Negli ultimi giorni ha destato molto scalpore uno scontro verbale avvenuto tra Mario Draghi, presidente del Consiglio uscente, e Giorgia Meloni, che si prevede gli subentrerà nell’incarico. La leader di Fdi infatti ha sostenuto (salvo poi abbassare i toni successivamente) che i ritardi nell’attuazione del Pnrr fossero “evidenti”. Draghi ha replicato che, se così fosse, le istituzioni europee non avrebbero valutato positivamente l’operato del nostro paese fin qui.
In effetti, alla fine di settembre la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato l’ok all’invio al nostro paese della seconda rata di finanziamenti da 21 miliardi. Questo parere positivo da parte di Bruxelles è legato al raggiungimento delle 45 scadenze che il nostro paese doveva completare entro il primo semestre del 2022.
Qualche criticità tuttavia effettivamente c’è, come si legge anche in alcuni documenti ufficiali. Nella nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef) recentemente approvata dal Governo, emerge infatti che il nostro paese entro quest’anno spenderà molti meno fondi europei rispetto a quanto inizialmente stimato. Ciò significa che molti cantieri ancora non sono stati avviati e che l’Italia dovrà velocizzare di molto i tempi per riuscire a concludere tutti i progetti entro il 2026, come previsto dal Pnrr. Un obiettivo difficile, data anche la storica difficoltà del nostro paese a spendere i fondi europei.
Secondo il documento tali ritardi sono dovuti in parte all’impennata dei costi delle opere pubbliche. Ma in parte anche alle difficoltà nel portare a compimento le complesse procedure richieste dal Pnrr. Anche per questo motivo è fondamentale un monitoraggio puntuale e costantemente aggiornato sullo stato di avanzamento di bandi e progetti. Cosa che tuttavia a oggi non è ancora a regime.
Cosa dice la Nadef a proposito di Pnrr
Nella Nadef si stima che dei circa 191,5 miliardi di euro che l’Ue ha assegnato al nostro paese, soltanto 20,5 circa saranno spesi entro la fine dell’anno in corso. Considerando l’intero percorso del Pnrr sin qui (quindi anche con i dati relativi al 2021) la spesa complessiva avrebbe dovuto ammontare a 33,7 miliardi di euro circa. Con riferimento specifico al 2022 invece, possiamo osservare che il Def prevedeva una spesa totale di circa 29,4 miliardi di euro, 14,4 in più rispetto a quelli riportati nella Nadef (15 miliardi).
Per recuperare il tempo perso il nostro paese dovrà quindi spendere molti più soldi nei prossimi anni. Nello specifico: 40,9 miliardi nel 2023, 46,5 miliardi nel 2024, 47,7 miliardi nel 2025 e 35,6 miliardi nel 2026. Il che dà un’idea delle difficoltà che attendono il prossimo governo.
Come si può notare anche dal grafico, si prevede di recuperare gran parte del ritardo accumulato già il prossimo anno.
Le misure a sostegno delle amministrazioni in difficoltà
Come già detto nell’introduzione, i ritardi nella “messa a terra” dei progetti sono da attribuire anche alle difficoltà che le pubbliche amministrazioni coinvolte stanno incontrando nell’espletare tutte le pratiche necessarie per avere accesso ai fondi del Pnrr.
Da questo punto di vista sono gli enti locali i soggetti a essere maggiormente in difficoltà. Per ovviare a questi problemi il governo ha predisposto una serie di iniziative. Tra cui l’assunzione temporanea di personale destinato a supportare direttamente o indirettamente le amministrazioni coinvolte. In particolare è stato disposto il reclutamento di 1.000 esperti a supporto degli enti locali e 2.800 assunzioni per rafforzare le pubbliche amministrazioni del sud.
Anche in questo caso però si rilevano delle criticità. Per quanto riguarda i mille esperti, il numero è talmente limitato (si parla di alcune decine per ogni regione) che appare difficile riuscire a soddisfare tutte le richieste.
Difficoltà inoltre si sono registrate anche per i tecnici destinati agli enti del sud. In base alla seconda relazione del Governo per il Parlamento sull’attuazione del Pnrr, emerge infatti che si sono registrati diversi casi di mancata accettazione della proposta di assunzione. Il motivo è probabilmente da individuare nel fatto che tali posizioni sono state giudicate non appetibili, perché a tempo determinato e mal pagate.
Di conseguenza il Governo si è visto costretto a “dirottare” altri funzionari della pubblica amministrazione con competenze analoghe per coprire il fabbisogno di personale richiesto. Questo ha evidentemente contribuito ad acuire i ritardi.
Le misure per far fronte all’aumento dei costi
Al di là delle difficoltà di carattere tecnico, la Nadef sottolinea che molti lavori non sono partiti o risultano in ritardo a causa dell’aumento del costo delle materie prime e dell’energia. Per questo motivo sono state introdotte una serie di misure volte a sostenere non solo la pubblica amministrazione ma anche le imprese coinvolte nella realizzazione dei progetti.
Tra queste si segnalano l’annullamento delle aliquote per l’elettricità e la diminuzione di quelle per il gas, i contributi straordinari per le imprese sotto forma di credito d’imposta e la riduzione delle accise e dell’Iva sui carburanti. È stato inoltre istituito un fondo per la realizzazione dei progetti che coinvolgono i comuni con più di 500mila abitanti ed è stato potenziato il fondo a sostegno della presentazione di proposte per gli importanti progetti comuni di interesse europeo (Ipcei).
Alcuni interventi di rilievo sono stati introdotti anche con il recente decreto aiuti ter. Tra le misure più significative ci sono l’istituzione del fondo per l’housing universitario finalizzato ad acquisire la disponibilità di nuovi posti letto per studenti. E l’estensione anche ai progetti finanziati con il Pnrr delle risorse contenute nel fondo per le opere indifferibili. Si dispone infine che le amministrazioni possano impiegare le risorse assegnate e non utilizzate per l’affidamento di appalti o per la concessione di contributi pubblici per far fronte ai maggiori oneri.
Ulteriori interventi volti a mitigare l’aumento dei costi sono elencati all’interno della già citata relazione del Governo per il Parlamento. Si prevede innanzitutto l’introduzione di clausole per la revisione dei prezzi. Ad esempio, in caso di aumenti superiori al 5% del prezzo originario sono previste delle compensazioni fino all’80% dell’eccedenza. Per questa operazione possono essere recuperate le risorse assegnate nell’ambito degli stessi interventi ma non utilizzate. Solo nel caso in cui tali fondi non fossero sufficienti, le amministrazioni appaltanti possono fare ricorso alle risorse del fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche. La cui dotazione è incrementata di 1 miliardo di euro per il 2022 e 500 milioni per il 2023.
Per le procedure di affidamento delle opere pubbliche avviate tra il 18 maggio e il 31 dicembre 2022 le stazioni appaltanti possono compensare l’aumento dei prezzi anche con il fondo per l’avvio di opere indifferibili che ha una dotazione iniziale pari a 7,5 miliardi di euro a cui sono stati aggiunti altri 1,3 miliardi con il decreto aiuti bis. Sono stati stanziati poi ulteriori 150 milioni di euro per il fondo per l’adeguamento dei prezzi.
Infine per 15 misure di competenza degli enti locali è previsto un aumento automatico delle risorse assegnate di una quantità compresa tra il 10% e il 25%. Non è detto però che tutte queste iniziative siano sufficienti a recuperare il ritardo accumulato. Per questo il prossimo sarà un anno fondamentale.
Perché è importante proseguire nel monitoraggio
Se finora i ritardi nella realizzazione dei progetti Pnrr non hanno inciso sull’erogazione dei fondi da parte dell’Ue, con il passare dei mesi le cose cambieranno. Ci stiamo avviando infatti verso una fase in cui si devono iniziare a raggiungere i target stabiliti nel Pnrr.
Per questo motivo sarà di fondamentale importanza che il Governo metta a disposizione al più presto i dati in suo possesso sull’avanzamento dei progetti. Solo così infatti sarà possibile verificare il raggiungimento di determinati target. In primis quelli da completare entro l’anno, tra cui l’aumento del gettito fiscale o la creazione di 7.500 nuovi posti letto per gli studenti.
Queste informazioni dovrebbero essere contenute nel sistema informativo Regis. In base a quanto emerge dalla relazione del Governo per il Parlamento la piattaforma è stata completata solo di recente e le varie amministrazioni stanno procedendo all’invio della documentazione. Attualmente sarebbero registrati nel sistema circa 73.000 progetti. Tuttavia le informazioni contenute su Regis non appaiono a oggi accessibili alla cittadinanza, mentre i dati pubblicati sul portale Italia domani risultano aggiornati al 31 dicembre scorso.
Nella relazione si legge che le tempistiche con cui questi dati saranno resi disponibili dipenderà dalla velocità con cui le amministrazioni coinvolte nella realizzazione dei diversi interventi invieranno le informazioni richieste. Questo conferma il fatto che ad oggi in Italia nessuno ha un quadro complessivo aggiornato e puntuale di quello che sta accadendo. Un’evidenza particolarmente grave e a cui è necessario porre rimedio al più presto, evitando che il cambio di governo causi ulteriori ritardi.
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