Ambiente, Internazionale, Politica, Temi, Interventi

Donald Trump si avvia a essere ricordato come il peggiore Presidente degli Stati Uniti. Vasta è la lista dei suoi misfatti, ma il più grave a lungo termine concerne il dramma dei cambi climatici: non la lotta contro, bensì a favore dei cambi climatici! Ancora risuona, tra gli applausi dei suoi cortigiani, quell’invito scellerato ad estrarre sempre più gas e petrolio: “Drill, baby, drill”. E i suoi ossequiosi portavoce in gara a definire “truffe” le politiche climatiche del predecessore Biden, giurando che “la truffa verde avrebbe ucciso l’America se il nuovo presidente non avesse applicato un’agenda  energetica basata sul buon senso”.

Il buon senso? È proprio ciò che manca a Washington. Per milioni di anni la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera era rimasta stabile a 275 ppm (parti per milione). Ma a causa del boom industriale e demografico, in meno di due secoli è salita fino a superare la fatidica soglia di 400 ppm. Di pari passo è aumentata la concentrazione di metano nell’atmosfera (da 0,7 a 1,7 ppm). Ne è seguito un balzo all’insù di quasi due gradi della temperatura media del Pianeta, dopo esser rimasta costante per millenni attorno ai 15°. Ancora un paio di gradi e il livello dei mari salirà visibilmente: si faranno sempre più violenti i fenomeni meteorologici, ribaltando in negativo il motto olimpico “citius altius fortius” (più veloce, più alto, più forte).

Ecco perché nel 2023 un gruppo di Stati insulari del Pacifico – contro la minaccia di finire sommersi – ha affidato a Vanuatu il compito disperato di adire la Corte Internazionale di Giustizia. Pareva una mossa senza seguiti; invece, il 23 luglio scorso la Corte ha riconosciuto la responsabilità degli Stati che inquinano o consentono di inquinare a danno di altri Stati. Una sentenza rivoluzionaria, sostenuta anche dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani e dal Tribunale Internazionale del Diritto del Mare. È facile immaginare quanto poco importi questa sentenza a Donald Trump, in alleanza alle potenti società petrolifere beneficiate dal fisco. Adesso, però, sono le società stesse a calcolare che conviene investire sulle energie rinnovabili.

Il Presidente brasiliano Lula ha aperto e chiuso a Belém la 30ª Conferenza delle Parti, con un toccante appello a soccorrere le popolazioni indigenti, destinate a patire maggiormente gli effetti del riscaldamento planetario. “Ho convocato i leader del mondo in Amazzonia, affinché questa sia la Coppa della Verità”. Ma ad ascoltarlo c’erano ben pochi “leader del mondo” – a differenza del primo Vertice, quello di Rio del 1992, quando vedemmo George Bush e Fidel Castro, Jacques Delors e Giorgio Ruffolo, i re di Svezia e di Giordania riuniti nella stessa sala a chiedersi se davvero le attività antropocentriche rischiano di modificare gli equilibri del nostro Pianeta.

Ora lo sappiamo con certezza: rischiano. Eppure, nessun passo avanti si è fatto a Belém. Adesso il mondo ha ben altre preoccupazioni: si chiamano guerre. Commiseriamo le vittime, ma dimentichiamo che ogni giorno di guerra brucia enormi quantità di energia – oltre a devastare città e campagne, fiumi e foreste che avevamo preservate quali preziosi pozzi di assorbimento di CO2. Oggigiorno, uno dei settori trainanti dell’industria mondiale è quello degli armamenti: sfido chiunque a provare che i produttori di armi siano “environmentally friendly”. E anche molte delle più avanzate tecnologie “pacifiche” del nuovo secolo consumano energia a iosa: mi riferisco alle criptovalute, alle banche dati e soprattutto all’intelligenza artificiale.

In conclusione, la COP30 non ci ha fatti rinsavire e gravi responsabilità ricadono sugli Stati Uniti di Trump. Un affidabile amico americano che se ne intende, Bill Reilly, negli anni Novanta amministratore dell’EPA (il ministero dell’Ambiente USA), mi conferma che il suo ex-ministero è stato decapitato e le altre agenzie di peso – come la NASA e la NOAA (National Oceanic and Atmospheric Agency) – sono allo sbando: vietato diffondere i loro rilevamenti sull’ambiente, vietato scrivere “crisi climatica”. Secondo Bill Reilly “We are back in the Dark Ages”. Dunque il Pianeta che ci fa vivere sta inoltrandosi verso l’ignoto, carico di naufraghi come quelli della “Zattera della Medusa” di Géricault, dove i primi a soccombere saranno i popoli meno abbienti, i derelitti dell’umanità. Ma quella tragedia accaduta nel 1816 riporta alle cause del naufragio: era la boria e la negligenza del comandante Hugues Duroy, che dirigeva la “Méduse”, una fregata francese di tutto rispetto finita per colpa sua tra le secche letali della Mauritania. Lo stesso accadrà a Donald Trump.

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