Il 21 maggio scorso si sono svolte le primarie del Partito Socialista ed Operaio Spagnolo, che hanno nuovamente incoronato segretario generale, a pochi mesi dalle sue dimissioni, Pedro Sánchez. Il giovane professore ed economista madrileno, fin dal 1993 nel PSOE, pupillo della ex-ministro agli Affari Esteri ed alla Cooperazione Internazionale nel secondo governo Zapatero, Trinidad Jiménez, è rimasto sconosciuto al grande pubblico fino al 2014, pur avendo già ricoperto incarichi importanti, anche a livello internazionale [1], quando si è presentato alle primarie per la segreteria del PSOE, misurandosi con personalità controverse ed influenti del partito quali Eduardo Madina e José Tapias, e vincendo con un largo consenso del 49%, che lo consacrava a stella nascente della nuova sinistra. La sua figura non era però stata capace di rivitalizzare gli entusiasmi di un elettorato che percepiva il PSOE come troppo disconnesso dalla realtà e compromesso con gli interessi di potere, tanto che alle elezioni del 20 dicembre 2015 il partito di Sánchez riesce ad ottenere solamente 90 seggi, riceve l’incarico di formare il Governo, ma non basta l’accordo raggiunto con Ciudadanos a garantirgli i voti necessari per la fiducia. Vista l’impossibilità di ottenere una maggioranza parlamentare di alcun tipo, la Spagna torna a votare il 26 luglio 2016 e stavolta il PSOE riesce ad eleggere solo 85 parlamentari, il peggior risultato di sempre; l’erosione dei suoi voti va a vantaggio di quella che pare essere la vera nuova forza progressista del paese, Podemos. Stavolta è il leader del Partito Popolare, Mariano Rajoy, a ricevere l’incarico di governo ed a chiudere l’accordo con Ciudadanos, che viene eletto presidente, anche grazie all’astensione di gran parte dei deputati socialisti. Sánchez si oppone all’astensione a favore del PP, “no es no”, ma i notabili del partito, a partire dall’ex-primo ministro Felipe Gonzalez e dal presidente della Comunità Andalusa Susana Díaz, non sono d’accordo. Così con un golpe partitico [2], consumatosi attraverso le dimissioni di buona parte dei membri della Commissione Esecutiva, durante una riunione fiume, carsica quanto amara, Sánchez viene detronizzato ed il primo ottobre 2016 è costretto a dimettersi da segretario generale; ventotto giorni dopo abbandona anche il suo scranno in parlamento. Questo è un momento di crisi, ma anche di svolta per la carriera politica del madrileno. Defenestrato dal palazzo del potere, mantiene la figura di uomo retto, fermo nei suoi principi ed estraneo ai compromessi sordidi ed occulti delle élites. In un’intervista concessa alla trasmissione Salvados della reta televisiva La Sexta, Sánchez ammette di aver sbagliato nel considerare Podemos solamente una forza populista, e di aver compreso solamente ora le radici del suo forte sostegno. Dichiara inoltre che il tentativo di cercare un accordo col partito di Pablo Iglesias, seppur molto complicato, fu osteggiato dalle pressioni ricevute da parte d’influenti rappresentanti del mondo dei media, della politica e dell’economia; a suo dire, non volevano che in Spagna governasse una forza di sinistra [3]. Sánchez però non si dà per vinto e nel gennaio 2017 annuncia la sua candidatura alle primarie del 21 maggio, per la segreteria del PSOE, sfidando l’ex-lehendakari del Governo Basco Patxi López, e la sua vecchia avversaria, il presidente dell’Andalusia, Susana Díaz. Donna interna alla dirigenza di partito, moderata e con doti di leadership, col supporto d’illustri notabili quali gli ex-presidenti Zapatero e Fernandez ed il Presidente dell’Asturia, nonché attuale capo della Commissione di gestione ad interim del partito, Javier Fernández, la politica andalusa è descritta dai giornali, soprattutto di area conservatrice, come la netta favorita per la competizione. Tanto che, Díaz stessa vive l’avvicinamento al giorno delle votazioni come una marcia trionfale: conduce una campagna monotonale e spavalda, rende pubblico tardivamente il suo programma ed attacca spesso la proposta del madrileno, definendola debole e capace di dividere il partito. Quando però vengono resi noti i dati sugli “avalli” degli iscritti, necessari per formalizzare la propria candidatura, il recupero di Sánchez (su 187.949 “militantes”, 60.231 appoggiano Díaz e 53.692 Sánchez) pare appalesarsi minaccioso. Vestito in jeans in camicia e circondato dalle bandiere rosse, l’ex-segretario conduce una campagna dai temi e dai toni nettamente socialisti. Non perde occasione per ribadire la sua estraneità al sostegno al governo conservatore e si esprime esplicitamente per l’abrogazione delle leggi da questo varate nell’ambito del lavoro, della sicurezza e delle pensioni. Opta per il micro-credito come metodo di autofinanziamento, attraverso la piattaforma di crowdfunding “El Bancal de Rosas”. Si pone come un rinnovatore, un progressista, volge decisamente ed educatamente lo sguardo a sinistra, con fare misurato ed istituzionale. In una lunga intervista giornalistica [4], esprime i punti fondamentali della sua visione ideologica e pratica: apre la porta ad una mozione di sfiducia a Rajoy, condivisa con Podemos; dice di volersi ispirare al modello d’alleanza di governo portoghese; riconosce nella Catalogna una nazione, ma dice che deve rimanere a far parte dello Stato spagnolo; porge un ramoscello di ulivo alla compagna Díaz, con la quale dice, al di là delle divergenze di programma, di voler ricostruire un partito unito e leale. Nonostante i toni miti però, Sánchez non rinuncia a combattere con fermezza e decide di chiudere la sua campagna propria nella città roccaforte della sua avversaria, Siviglia, al Muelle de la Sal, a mille metri di distanza dal Muelle de las Delicias, dove si tiene l’evento di Díaz. A sostenerlo, tra gli altri ci sono l’ex-ministro delle Politiche d’Uguaglianza di Zapatero, Bibiano Aido, ed il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, che lo descrive come una speranza per la social-democrazia europea. Alla fine del comizio si alzano i pugni e le voci al cielo, per il coro poderoso dell’Internazionale. Allo scrutinio delle urne, i risultati vanno oltre qualsiasi previsione più ottimistica del madrileno, che ottiene il 50,26% dei voti (74.508 su 149.951 voti), contro il 39,9% di Díaz ed il 9,84% di López. Con punte del 71,36% in Cantabria e dell’81,90% in Catalogna, Sánchez domina al nord e vince dappertutto esclusi l’Andalusia ed i Paesi Baschi, che vanno, come era inevitabile, ai due rispettivi presidente ed ex-presidente. La vendetta del re tradito pare essersi realizzata ed il sovrano del popolo sembra essersi ripreso legittimamente il trono e la corona. Al suo discorso di ringraziamento en Calle Ferraz, a Madrid, Sánchez asserisce stentorio: “Qui sta il PSOE dei militanti. Qui sta la sinistra!”. Ecco appunto, è davvero così? Andiamo per gradi. In primo luogo, in vista del Congresso di Giugno, il neo eletto segretario ha deciso di venire incontro agli sconfitti, optando per una divisione proporzionale rispetto ai voti ricevuti, dei delegati della Commissione Federale, evitando di monopolizzare le cariche. All’interno della dirigenza del partito deciderà comunque , come ovvio, di piazzare alcuni dei suoi fedelissimi. Alcuni nomi potrebbero essere quelli dell’asturiana Adriana Lastra e del valenciano José Luis Abalos, curatori della sua campagna elettorale, Andrés Perello, curatore del crowdfunding e Juanita Serrano, suo capo di gabinetto, già in stretto contatto col suo omologo di Podemos, Irene Montero. Tutti elementi non provenienti dal vecchio organigramma gerarchico del partito, ai quali potrebbe aggiungersi Josep Borrell, illustre cattedratico, ex-ministro dello Sviluppo Economico di Fernandez ed ex-presidente del Parlamento Europeo. Al di là degli uomini chiave da piazzare però è importante capire quali idee abbia per riformare il partito, dal punto di vista strutturale, ideologico e funzionale, e per fare questo è necessario analizzare il suo programma, “Por una nueva socialdemocracia” [5]. Nella sezione dedicata, Sánchez spiega di voler introdurre una Commisione Etica e di Garanzia formata dai militanti per il controllo di ogni operazione elettorale, amministrativa e politica di rilievo; di voler far eleggere i candidati dagli iscritti; di voler potenziare le scuole di partito nelle Case del Popolo, il Centro Studi Jaime Vera e l’associazione Juventud Socialista; porre regole stringenti e di trasparenza sul finanziamento; promuovere la partecipazione della base con strumenti d’iniziativa robusti (es. firme del 20% degli iscritti per proporre una questione da discutere obbligatoriamente in Commissione Esecutiva); porre il doppio turno per le primarie e, in memoria della congiura patita, prevedere che la dimissione di alcuni membri della Commissione Esecutiva non possa determinare la sua cessazione, né le dimissioni del Segretario Generale, che deve essere sfiduciato solo dal voto della maggioranza dei membri del Comitato Federale, confermato, entro 15 giorni, dalla maggioranza degli iscritti chiamati a consultazione. Paiono riforme che vadano nella direzione di una maggiore democrazia interna al partito, ma sono sufficienti per definire la sua proposta politica? Analizzando nel dettaglio la sua proposta, vediamo quali sono alcuni dei suoi punti centrali. In primo luogo vi sono molti riferimenti all’ideologia social-democratica, della quale si cita, in un breve excursus storico, uno dei padri fondatori, Eduard Bernstein. Vengono inoltre definiti come centrali quattro questioni: la redistribuzione della ricchezza, ricostituzione e lo sviluppo dello stato sociale, l’affermazione dei diritti civili, la difesa dell’ambiente; tutto nell’ottica di uno sviluppo sostenibile. Più nello specifico, per il conseguimento del primo obiettivo, si propone una tassa sulle operazioni finanziarie a livello europeo (0,1% azioni ed obbligazioni, 0,01% derivati), l’utilizzo del criterio di progressività per tutte le imposte, anche patrimoniali e sui redditi d’impresa e la riduzione dell’i.v.a. per le attività economiche di promozione culturale. Vi è poi l’idea di costituire una banca degli investimenti nazionale, dividere le banche commerciali dalle banche d’affari, rimettere in mano dello Stato le infrastrutture dei servizi essenziali (ad esempio il settore dell’energia) e chiudere le porte da e verso i paradisi fiscali. In una materia connessa, come quella del diritto dei lavoratori, si prevede: nuove assunzioni con criteri equi e qualificati nel settore pubblico; l’abrogazione delle leggi di deregolamentazione del mercato del lavoro, la collaborazione tra partito e sindacato (per lo più l’UGT) per una commissione di studio permanente atta ad individuare nuove forme di tutela per i nuovi lavori; la formazione professionale continua dei lavoratori; l’aumento dei sussidi, la diminuzione a 35 delle ore lavorative e l’innalzamento a 1000 euro del salario minimo, entro il 2020, da stabilizzarsi al 60% di quello medio nazionale; la creazione di uno statuto europeo dei lavoratori. È infine indicato come inevitabile l’utilizzo del reddito di cittadinanza per il futuro, vista le trasformazioni che apporterà al sistema produttivo la rivoluzione tecnologica, nel giro di un decennio. Alcune politiche d’assistenza sono poi previste per il problema abitativo, con alleggerimenti dei canoni d’affitto e progetti d’architettura sostenibile. Mentre per l’istruzione, si prevede un aumento fino al 2% del PIL per investimenti nella ricerca e fino al 7% per il settore scolastico nell’insieme, da riformare dal punto di vista didattico, introducendo una maggiore laicizzazione dei programmi e dei metodi pedagogici innovativi, che premino la collaborazione e favoriscano la capacità di ragionamento e di riflessione a fronte del nozionismo. Per quanto riguarda i diritti civili, si indicano come essenziali leggi a tutela delle donne, dal diritto d’aborto, alla lotta alla prostituzione, passando per la parità salariale, e delle persone appartenenti alla comunità LGBT. Si prevede poi la formazione di una commissione di studio per iniziative e progetti d’integrazione sociale e scambio culturale coi popoli gitani. Vengono poi annunciate l’abrogazione dei concordati con la chiesa del 1979, riforme sull’ampliamento degli strumenti di democrazia diretta, regole ferree anti-corruzione, la creazione di una commissione specificatamente addetta al controllo degli appalti, l’istituzione di agenzie anti-trust tecnico-settoriali, una riforma per la trasparenza e la regolamentazione del finanziamento privato ai partiti. Sul campo dello sviluppo ecosostenibile, si prevede l’incremento al 3% degli investimenti pubblici per le nuove tecnologie pulite, da finanziare con tasse sulle emissioni di CO2, la cessazione dell’uso dell’energia nucleare entro il 2028 e lo sviluppo di un piano speciale d’edilizia verde. Non secondario a questo sviluppo tecnologico è quello del settore informatico, per il quale si prevedono incentivi, soprattutto per le nuove piccole imprese, e piani di collaborazione con le università. Sul piano costituzionale, viene poi introdotta la proposta di fare della Spagna uno stato federale sul modello di quello tedesco, nel quale vengano riconosciute con decisione le autonomie amministrative e parzialmente quelle fiscali, e dove vengano tutelate e promosse le peculiarità linguistiche e culturali; nella speranza di quietare gli spiriti indipendentisti, soprattutto catalani e baschi. Tutte queste riforme devono attuarsi però nel quadro di una collaborazione internazionale, che parta in primo luogo da un rafforzamento delle istituzioni politiche dell’Unione Europea, la quale dovrebbe dotarsi di una banca d’investimento pubblico e di politiche ambientale ed agricola sostenibili, abbandonare l’austerità ed il neo-liberismo, integrare i diritti sociali all’interno dei trattati e cercare una propria posizione indipendente all’interno dello scacchiere geo-politico, autonoma da quella degli U.S.A., e che gli permetta d’intessere rapporti secondo una sua strategia politica con le grandi potenze asiatiche ed i paesi in via di sviluppo, da aiutare attraverso la cooperazione, a cui dedicare almeno uno 0.7% del PIL. Per fare questo ritiene sarebbe in primo luogo necessario deviare i fondi di aumento della spesa al 2% del PIL per la NATO, verso un fondo per la formazione di forze armate di sicurezza europee, indispensabili anche per combattere il terrorismo, seppur in maniera ancillare rispetto al dialogo diplomatico interculturale. In sostanza, le proposte del programma presentato da Sánchez paiono davvero essere coerenti con un piano di riforma e sviluppo social-democratico, ma sarà in grado di poterle attuare? In primo luogo dovrebbe riuscire a vincere le prossime elezioni che, vista la situazione disastrosa del PP, attraversato da una continua serie di scandali, potrebbe anche essere ben prima del 2020. Il leader del PSOE sarà allora già stato in grado di governare i dissensi interni al suo partito e riallinearlo verso una strategia di alleanza che guardi a sinistra, verso Podemos in particolar modo? In secondo luogo poi, Sánchez è davvero intenzionato a governare con Iglesias ed ad attuare una profonda riforma sociale? Le sue parole parrebbero far dedurre di sì, e così anche le dichiarazioni di felicitazione e giubilo arrivate dagli stessi dirigenti del partito di sinistra radicale, attraverso Iglesias, il suo secondo Iñigo Erkejon, il deputato europeo Miguel Urban ed il sindaco di Barcellona Ada Colau; tutti pronti a formare una grande alleanza di sinistra. Quella del madrileno potrebbe però essere solamente un’astuta e ben congegnata strategia elettorale, nulla nega che possa essere influenzato da interessi personali od eteronomi, che lo spingano a virare di nuovo al centro. Ad esempio, Il non appoggio del PSOE alle mozioni di censura promosse da Podemos contro Rajoy, che si discuterà il 13 giugno, e contro Cristina Cifuentes, la Presidente della Comunità di Madrid, al centro, se ben non indagata, dell’ultimo caso di corruzione che ha investito il PP [6], potrebbe essere interpretato come un primo passo d’allontanamento da un’ipotesi d’alleanza. Oppure potrebbe essere visto come una mossa cauta del segretario socialista, che, non ancora in pieno controllo dei suoi gruppi parlamentari, potrebbe non voler rischiare d’incappare in un plateale insuccesso su un tema così delicato, che lo farebbe subito apparire come debole e lo renderebbe facilmente attaccabile dai suoi avversari di partito. In terzo luogo, anche laddove si giungesse ad una coalizione a sinistra, sul modello già prospettato di quella portoghese, questa sarebbe davvero in grado di muovere le leve economiche, fiscali e diplomatiche, per innescare un reale cambio di rotta, con buona parte dell’apparato mediatico ed economico schierati contro, all’interno di regole di bilancio molto stringenti e di un’unione recalcitrante alla mutazione dei trattati e degli equilibri di potere? Certo la Spagna è un paese con un peso specifico importante, ma non è certo la nazione guida dell’Europa, sulla base di quale accordi riuscirebbe allora a creare delle alleanze e con quali paesi? Per tornare invece alle domande del titolo, Sánchez rappresenta il PSOE ed i valori della sinistra, in questo momento? Per quanto riguarda la prima questione, probabilmente il madrileno esprime le ambizioni ed in linea generale le idee della parte nettamente maggioritaria dell’elettorato del partito, e forse da giugno, anche della dirigenza, che per ora gli è invece alquanto ostile, un po’ perché spaventata di perdere la sua posizione di potere ed essere allontanata, per ragioni endogene ed esogene, dal giardino delle Esperidi, senza aver ancora mangiato abbastanza frutta; un po’ perché teme di vedere stritolata la propria carriera e le proprie convinzioni politiche dall’abbraccio con formazioni estranee al partito. Per quanto riguarda invece la considerazione sul fatto se la proposta di social-democrazia di Sánchez sia effettivamente di sinistra, una risposta adeguata potrebbe includere l’ulteriore domanda: quale sinistra? Oppure che sinistra? Plausibilmente, la posizione della nuova leadership del PSOE può definirsi un’interpretazione dell’idea di sinistra, intesa come idea di miglioramento delle condizioni dell’individuo all’interno della società, unitamente all’ampliamento ed allo sviluppo del patrimonio culturale umano nel suo insieme. Di certo quella delineata da Sánchez è un’idea di sinistra fortemente ancorata al modello europeo, marcatamente riformista, molto progressista sui diritti civili, forse meno sul tema della collaborazione internazionale. In ogni caso, definirne i contorni è molto difficile, sulla base di un programma che, benché chiaro, è basato su linee generali programmatiche e non sviluppato nel dettaglio, oltre che ovviamente nemmeno parzialmente posto in atto e messo alla prova dei fatti. Laddove non è dunque impossibile partorire una risposta univoca e precisa, è bene muoversi nello spazio intorno alla domanda, elaborando considerazioni che si avvicinino alle soluzione dei quesiti posti, implicandone a sua volta degli altri, in un processo di previsioni e di riflessioni teoriche, propedeutiche a delle future efficienti applicazioni pratiche. In questo luogo sì, è davvero dove sta la sinistra.
[1] S. Montero, “El ascenso de Pedro Sánchez: de diputado «desconocido» a secretario general del PSOE”, ABC, 21/05/2017 [2] M. Garrido, “El sacrificio de Pedro Sánchez fue una operación de Estado”, CTXT, 28/12/2016 [3] M. Sánchez, “Sánchez acusa a ‘El País’, Alierta (Telefónica) y ‘otras personas’ de evitar un Gobierno de izquierdas”, Público, 31/10/2016 [4] I. Castro, I. Escolar, “No descarto una moción de censura, pero no la que propone Pablo Iglesias”, eldiario.es, 03/05/2017 [5] Qui il PDF [6] P. Águeda, M. Pinheiro, J. Precedo, “La Guardia Civil implica a Cifuentes en la financiación irregular del PP de Madrid”, eldiario.es, 16/05/2017
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