Articolo pubblicato il 07.12.2025 su “l’archivista

La rottura del diritto internazionale estende la forza come agente di non-diritto. La scena del mondo è occupata da un potere senza diritto, che è un potere di guerra esteso in aree sempre più vaste di dismissione dei diritti.

La finta tregua a Gaza che prosegue il massacro di palestinesi in Cisgiordania, il piano di pace di Trump per l’Ucraina in assenza di una proposta di mediazione dell’Unione europea che negozia mentre vuole proseguire la guerra e si riarma, e le 60 guerre sparse nel mondo, hanno prodotto una crisi umanitaria epocale. La guerra ibrida che è guerra di conquista, guerra genocida ed ecocida, guerra per le risorse energetiche e le terre rare, fomenta la propaganda per il riarmo. Gli investimenti in armi e in politiche di difesa contro i pericoli di invasione del nemico, esterno ed interno, alimentano la propaganda.

Le 33 pagine del documento di Strategia di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca del novembre scorso esprimono “grande ottimismo per la crescita dei partiti patriottici”, mentre l’Europa andrebbe ricondotta a “operare come gruppo di nazioni allineate”, dal momento che “l’unità politica fondamentale del mondo è e rimarrà lo Stato-nazione”.

I funzionari dell’amministrazione Trump hanno ripetutamente dichiarato il loro sostegno all’estrema destra in quasi tutti i paesi europei, celebrando il nazionalismo civilizzatore, l’enfasi identitaria, i leader forti, i valori giudaico-cristiani e i ruoli di genere tradizionali. La fine dell’ordine internazionale è l’effetto delle politiche delle élite centriste liberali che hanno aperto la strada del potere alla destra nazionalista.

La realtà secolare dell’occidente è stata il suo primato bellico, razziale, coloniale, ereditato nella sovranità dello Stato nazionale. Ma nella sequenza storica del diritto interstatale e del diritto internazionale proveniente dalla guerra, il potere di Stato integrava il diritto di guerra nel diritto interno.

Nelle diverse epoche storiche l’imposizione della forza bilanciava la forza del diritto che nell’antichità greca e latina dichiarava la costituzione della natura nella realtà della polis e della civitas. Nel Medioevo il diritto come forza discorsiva del potere imperiale aveva generato lo Stato di giustizia in cui il diritto era esteso all’esterno dello Stato e ne limitava il potere.

In epoca moderna il diritto interno allo Stato istituiva il patto tra sudditi e sovrano, mentre nella seconda metà del XVIII si affermavano la separazione dei poteri e il diritto cosmopolitico.

Ma al di sotto di questa storia di costituzione dei poteri ne scorre un’altra, quella dei rapporti tra territori e popolazioni che Michel Foucault ha indagato nelle trasformazioni delle diverse tecnologie di governo. In questa storia della governamentalità, la relazione binaria del popolo e dello Stato, dei diritti e dei doveri, che è l’eredità negativa del rapporto dei sudditi con il sovrano, del rapporto di comando e obbedienza, si manifesta una relazione più necessaria, che è la relazione tra territorio e popolazione.

A differenza del concetto giuridico-politico di popolo, che è tale in rapporto allo Stato, la popolazione eccede il rapporto allo Stato. La popolazione non è il popolo. Le popolazioni, sempre più sottratte al potere pubblico sono assoggettate a una governamentalità sociale, economica, razziale e di genere in rapporto a dispositivi burocratici e amministrativi che rientrano sempre meno nelle prerogative dello Stato.

Queste relazioni sono regolate da tecnologie di sicurezza su larga scala e la sicurezza viene esposta come principio di governo di fronte alle condizioni attuali di insicurezza, precarietà, esposizione al rischio, che sono condizioni reali delle popolazioni di fronte alle guerre, alle epidemie e alla catastrofe climatica.

La tecnologia planetaria di sicurezza non include la sfera del diritto all’interno del potere pubblico come all’epoca del primo liberalismo, ma produce zone di extradiritto da normare, amministrare e disciplinare.

Il potere giuridico di controllo e la stessa legalità sono assunti in una microfisica dell’azione legale che moltiplica i contenziosi. La sfera del diritto che regolava i rapporti tra popolo e Stato e tra Stato e cittadini non è più spazio di mediazione dei conflitti, delle controversie e dell’evoluzione dei diritti; piuttosto le potenti agenzie finanziarie, tecnologiche e belliche, sono contropoteri che dissolvono le prerogative dei poteri pubblici e producono una condizione di extradiritto in cui vige una forma residuale di diritto interstatale.

Questa zona virtuale di extradiritto si estende a territorialità autonome, indipendenti e di autonomia relativa, che sono zone di transito, municipalità, comunità regionali ed esperienze territoriali di costituzione di un diritto “dal basso”.

Al racconto geopolitico dello ‘status quo’ del mondo, delle strategie di difesa e di riarmo e delle necessità di alleanze nel gioco dei grandi interessi, proviamo a sostituire l’analisi di una possibile costituzione transnazionale delle popolazioni.

Alla linea di ricerca: “Stato nazionale-diritto internazionale-necessità della pace con la guerra”, sostituiamo la linea: “istituzioni non statali-diritto transnazionale-tutela di viventi e non viventi”.

La crisi mondiale di governo della vita ha fatto emergere altri mondi, con storie politiche, istituzioni e tradizioni di autogoverno, di localismo indigeno e culture alternative alle costituzioni liberal-democratiche e autoritarie degli Stati nazionali.

Tradizioni e culture storico-politiche millenarie, come la Cina, l’India e l’Oriente Pacifico, o quelle indigene nel continente amerindio, sono lontane dalla tradizione del sovrano e del diritto, e sono sostenute da istituzioni ibride, imperiali, regionali, municipali, federali, claniche, tribali, in cui si articolano i rapporti reali tra territorio e popolazione.

Questi processi inaugurano una realtà storica di trasformazione che, mentre riduce le prerogative dello Stato e intensifica le rivendicazioni della ‘nazione’, lascia emergere nazioni non costituite in Stati nazionali ma in terre abitate che sono terre di resistenza, di difesa degli ambienti, ma anche terre di esodo, di deportazione e di sterminio.

In questi spazi, nei luoghi disertati, nelle zone di esilio permanente, non è questione di ripristinare un diritto cosmopolitico, né un diritto internazionale, ma di osservare l’esaurirsi del potere di sanzione delle corti internazionali e di immaginare un modo alternativo di porre la questione del diritto, non più come vigenza universale dei rapporti tra Stati, tra aree continentali o regionali più o meno coincidenti con le mappe geopolitiche, ma come insieme delle connessioni transnazionali di luoghi e aree di extradiritto.

C’è un diritto che proviene dalla decolonizzazione, il diritto dei popoli che comprende il diritto all’autodeterminazione, che in una certa misura è stato iscritto all’interno del diritto internazionale post-bellico. Di questo diritto si può fare la genealogia, dalla Conferenza di Bandung alla lotta di liberazione algerina, dalla fine della dittatura dei colonnelli in Grecia alla liberazione del Vietnam. Questo diritto si è realizzato in larga parte nell’orbita dello Stato nazionale e ha contribuito a produrre il potere nazionale di Stato e i nazionalismi post-coloniali.

Ma, parallela a questa genealogia, ne corre una post-coloniale che non ha in vista lo Stato nazionale, che si oppone alla forza senza diritto degli Stati e che rivela un profilo transnazionale. Si tratta dei diritti, delle resistenze e delle costituzioni delle popolazioni indigene amerindie, dei diritti municipalisti acquisiti in Chapas, della costituzione federale curda in Rojava, del diritto all’autodeterminazione della popolazione palestinese e dei diritti cittadini in aree metropolitane ad alta solidarietà sociale.

La storia delle municipalità chapaneche è la storia di un conflitto tra le comunità indigene e lo Stato messicano che agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso ha intrapreso la via del neoliberismo. Con la strage di Acteal (1994) ha imposto lo stato di guerra come stato di emergenza permanente per distruggere territori e comunità e imporre sovranità e sfruttamento contro le autonomie. L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) nasce per difendere le comunità autonome e intraprende un processo di riflessione sui rapporti di potere, sulla sovranità dello Stato e sulle pratiche di conflitto che diventa esemplare come alternativa ai devastanti processi di globalizzazione neoliberale.

Dal disarmo unilaterale dell’EZLN nascono i caracoles, municipalità autonome che sono la forma politica alternativa e resistente alla “presa” sulla vita da parte dei poteri, al razzismo, al sessismo e alle discriminazioni.

In Rojava, la costituzione federale nata dalle lotte della popolazione curda contro lo Stato turco proviene dal regime di oppressione patito dalla popolazione, dalla negazione dell’identità curda. La lotta per l’autodeterminazione è stata in gran parte praticata dal PKK, il Partito dei Lavoratori, il cui leader Öcalan è stato imprigionato nel 1999 con la collaborazione dei servizi segreti di Stati Uniti e Israele. Per 10 anni è stato tenuto in isolamento, unico prigioniero nel carcere di Imrali. Nel 2005 viene avanzata la proposta di una costituzione libera da confini nazionali che comprendesse le comunità curde in Siria, Turchia, Iraq. Si tratta di un processo inedito e originale di costituzione federale democratica basato su democrazia diretta, femminismo e ambientalismo. Nel 2012, allo scoppio della guerra civile siriana, le comunità curde nelle città di Cizîrê, Afrîn e Kobane combattono contro l’esercito di Assad e lo cacciano, ma le città vengono sottoposte a embargo economico dalla Turchia e messe sotto assedio dall’ISIS. Nel gennaio del 2014, i tre cantoni del Rojava adottano una carta giuridica valida per l’intera società curda, denominata “Contratto Sociale”. Il documento ha valore costituzionale e dispone la creazione di un sistema democratico antistatale e anticapitalista con forte impronta secolare, tutela delle minoranze etniche, applicazione della gineologia, la scienza delle donne coniata nei territori, e l’ “educazione” all’ecologia. Viene fissata nel dettaglio l’organizzazione burocratica del municipalismo curdo, articolato su quattro livelli amministrativi secondo un principio di sussidiarietà: la comune, il quartiere, il distretto e l’Assemblea del Popolo del Kurdistan Occidentale.

Nel gennaio 2015 dopo centoventi giorni di assedio i jihadisti si ritirano da Kobane, mentre Afrîn cade sotto le bombe dell’ISIS prima, e dell’esercito di Erdogan poi. Le Unità di protezione delle donne e le Unità di protezione popolare sono decisive nel liberare Kobane. Nel 2016 viene istituita la Federazione democratica del Rojava-Siria del nord che viene osteggiata dal regime di Erdogan e dal regime di Assad che ingaggiano un conflitto armato contro la Confederazione.

Con la caduta di Assad e il Governo dell’ex-islamista Al-Sharaa, la guerra civile è diventata guerra regionale, con massacri di alawiti, ex sosteniori di Assad, e drusi. Israele ha approfittato della situazione, ha occupato il Golan e lanciato violenti attacchi contro Damasco, mentre la Turchia mantiene milizie proxy per occupare la regione curda. L’obiettivo è minare il progetto dell’Amministrazione autonoma. Il 12 maggio scorso, con la dichiarazione di disarmo il PKK si scioglie, ma l’autonomia del Rojava continua a essere a rischio.

Dunque, in Stati che contano per la forza di frontiere armate più che per le prerogative del potere pubblico, più per l’intensità delle guerre in corso che per la costituzione del libero mercato e più per le politiche di riarmo che per la loro costituzione continentale, un diritto transnazionale potrebbe costituire un’alternativa al diritto internazionale. Un’alternativa in cui operano norme di non confinamento e presidi transfrontalieri disarmati.

Si tratterebbe di decolonizzare il diritto e creare le condizioni per un diritto di diserzione, di resistenza e di destituzione della forza. E si tratterebbe di creare lungo questa direzione e nei luoghi di residenza, di transito e di abitazione temporanea, un diritto nomade, locale e generale. Un diritto meticcio che proviene da saperi, culture, soggettività e pratiche.

Questa costituzione dovrebbe passare per un’elaborazione che riscriva alla radice la nozione, la pratica e l’esercizio del diritto. La nozione di un diritto che sia slegato dal potere, che sia praticato dalle e nelle realtà dei territori e che sia esercitato nella cura.

Si tratterebbe di una pratica del diritto non fondata né sulla consuetudine, né sulla natura pattizia dei diritti, ma sull’estensione dei diritti della terra e dei diritti del mondo in rapporto alla biosfera, e su tempi, spazi, ambienti, relazioni, desideri, interessi e passioni in aree non più statali.

Si tratterebbe infine di un esercizio del diritto come presa di parola e come presa di posizione sullo stato del mondo, sulle condizioni del presente, sulle disponibilità di liberazione.

In questa forma la possibilità del diritto risiederebbe nell’immaginazione. Risiederebbe in un movimento dell’immaginario, in un confronto tra la situazione concreta e un’invenzione. Dal momento che la società punitiva sanziona il mondo qualora ritorni alla terra, l’invenzione del diritto potrebbe essere il movimento che revoca il potere. Perché sarebbe il diritto a una vita altra e a un mondo altro in questo mondo.

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