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Discorso sul lavoro domestico

Il lavoro domestico impiega un terzo della forza lavoro dell’industria manifatturiera e il doppio di quella dei servizi sociali delle istituzioni pubbliche. Può rivendicare un proprio paradigma, fondato sui concetti di partecipazione, complicità, rispetto dell’autonomia. Il documento di sintesi della ricerca svolta dal CRS per FILCAMS-CGIL e Centro Multiservizi - Ce.Mu, realizzato dal gruppo formato da Alessandro Montebugnoli (coordinatore), Sandra Burchi, Anita Ishaq, Giuseppe Nicolosi e Stefano Pisani.
Pubblicato il 13 Novembre 2025
Diritto, Lavoro, Materiali, Studi e ricerche, Temi, Materiali

Qui il link al rapporto finale completo

Avvertenza

Questo documento si attiene alle stesse scelte lessicali compiute nel Rapporto finale di ricerca. (a) In omaggio all’effettiva composizione dell’occupazione, le persone che lavorano sono sempre indicate con il genere femminile (lavoratrici, occupate, ecc.). (b) Il termine ‘badanti’ e la locuzione ‘datrici di lavoro’ sono messe tra apici per segnalare che il loro impiego, per quanto diffuso, non è esente da motivi di imbarazzo. (c) La dizione ‘colf altro’ adottata dall’INPS è sostituita con ‘colf+’.

1.

Il lavoro domestico costituisce una realtà di prima grandezza dell’economia italiana. In questo senso, va innanzi tutto sottolineata l’alta incidenza sul totale dell’occupazione, della quale, nel 2024, il settore costituiva il 4,6% – percentuale che sale al 6,0% se il confronto avviene con l’aggregato del lavoro dipendente. Di fatto, si tratta di una quantità di forza lavoro pari a un terzo di quella impiegata in tutta l’industria manifatturiera e al doppio di quella impiegata in tutti i servizi sociali forniti dalle istituzioni pubbliche.

In termini assoluti, le percentuali appena indicate corrispondono a un input di lavoro pari a 1.230.000 anni/uomo (rectius anni/donna), forniti da 1.710.000 persone fisiche.

L’attuale consistenza del settore è frutto di una dinamica espansiva di lungo periodo particolarmente intensa (cfr. Figura 1): tra il 1995 e il 2024, l’occupazione è aumentata del 40,7% contro il 22,1 del resto dell’economia, dunque quasi due volte più rapidamente.

Fonti: ISTAT- Contabilità nazionale; INPS – Osservatorio lavoro domestico

2.

Nondimeno, nel periodo più recente, il settore è stato interessato da una fase recessiva, che negli ultimi tempi ha assunto caratteri marcati: dopo il valore più alto di sempre fatto registrare nel 2014 con 1.422.000 occupate, tra il 2015 e il 2021 si è verificata una riduzione di 55.000 unità e di ben 132.000 nei tre anni successivi.

L’andamento complessivo è però frutto di dinamiche completamente diverse nei due comparti delle attività di personal care (‘badanti’) e di house keeping (colf+). Di fatto, la riduzione è interamente imputabile al secondo, che tra il 2013 e il 2024 ha perso il 32% della propria consistenza, mentre il primo ha fatto registrare una crescita dell’11%, sebbene, a partire dal 2021, sia entrato a sua volta in una fase recessiva. Con il risultato, tra l’altro, che nel 2024, per la prima volta, la percentuale delle ‘badanti’ ha superato quella delle colf+ (50,5 punti contro 49,5).

Fonte: INPS – Osservatorio lavoro domestico

3.

Degna di essere segnalata è anche la netta differenza che l’evoluzione dei due comparti ha fatto registrare dal punto di vista della provenienza geografica delle lavoratrici.

In generale, com’è noto, il lavoro domestico è caratterizzato da una larga prevalenza della componente straniera (immigrata), la cui consistenza è oggi pari al 69% per quanto riguarda il settore nel suo complesso, al 65% nel caso delle colf+ e al 72% in quello delle badanti. Ma si tratta di percentuali in diminuzione. Il fatto è che la riduzione delle colf+ che si è realizzata tra il 2013 e il 2024 (- 189.000 unità, in termini di persone fisiche) è quasi interamente dovuta a un vero e proprio crollo della componente straniera (- 185.000 unità, metà delle quali di origine est-europea), mentre l’aumento delle badanti (+ 40.000 unità) è frutto di una consistente crescita della componente italiana (+ 55.000) che ha più che compensato una limitata riduzione di quella straniera (cfr. Figura 3).

Fonte: INPS – Osservatorio lavoro domestico

4.

La diversità degli andamenti fatti registrare dai due comparti suggerisce che la contrazione complessiva sia largamente imputabile al quadro di pesanti difficoltà economiche sperimentato dalle famiglie italiane nei tempi più recenti, sullo sfondo di un trend negativo in atto almeno da vent’anni1. Ragionevolmente, le spese legate all’acquisto dei servizi di house keeping offerti dalle colf sono più comprimibili di quelle legate ai servizi di personal care forniti dalle badanti e dalle baby sitter, sicché, nella difficoltà di far quadrare i bilanci familiari, sono state le prime a essere tagliate. Il che, d’altra parte, lascia intende come anche il costo delle prestazioni di badanti e baby sitter sia diventato un onere sempre più pesante, circostanza che in effetti risulta da molte indagini di campo.

Quanto alla vistosa riduzione della componente straniera, un’ipotesi poco esplorata, che invece sembra meritevole di attenzione, è la possibilità che il fenomeno sia dipeso, anche, dalla modificazione del rapporto tra le opzioni remain ed exit nei paesi dell’Est europeo (Romania in testa), conseguente al superamento della fase più acuta della crisi seguita al crollo dei regimi comunisti. Il che, tra l’altro, lascia intendere quanto poco, in futuro, il nostro Paese potrà contare sulla rendita di posizione di cui ha goduto a partire dai primi anni ’90.

5. Insieme all’alta incidenza nel panorama occupazionale, si deve però osservare che il lavoro domestico presenta evidenti caratteri di ‘lavoro povero’ Giustificano questa affermazione:

  • l’entità del lavoro irregolare, che continua a costituire uno dei tratti più caratteristici del settore, anche se va detto che la sua incidenza è diminuita vistosamente dall’inizio del secolo, tanto che l’intero aumento dell’occupazione va imputato alla componente regolare (cfr. Figura 4);
  • il livello del reddito per lavoratore e quello della retribuzione oraria, che nel 2024 sono stati pari, rispettivamente, al 31 e al 33% di quelli medi del resto del lavoro dipendente.
Font: ISTAT- Contabilità nazionale

In materia di retribuzione oraria, va però segnalato che tra il 2000 e il 2024 si è verificato un aumento maggiore di quello fatto registrare dal resto del lavoro dipendente (+ 74 contro + 64%): merito del CCNL, che dal 1996 prevede una clausola semiautomatica di adeguamento dei minimi tabellari all’andamento del costo della vita.

Per effetto del basso livello salariare, ma anche per la totale assenza della componente ‘capitale fisso’, il contributo alla formazione del valore aggiunto è nettamente inferiore a quello occupazionale (0,9% nel 2024).

6.

Come fanno registrare diversi andamenti nel tempo, i due comparti delle ‘badanti’ e delle colf+ presentano anche notevoli differenze sotto il profilo sociale ed economico (cfr. Prospetto 1). E complessivamente si può dire che il primo fa registrare valori migliori di quelli del secondo, frutto di un processo di consolidamento che in qualche modo, pure in presenza di un quadro generale di difficoltà, si è realizzato nell’ultimo decennio.

Prospetto 1
Badanti’ e colf+: un confronto sintetico (solo lavoro regolare)

Già quanto visto nei punti 2 e 3 – la sostanziale tenuta della consistenza numerica e il significativo aumento della componente italiana – suggerisce l’idea di un insediamento ormai relativamente stabile. Ma soprattutto, in chiave di consolidamento, sembra leggibile il forte aumento del numero delle ‘badanti’ impegnate per più di 40 ore la settimana (che non trova alcun risconto nel caso delle colf+) e la crescita di quelle che guadagnano più di 12.000 euro all’anno (arrivate al 31% del totale, contro il 15% delle colf+).

Al tempo stesso va sottolineato che entrambi i comparti sono caratterizzati da un forte processo di invecchiamento della forza lavoro, da mettere in relazione con la riduzione degli ingressi dall’estero, specie dai paesi dell’Est europeo.

7.

Negli ultimi 10 anni la distribuzione territoriale del lavoro domestico è variata di poco, con il Nord che raccoglie il 50-51% dell’occupazione, il Centro il 27-28 e il Sud e le Isole il 21. Sostanzialmente costanti anche le profonde differenze di natura economica e sociale che pure si registrano nelle diverse parti del paese – e che una volta di più mostrano un’Italia spaccata in due. In breve, il Nord e ancor più il Centro

  • hanno a disposizione ‘dotazioni’ di ‘badanti’ (presenze per 1.000 anziani) e di colf+ (presenze per 1.000 residenti) largamente superiori rispetto a quelle del Sud (soprattutto nel caso delle badanti, con valori più che doppi);
  • fanno registrare una maggiore incidenza della componente straniera;
  • possono vantare (soprattutto le due ripartizioni settentrionali) una quota molto più significativa di lavoratrici per così dire ‘ricche’, anche perché impegnate per molte ore alla settimana.

Per converso, al Sud le attività di collaborazione domestica e familiare sono meno frequenti, più spesso svolte da italiane e contrassegnate da più accentuate condizioni di povertà e frammentazione.

Tabella 1
Badanti’ e colf+ nelle diverse aree del nostro paese (2024, solo lavoro regolare)

8.

Spesso, secondo una possibilità espressamente prevista dal CCNL, ‘badanti’ e baby sitter svolgono anche attività di pulizia, preparazione pasti, ecc. Questo, però, non toglie che i servizi di personal care e house keeping presentino ‘caratteristiche intrinseche’ molto diverse e sotto molti aspetti opposte.

Prospetto 2
Le caratteristiche intrinseche (delle due facce) del lavoro domestico

Note esplicative

a) Tutte le famiglie hanno bisogno che le loro case rispettino determinati standard di pulizia e di igiene, e che li rispettino sempre, 365 giorni all’anno; non tutte le famiglie sono alle prese con le attività di cura richieste da un bambino piccolo o da un anziano non autosufficiente, e, nel caso, lo saranno soltanto per un certo numero di anni.

b) Tenere in ordine una casa, lavare e stirare i vestiti di chi vi abita, cucinare, ecc., tutto ciò richiede qualche ora al giorno, forse nemmeno tutti i giorni; nel caso dei bambini piccoli, o degli anziani gravemente non autosufficienti, deve esserci qualcuno che se ne prende cura per 24 ore al giorno.

c) Un pavimento può essere lavato in qualsiasi momento; un bambino piccolo deve essere ‘fatto mangiare’ e messo a letto a orari ben precisi; un anziano non autosufficiente deve essere accompagnato in bagno quando ne ha bisogno.

d) È impossibile pulire e tenere in ordine una casa senza lavorare dentro le sue mura (non così nel caso delle attività di lavanderia, stiratura, ecc.); le attività di cura di un bambino piccolo possono aver luogo presso un asilo nido o a casa dei nonni; un anziano non autosufficiente può essere ricoverato in una RSA.

e) Un pavimento pulito è un risultato immediatamente distinguibile dalla persona che l’ha ottenuto, i gesti necessari ad aiutare un anziano non autosufficiente a spostarsi, lavarsi, vestirsi, ecc. sono prestazioni inseparabili da coloro che li compiono.

f) Per fare il caso più rilevante, un tempo la biancheria si lavava a mano, oggi le lavatrici sono presenti in ogni casa, e i loro successivi perfezionamenti si sono sempre tradotti in una riduzione del tempo di presenza umana necessario a farle funzionare; a tutt’oggi non esistono dispositivi in grado di imboccare un bambino piccolo, e in nessun caso potrebbero mai riprodurre i valori psichici di un’attività di nutrimento svolta da una persona umana.

g) I due esempi del punto precedente chiariscono in modo immediato che la quantità di lavoro vivo necessaria a ottenere un’unità di prodotto o di risultato – tale la definizione di produttività del lavoro – può subire due sorti opposte: una tendenza alla diminuzione, alla quale corrisponde una tendenza all’aumento della produttività; una sostanziale stabilità, che si riflette puntualmente in un analogo andamento della produttività.

h) L’aumento del salario di una ‘badante’ non può essere compensato da un aumento dei risultati che la sua attività riesce a ottenere nell’unità di tempo, traducendosi quindi in un aumento del loro costo unitario; l’impiego di sistemi automatici di pulizia dei pavimenti può liberare una parte delle energie di una colf, che nel proprio orario di lavoro può quindi dedicarsi ad altre attività, potenzialmente in grado di compensare (o più che compensare) un aumento della sua retribuzione.

i) Un conto è stabilire lo standard di pulizia di un pavimento e verificare il suo rispetto; un altro stabilire lo standard di partecipazione che una baby sitter deve rispettare quando fa giocare un bambino, e portare prove di quanto esso, nei fatti, sia stato rispettato.

9.

Collegata alle differenze sul piano delle loro caratteristiche intrinseche è la diversa posizione dei servizi di house keeping e personal care rispetto ai problemi di equità che con tanta forza sono all’ordine del giorno nell’attuale situazione economica e sociale – e quindi, anche, rispetto ai doveri di intervento delle istituzioni pubbliche.

Per quanto riguarda i primi, il fatto è che le lavoratrici domestiche offrono alle loro ‘datrici di lavoro’ una condizione di maggiore libertà dalla quale esse stesse, che la forniscono, restano invece escluse per definizione, sebbene ne abbiano lo stesso identico bisogno. Le colf alleggeriscono il carico delle comuni faccende domestiche nei riguardi delle donne che le impiegano: ma chi alleggerisce il carico delle comuni faccende domestiche nei riguardi delle colf, come certamente si deve chiedere, visto che anch’esse hanno case da pulire e panni da lavare, e sono quindi esposte allo stress di un doppio lavoro, in casa e fuori, esattamente come le loro ‘datrici di lavoro’? Alla luce di queste considerazioni, l’idea di puntare sul lavoro pagato delle colf al fine di incoraggiare la partecipazione delle donne al lavoro pagato tout court equivale a scontare un modello sociale intimamenteiniquo, strutturalmente dualistico, al quale non è certamente desiderabile che le istituzioni pubbliche commisurino i propri doveri di intervento.

Diverso il caso dei servizi di personal care. Le famiglie non sperimentano lungo tutta la propria storia la necessità di accudire figli piccoli, o di assistere genitori anziani, e una parte non le sperimenta affatto, sicché, in ogni momento, vi saranno individui in grado di provvedere alle esigenze di altri individui senza che esse si sommino alle proprie. In più, diversamente dal disbrigo delle comuni faccende domestiche, è materialmente vero che, a meno di non puntare tutto su nonni e nonne, la soddisfazione dei bisogni di assistenza di un bambino piccolo può essere resa compatibile con gli impegni professionali dei genitori soltanto per mezzo di servizi a pagamento; e considerazioni analoghe, mutatis mutandis, valgono nel caso degli anziani non autosufficienti.

10.

La differenza appena messa in luce viene a dire che i servizi di personal care, come quelli resi da ‘badanti’ e baby sitter, presentano un preciso profilo di meritorietà: da un lato è importante che le famiglie possano avvalersene (specie, ma non solo, al fine di agevolare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro); dall’altro, in linea di principio, possono essere forniti senza violare fondamentali esigenze di equità sociale. Quanto alle dimensioni quantitative del loro fabbisogno, fermo restando che la cura dei bambini piccoli merita molta più attenzione di quanta ne riceve, è fin troppo evidente che il grosso della domanda è legato alle esigenze espresse dalla popolazione anziana non-autosufficiente.

Figura 5
Le condizioni di non autosufficienza nella realtà italiana (2019)

ADL – Activities of Daily Living = lavarsi, vestirsi, mangiare, camminare, ecc.

IADL – Instrumental Activities of Daily Living = cucinare, fare acquisti, usare mezzi di trasporto e di comunicazione, ecc.

Fonte: ISTAT- EHIS [2]

Nel 2019, quest’ultima comprendeva 3,8 milioni di persone, il 37% delle quali (1,4 milioni) segnate da condizioni di non-autosufficienza ‘grave’. Di queste, soltanto 540 mila hanno potuto avvalersi di servizi a pagamento, la maggior parte dei quali forniti appunto dalle ‘badanti’, e soltanto 184.000 di ‘altri aiuti’, mentre più di 5 volte su 10 (780.000 casi) le famiglie non hanno avuto proprio fianco altro che se stesse. Naturalmente, il dato rivela una consistenza dell’offerta drammaticamente inferiore alle necessità, ma non dice ancora tutto, perché non sempre la presenza dei ‘servizi a pagamento’ e degli ‘altri aiuti’ ha dato luogo a situazioni degne di essere approvate: il dato complessivo della popolazione gravemente non-autosufficiente che lamenta ‘sostegni insufficienti’ è pari a 1 milione di persone, vale a dire il 71% del totale (cfr. Figura 5). Un dato che si commenta da solo.

E che in assenza di una massiccia assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni pubbliche non può che aggravarsi. Ad applicare l’attuale incidenza delle condizioni di non autosufficienza grave al totale della popolazione anziana attesa per gli anni a venire,si ottiene che nel periodo 2040-2050 altri 400.000 anziani si aggiungeranno al numero di quelli bisognosi di essere aiutati nello svolgimento delle più elementari attività di cura della persona.

A peggiorare la situazione, l’aumento del fabbisogno avverrà in presenza di fattori destinati a ridurre la capacità di fronteggiarlo espressa dalle famiglie: vuoi sotto il profilo del potere di acquisto disponibile, a causa dei mutamenti intervenuti nell’impianto del sistema pensionistico, vuoi come fornitrici di prestazioni reali, a causa del drammatico assottigliamento di tutte le reti parentali.

11.

Tipicamente, una valutazione di meritorietà apre la strada a un’assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni pubbliche – le quali, finora, hanno mancato di ottemperare ai propri doveri di intervento. Non v’è dubbio che la moltiplicazione del numero delle ‘badanti’ sia avvenuta in un grave vuoto di politica sociale; come non v’è dubbio che l’assetto di welfare che ne è derivato meriti le critiche di tradizionalismo, familismo, ecc. che tante volte ha ricevuto. Questo, però, non significa che la figura delle ‘badanti’ non possa trovare posto nelle strategie di intervento che le istituzioni pubbliche sono oggi chiamate a ideare e mettere in opera al fine di provvedere ai bisogni degli anziani non autosufficienti. Così è, in particolare, quando si abbia ragione di ritenere che provvedimenti intesi a sostenere finanziariamente la domanda di servizi domiciliari espressa dalle famiglie siano in effetti possibili e appropriati. Salvo affrettarsi a precisare che agli aiuti finanziari devono senz’altro associarsi:

  • ‘azioni di sistema’, intese ad aumentare la trasparenza e l’affidabilità del mercato come ‘infrastruttura sociale’, e ‘servizi reali’ di orientamento, accompagnamento, counselling, ecc.,offerti alle famiglie insieme ai benefici monetari;
  • azioni intese ad assicurare il più rigoroso rispetto del contratto di lavoro (come condizione dello stesso accesso ai benefici) e, più in generale, cospicui miglioramenti delle condizioni di vita e di impiego attualmente sperimentate dalle lavoratrici.

A queste condizioni, è possibile immaginare che le ‘badanti’ diventino parte integrante di nuove ‘reti di servizi’ che siano pur sempre disegnate, promosse e presidiate dalla mano pubblica – e che la loro stessa figura riceva in tal modo un riconoscimento ‘alto’, di legittimità e di ruolo, all’interno di un quadro complessivo finalmente ordinato ad affrontare al meglio i problemi vissuti dalle persone anziane non autosufficienti.

12.

Ai fini di tale riconoscimento, è anche necessario che la loro identità professionale (come quella delle baby sitter) sia enucleata con quanta più chiarezza sia possibile. A partire dall’osservazione che il bagaglio delle competenze richieste a chi assiste persone non autosufficienti comprende la capacità di trattare problemi ‘difficili’, nel senso specifico che il termine talvolta assume in letteratura – vale a dire intrinsecamente controvertibili (anche sul piano dei valori), fatalmente esposti a elevati livelli di incertezza, la cui soluzione è comunque irriducibile a elenchi di istruzioni univoche. In situazioni del genere non c’è algoritmo che tenga, valgono soltanto risorse per le quali non esistono altri nomi che ‘esperienza’, ‘saggezza’, ‘discernimento’, ‘sensibilità’ e simili, con una forte componente, anche, di quella che si dice ‘conoscenza tacita’.

Come risultato, il lavoro di cura – tutto, ma quello domestico in particolare – può rivendicare un paradigma proprio, originale, che fin troppo chiaramente si distingue da quello, oggi dominante, del sapere tecnico-scientifico. Se lo statuto di quest’ultimo verte su obiettivi di manipolazione e controllo (dell’energia, della materia, delle informazioni), logica vuole che le attività di assistenza personale comprendano se stesse alla luce degli opposti concetti di partecipazione, complicità, rispetto dell’autonomia. Perciò, anche, l’idea che il lavoro di cura possa essere in futuro sostituito dall’impiego di tecnologie – in particolare da robot umanoidi equipaggiati con programmi di Intelligenza artificiale – merita un giudizio assai severo. Dispositivi che lo rendano più agevole sono senz’altro plausibili, ma la prospettiva che esso ‘esca di scena’ va rigettata con nettezza.

In questo ordine di considerazioni, ‘badanti’ e baby sitter possono ben trovare valori nei quali riconoscersi, e dai quali ricavare motivi di autostima, diciamo pure di orgoglio professionale – come parzialmente, in effetti, già succede a dispetto di tutte le difficoltà.

Note

1 Secondo l’Istat, nel periodo 2007 – 2023 il potere di acquisto delle famiglie italiane è diminuito dell’8,7%. Nel solo 2023 dell’1,6% e nel solo 2022 del 2,1% (https://www.istat.it/wp-content/uploads/2025/03/REPORT-REDDITO-CONDIZIONI-DI-VITA_Anno-2024.pdf).

2 EHIS sta per European Health Interview Survey. Si tratta appunto di un’indagine condotta in tutti gli stati dell’Unione sui principali aspetti delle condizioni di salute della popolazione ed il ricorso ai servizi sanitari.

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