50 anni dalla Conferenza di Helsinki: perseguire la pace attraverso la politica”, promosso dalle Fondazioni Basso, CRS, Di Vittorio e Salviamo la Costituzione, con la collaborazione di molte associazioni, tenutosi a Roma il 30 settembre 2025.
Come organizzatrici e organizzatori di questa giornata, avevamo chiesto a Maria Luisa Boccia un intervento sul rapporto donne e guerra e più precisamente sulla cultura femminista in rapporto alla guerra anche come autrice di un piccolo prezioso libro dal titolo “Tempi di guerra riflessioni di una femminista” (manifesto libri, 2023).
Purtroppo un impegno medico improrogabile le ha impedito di essere presente oggi , per questo, insieme a Maura Cossutta, abbiamo pensato che questo punto di vista dovesse essere presente in una riflessione politica che vuole rafforzare la cultura della pace. Quest’ultima non è sinonimo di impotenza, essa, al contrario, ha diverse radici, una delle quali è proprio il pensiero di una parte fondamentale del femminismo.
In questo momento in Europa un gruppo di donne ha assunto responsabilità istituzionali di primo piano; colpisce il fatto che abbiano sposato, senza colpo ferire, la cultura della guerra facendosi portatrici di posizioni tra le più oltranziste fino all’incipit che la Presidente von der Leyen ha voluto dare al suo discorso sullo Stato dell’Unione: “l’Europa è in guerra”.
Virginia Woolf e dopo di lei, il movimento femminista che ha elaborato pensiero e pratiche della differenza, ci viene in soccorso mettendo in guardia da assumere il binomio donne-pace come elemento quasi naturale e congenito. La stessa idea che l’estraneità delle donne dal potere, quella che la stessa Woolf definiva “la società delle estranee”, possa costituire di per sé una risorsa per affermare un punto di vista contro la guerra, è contraddetto in parte dal fatto che la differenza di genere viene spesso interpretata, in una certa visione della parità molto diffusa in Europa, come omologazione tout court al modello maschile.
Quando si tratta della guerra, poi, siamo nel campo del maschile per eccellenza; di più, del patriarcale, tanto che a parte la guerra stessa, non esistono parole al femminile che le facciano da corredo, a cominciare dalla parola “disertore” che , come notava la professoressa Alisa Del Re, il femminile proprio non ce l’ha.
In conclusione, come sostiene Maria Luisa Boccia nel suo libro, occorre un pensiero ed è il pensiero femminista – in particolare quello della “differenza” – quello che può condurre a una critica consapevole all’uso della forza, per sperimentare altri modi di agire il conflitto, sia quello interpersonale così come quello tra Stati. L’incapacità di gestire il conflitto con altri mezzi è alla base del tragico moltiplicarsi dei femminicidi, pratica che si tramanda orribilmente di generazione in generazione.
Per tornare alla guerra, l’evoluzione tecnologica, a partire dall’uso dell’aviazione, fino all’attuale dilagare dell’uso dei droni , dei missili e quant’altro, ha rotto, da tempo, il patto atavico: donna-uomo-guerra, basato sulla rigida divisione dei ruoli, in cui gli uomini in armi assicuravano, con la loro vittoria, la salvezza delle comunità a cominciare dalle “loro” donne. Oggi, sono soprattutto i civili e quindi le donne e i bambini le maggiori vittime se non più, almeno tanto quanto i militari, per non parlare di guerre, come quella genocidaria di Gaza espressamente rivolta contro i civili.
Questo rende tutta la società, e in essa le donne, responsabili più che in passato dei propri destini senza deleghe alcune ed è forse questa la leva che in questi giorni porta alle imponenti mobilitazione che oltrepassano le aspettative degli stessi organizzatori.
Infine, non si tratta di una cultura e di una pratica delle donne per le donne, al contrario, tutta l’esperienza di Helsinki, seppure dominata da statisti e diplomatici uomini, si può iscrivere tra le buone pratiche da riprendere, nelle situazioni mutate e ben più complesse di oggi. Pratiche basate sul diritto, sulla prevenzione, sul reciproco bisogno di sicurezza. Helsinki avveniva ai tempi della divisione del mondo in blocchi, smentendo le attuali, ridicole argomentazioni di chi sostiene che nessuna relazione sarebbe possibile con regimi non democratici, proprio mentre molte delle democrazie scivolano pericolosamente verso forme autocratiche o veri e propri regimi.
La situazione attuale è sempre più gravida di rischi perché qualsiasi comunicazione tra UE e Russia è stata interrotta; essa è stata sostituita da provocazioni reciproche che possono, da un momento all’altro, sfuggire a qualsiasi controllo. La sedicente mediazione USA ha reso ancor più debole e ricattabile l’UE, la cui politica si è dimostrata fin qui disastrosa e autolesionista anche perché affidata al protagonismo di alcuni Stati e, di fatto, ancora una volta, alla NATO, la vera artefice della costruzione europea dalla caduta del muro in poi.
La comunicazione politica, amplificata dal controllo dei media, lavora per terrorizzare le opinioni pubbliche al fine di giustificare l’impressionante piano di riarmo e, a questo fine, anche l’ipotesi di una guerra imminente viene banalizzata come una delle possibilità. L’ iniziativa di oggi vuole responsabilizzare la politica, essa ha come obiettivo quello di spostare la discussione e l’azione sulla pacificazione e la sicurezza comune dando forza alla diplomazia , al diritto, alla prevenzione. Cominciando con il porre la guerra al di fuori delle opzioni possibili.
Tutto ciò è urgente perché, se fino a ieri, quello che si sarebbe dovuto fare prima, con costi inimmaginabili, si è cercato di farlo dopo, oggi, con gli attuali strumenti di distruzione, rischia di non esserci un dopo. Tutto va fatto prima, di conseguenza, al posto di costruire ridicoli bunker e affidarsi unicamente alla deterrenza, costruire le condizioni per la messa al bando della guerra è il dovere imprescindibile delle generazioni ancora viventi.
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