Umberto_Allegretti1.I criteri che abbiamo cercato di seguire nella parte di questo fascicolo dedicata al programma per un nuovo governo del centrosinistra – che, pur nella libertà dei singoli collaboratori, sono comuni alla generalità degli scritti – dipendono, per esprimersi così, da due dimensioni d’altronde fortemente inter-connesse, cioè: a) dalla dimensione spaziale delle politiche, e b) dal loro conte-sto temporale. Nel primo ordine d’idee, una corretta politica profilabile oggi per l’Italia deve tener conto del triplice (o quadruplice) livello proprio di ogni azione prospettabile nel mondo di oggi, nel quale pressoché in ogni campo sono intimamente intrecciate la dimensione globale, quella continentale, quella nazionale (e infine quella locale) dei problemi. Nel secondo ordine d’idee ogni politica deve muovere da un apprezzamento dell’esperienza e della tradizione storicamente datesi in Italia e dei riflessi che esse proiettano sulla situazione odierna e su quelle intravedibili per il futuro. Più specificamente, bisognerà considerare sia b1) le tradizioni e le esperienze del passato non immediato – se non altro di quelle del periodo repubblicano –, che b2) le esperienze recenti della transizione post-1989 e del periodo governato dal centrosinistra e quelle recentissime del governo di destra.
a) Per i nostri lettori non occorre qui riprendere la giusti-ficazione del discorso che questa rivista ha svolto in tutti questi ultimi anni – ormai praticamente in ogni suo numero – sulla dimensione globale (trattata specialmente sui nn. 4, 2003 e 1, 2004, dedicati, sotto i titoli di Globalizzazione e Ancora di globalizzazione, ad analizzare i risvolti più importanti della globa-lizzazione oggi) e su quella europea, incluso il rapporto tra Europa e Stati Uniti e ovviamente con diretta attenzione al processo di sviluppo in corso nell’Unione col nuovo Trattato di Roma (temi a cui sono stati dedicati specificamente il n.2, 2003 e il n. 4, 2004, rispettivamente Europa e Euro-pa/Mondo). Ovviamente il discorso sulle istituzioni nazionali è sempre proseguito sui vari numeri e il n. 2, 2004 ha inteso mettere in particolare risalto il principio unitario (il costituzionalismo) chiamato a presiedere alla nuova rete di rapporti a più livelli tra diritti e tra poteri. Da quelle analisi, sempre da verificare e aggiornare, vanno tratte in questa sede le riflessioni più consone a profilare un progetto di nuove politiche. Dalle dimensioni spaziali plurime evidenziate nasce l’attenzione più forte che in passato, non solo a un naturale ruolo dei contenuti e delle peculiarità delle politiche interne, ma anche ai profili trasver-sali legati al quadro esterno; ne deriva una forte attenzione all’azione esterna, in sede sia europea che internazionale, alla quale perciò questo fascicolo dedi-ca un buon numero di articoli, auspicando che le tematiche di politica estera vengano a far parte integrante, per iniziativa dell’Unione, dello stesso dibattito elettorale.
b) Sul secondo aspetto (il contesto temporale) va rilevato che la novità di situazione dipendente dalla dimensione spaziale complessa già accennata induce a differenziare le politiche prospettabili per il presente e il vicino futuro rispetto a quelle passate e ancora in atto, marcando un forte bisogno di novità progettuale.
b1) Rispetto alla tradizione repubblicana, e a quella italiana precedente che ha molto influenzato con le sue eredità quella repubblicana, l’esigenza di elementi di discontinuità è legata, non solo alle insufficienze di cui l’Italia ha patito sia in campo economico che in campo sociale e riguardo alla democraticità reale e all’efficienza delle istituzioni, ma appunto all’influenza svolta dal contesto complessivo di globalizzazione e di inserimento nell’Unione europea.
b2) I periodi recenti hanno già risentito, nel bene e nel male, dei mutamenti intervenuti, ma non le hanno affrontate in maniera trascrivibile nell’oggi, anche perché le situazioni sono andate ulteriormente evolvendosi negli ultimissimi anni, sia sul fronte mondiale (dal settembre 2001 in avanti con maggiore accelerazione) che su quello europeo (allargamento dell’Unione, suo riassetto costituzionale, tensioni con gli Stati Uniti).
Vi è poi un divario notevole tra il periodo del centrosinistra al governo e quello del governo di destra.
Alcuni fondamentali indirizzi del primo periodo sono sicuramente tuttora approvabili, in primo luogo l’aver tenuto e sviluppato uno degli assi tradizionali della politica italiana: la partecipazione convinta all’Unione europea. Viceversa l’adesione di principio, propria della destra, a una politica accentuata di liberalizzazione economica, con il corredo di privatizzazioni delle imprese e del pa-trimonio pubblico, e l’uniformazione alle linee del liberismo mondiale, percorre già le politiche del centrosinistra. Essa è stata sicuramente aggravata in tutti gli aspetti dalla destra, per di più in forme insoddisfacenti sul piano dell’efficacia e dell’efficienza e con un intreccio tra privatismo e statalismo tipico di tutta la storia italiana, fino a vertici preoccupanti nel campo della dismissione dei beni comuni, incluso il patrimonio culturale (1); e merita molti ripensamenti, articolati secondo i vari problemi. L’erosione delle garanzie sociali e delle strutture dello stato sociale, come pure la trasformazione dell’istruzione e della politica della ricerca secondo linee puramente economicistiche che calpestano i valori disinteressati della cultura, al tempo stesso altamente produttivi anche sul piano concreto, come pure la contrazione di risorse attribuite a questi settori, hanno conosciuto anch’essi un aggravamento nel passaggio dal centrosinistra alla destra.
Lo stesso si è verificato sul piano costituzionale, con tutta la gravità di ciò che si colloca su questo piano. Pur essendo chiaro che il centrosinistra ha complessivamente mantenuto l’adesione alla genealogia della repubblica e ai valori originari della costituzione e della storia dell’antifascismo e della Resistenza, la spinta revisionista in materia costituzionale espressa nel progetto della Commissione bicamerale e in certi aspetti della prassi quotidiana è stata criticabile. Quanto all’attuale maggioranza, il suo progetto di riforma costituziona-le è assolutamente eversivo e trova fondamento in un clima di distacco e ripudio della genetica della costituzione, percepibile in tutto l’atteggiamento della maggioranza. Nella prassi della destra, epicentri quotidiani della violazione dei principi costituzionali sono stati naturalmente il tentativo di distruggere l’autonomia della magistratura e l’accrescimento e perpetuazione del regime di concentrazione dell’informazione. Quel che si può vedere, alla data in cui questo fascicolo viene chiuso, del modo di rapportarsi alla crisi aperta dal venir meno nelle elezioni regionali della maggioranza di destra, lascia poi interdetti circa l’insensibilità costituzionale del presidente del consiglio, che sconfina or-mai in comportamenti di netta violazione della costituzione.
Una parabola simile hanno subito gli scostamenti da una prassi di corretta adesione al ripudio della guerra disposto dalla costituzione, in cui si è passati dal problematico (ma non certo ligio a tutti i requisiti costituzionali e internazionali di legittimità) intervento nel Kosovo alla franca violazione costituzionale costituita dalla partecipazione alle guerra e all’occupazione dell’Iraq.
È dunque auspicabile – come molti dei nostri contributi motivano problema per problema – che vi sia da parte dell’Unione un superamento di alcune improprietà della prassi dello stesso centrosinistra; il che richiederà, in questo periodo di preparazione, un serrato dibattito su tutte queste tematiche, teso in particolare a individuare quell’equilibrio tra i condizionamenti dell’epoca di liberismo globale e i valori sociali e costituzionali (fortemente avvertiti a livello delle istanze della collettività) che viene tratteggiato dai protagonisti della futura politica economica(2).
2.Siamo convinti che quella che attende un futuro governo dell’Unione è niente di meno che un’opera di ricostruzione nazionale, che rimuova il guasto prodotto nel tessuto democratico dalla pratica politico-istituzionale e dalla legislazione del centrodestra italiano, di un complesso, cioè, di forze anomale rispetto al volto delle normali destre democratiche.
Nemmeno a questo riguardo il giudizio che si formula è del tutto scontato. La nostra rivista si è mossa da molto tempo secondo un’impostazione di questo genere, dedicando un intero fascicolo (n. 1, 2003) a quello che chiamammo con precisa intenzionalità il sistema Berlusconi, volendo con ciò indicare che la conquista del potere da parte della destra, assistita da tutta la determinazione e dalla tenacia da essa dimostrate, non sia da considerare un fatto episodico ma derivi da robuste radici nella società italiana e corrisponda a un progetto organico e solidale in tutte le sue parti, che attenta ai fondamenti stessi di una vita qualificabile come minimamente democratica. Berlusconi è senza dubbio autore di una deformazione gravissima del clima morale e dei valori giuridici e di legalità, ma è al tempo stesso specchio di tendenze che hanno sempre percorso la storia d’Italia, anche nel suo miglior periodo che è quello repubblicano, e che sono state dal suo dominio esaltate consolidando un sistema di individualismo radicale, di privatismo largamente illegale, di dissoluzione del vincolo sociale, che non può essere superato senza una lotta rigorosamente lucida, non facile e determinata, che punti su una sorta di autentica conversione del paese.
Questa impostazione non è certo isolata ma non si può nemmeno dire che sia stata, per lo meno finora, comunemente condivisa, sia pur dalle forze che si oppongono a Berlusconi. Al contrario, per molto tempo l’opposizione generale è stata complessivamente tenue, non appoggiata ad assunzioni teorico-pratiche perentorie, incerta.
A fondamento di tale ultimo atteggiamento si possono immaginare diverse e complesse motivazioni, tra di esse più d’una pregevole ma nell’insieme a parer nostro non condivisibili. A parte i comportamenti di matrice opportunistica, frequenti nel passato e nel presente d’Italia – e che bisognerà stare attenti a che non si ripetano nel caso di una vittoria elettorale dell’Unione –, ha con tutta verosimiglianza influito una sensazione psicologica istintiva di debolezza, procedente non solo dalla sconfitta elettorale in sé e per sé ma più ampiamente dall’affermarsi quasi di una nuova egemonia. Lo dimostra anche il fatto che un atteggiamento più deciso è andato facendosi strada man mano che ripetuti successi conseguiti in elezioni di vario livello venivano convincendo il centrosinistra del proprio rafforzamento. Al tempo stesso si è stati presi come da un’incredulità sulle caratteristiche che, dopo un lungo periodo di democrazia, avrebbe rivestito la destra nel nostro paese, e dunque da una sorta di spontanea fiducia che essa non si sarebbe discostata più di tanto dalla normalità di una forza conservatrice: un’attitudine simile, su più solidi fondamenti, a quella tenuta in passato dai gruppi dirigenti liberali nei confronti di un fenomeno, diverso ma non privo di alcuni tratti comuni rispetto all’attuale esperienza, quale il fascismo storico. Fors’anche il senso della stranezza e del ridicolo stesso destati in particolare dagli atteggiamenti del capo della coalizione allontanavano dal prenderlo troppo sul serio e insieme mettevano in difficoltà circa il tipo di risposta. Per altro verso, uno scrupolo etico-politico spingeva a mostrare al massimo la propria correttezza di fronte a un’affermazione legittimata da un’elezione democratica, e contribuiva dunque a far evitare prese di posizione di assoluta intransigenza.
Forse agiva ancora più potentemente, seppure in congiunzione con le prece-denti motivazioni, l’idea che un’opposizione troppo frontale e recisa che denunciasse a tutto campo l’illegittimità democratica d’una maggioranza fondata sulla trasgressività del suo personaggio guida e delle linee di innovazione ordi-namentale da lui perseguite avrebbe piuttosto aggravato che mitigato la spinta sovversiva, mentre il contrario sarebbe avvenuto con una contrapposizione «misurata». La moderazione dell’opposizione non ha però affatto indotto la maggioranza ad una moderazione reciproca; anzi gli eccessi sono stati crescenti sia nello stile e nei comportamenti che nell’invasione legislativa di tipo eversivo. L’unico passo indietro è stato quello conseguente all’episodio Genova 2001 (che andrebbe meglio studiato sotto quest’aspetto generale). In esso è probabile che la maggioranza, con l’opera del presidente del consiglio e del suo vice, abbia tentato la carta d’una linea anche classicamente repressiva; ma non la moderazione dell’opposizione ufficiale, piuttosto la fermezza mostrata dalla pronta risposta di massa dei manifestanti, dall’opera illuminatrice dei mezzi di comunicazione e dalla reazione dell’opinione pubblica e della stessa più esterna ma non estranea opinione europea, hanno attivato un meccanismo di riflessione che, sebbene non totalmente e non subito (3) , deve aver svolto a livello di governo un ruolo moderatore, così da ribadire la prevalente linea del berlusconismo di affidare la «dittatura della maggioranza» (e del premier) ai mezzi più soffici della propaganda e dell’immagine.
Certo è che è stato necessario un ripetersi crescente di successi elettorali in elezioni amministrative e parziali, assieme agli eccessi praticati nonostante ogni tentativo moderatore, per indurre la minoranza nel suo insieme a un’opposizione più ferma e fiduciosa nelle proprie possibilità di risultato. Fino a che sono giunte a raffermare compiutamente l’evoluzione dell’atteggiamento di opposizione le dichiarazioni inequivocabili di colui che intanto ne ha con tenacia conquistato la leadership circa la inaccettabilità assoluta d’una riforma costituzionale quale quella portata avanti dalla maggioranza e la pari assolutez-za nel respingere, in nome dell’art. 11 della Costituzione, la prosecuzione dell’occupazione e della guerra in Iraq (4) .
Negli ultimi tempi – soprattutto dopo la straordinaria vittoria elettorale nelle elezioni regionali –si è fatto strada un atteggiamento più fiducioso e più deciso e si vanno comunicando a tutta l’Unione quella confidenza in se stessi e quello slancio di cui dà prova il suo candidato alla presidenza. Di fronte alla pervicacia nel perseguire una riforma della costituzione «incostituzionale» e una politica estera in Europa e nel mondo di rottura della solidarietà con i paesi ai quali siamo più vicini e contraria, oltretutto, alle istanze pacifiste dell’opinione pubblica, è ormai assolutamente chiaro che non era avventato quanto da noi e da altri si era venuto sostenendo, che cioè l’opera di governo della destra non è inquadrabile in una normale alternanza di indirizzi governativi quale si verifica nei paesi similari, ma è recisamente qualificabile come eversiva perché attacca a fondo la sostanza degli assetti democratici e civili.
3.La conseguenza di queste valutazioni è duplice. Da un lato occorrerà a nostro avviso dedicarsi a una complessa opera di riforma culturale, morale e civile. La politica e la legislazione possono indirizzare una collettività, ma solo se non rinunciano a un’opera profonda nel corpo stesso della società. E questo richiede a chi si investe di questo compito una mobilitazione di energie che de-ve impegnare i ceti intellettuali, le realtà associative e ciascuno fra coloro che sentono quanto soltanto un nuovo orizzonte culturale e morale può liberare dagli eccessi di individualismo appropriativo e di illegalismo in cui versa la nostra società. Dall’altro lato occorrerà provvedere a un’intera opera di governo, legislativa, amministrativa. Pertanto, un diverso indirizzo quale si condensa nell’Unione non può non proporsi un deciso rovesciamento rispetto a quello dell’attuale legislatura di tutta l’opera legislativa e dell’intero stile di governo e in molta parte anche una sfida a tendenze di più lungo periodo insite nella vita nazionale.
Le ramificazioni dell’opera di assetto dello stato e della società si possono co-gliere in tutto il loro arco raggruppandole in tre grandi campi nei quali il nostro ordinamento è stato o è sul punto di essere alterato dalla destra e cioè: I) quello direttamente costituzionale (lo strato di questioni più alto e grave); II) la legislazione «strategica», che incide sugli equilibri civili e morali della società e non solo sulla sua strutturazione economica; III) la politica europea e internaziona-le. Così è su ciascuno di questi grandi campi che si deve pensare di articolare l’azione politica.
I)Dopo il consolidamento legale oltre che pratico di un sistema televisivo che sopprime quel pluralismo informativo che costituisce condizione e sostanza della democrazia; dopo i ripetuti tentativi di limitare l’indipendenza della magistra-tura, culminanti nel disegno di legge sull’ordinamento giudiziario, rinviato al parlamento dal presidente della repubblica ma che verrà probabilmente modificato dalle camere in misura insufficiente; dopo altri attentati alla costituzione come quello, fermato dalla Corte costituzionale, di conferire immunità al titolare della carica di presidente del consiglio (e di altre cariche); dopo questi e altri tentativi effettuati e spesso riusciti all’integrità della costituzione, la riforma dell’intera parte seconda della Carta interviene, con assoluto sprezzo di ogni collaborazione, a sovvertirla in radice. Essa segnerebbe, appena fosse riapprovata, la definitiva espressione – neutralizzabile solo col referendum oppositivo – della precisa volontà del governo, del suo presidente e della maggioranza parlamentare di alterare non questa o quella norma o istituto costituzionali ma l’intero impian-to organizzativo della costituzione (con decisivi riflessi sui diritti e doveri dei cittadini della parte prima). Ciò fa in primo luogo attentando – con una concentrazione inaudita di poteri nel primo ministro ai danni del parlamento e del pre-sidente della repubblica, ma anche del governo come organo collegiale e della maggioranza stessa – ai principi supremi della democrazia e del costituzionalismo, che richiedono un rigoroso pluralismo dei poteri, il loro equilibrio e forti contrappesi. E quindi, discostandosi da tutta la tradizione giuridica della civiltà occidentale, a partire da quell’articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, che ha proclamato che non ha costituzione quella società nella quale non sono assicurate la garanzia dei diritti e la divisione dei poteri.
Questo è il primo passo che aspetta la nuova maggioranza: di questa riforma incostituzionale della costituzione – nozione non contraddittoria né paradossa-le, ma legata all’ordine gerarchico che essa internamente contiene – è giustifi-cato il rifiuto assoluto e il parlare, come Prodi ha fatto, di dittatura della maggioranza (e del primo ministro). Ed è doveroso lottare con tutte le forze perché non si perfezioni. Tanto più oggi che – dopo che le elezioni regionali hanno dimostrato che la maggioranza parlamentare diverge dalla maggioranza del paese – essa verrebbe posta in atto non tanto da una semplice maggioranza, con metodo criticabile e criticato, quanto da una rappresentanza che non rispecchia più la maggioranza del paese.
Fermo restando che, in questa fase, e nella fase che seguirebbe immediatamente l’insediamento di una diversa maggioranza parlamentare dopo nuove elezioni, il primo compito sta nella messa fuori gioco della riforma approvata, si potrà subito dopo pensare a modifiche di singole norme della costituzione che aumentino l’articolazione e la forza delle garanzie previste a vincolo della maggioranza, complementando ciò che è deficitario, soprattutto in presenza di un sistema elettorale maggioritario, nel sistema di garanzie attualmente previste dalla Carta. Si raccoglierebbero in questo alcune delle proposte contenute nella cosiddetta «bozza Amato», insieme però a un attento ripensamento – necessa-rio, ad avviso di molti dell’area del centro e della sinistra – di altre riguardanti il governo (soprattutto nella normativa prevista contro il cosiddetto ribaltone) che sono vicine a quelle della riforma della destra. Inoltre, e da subito, sarebbe assolutamente necessario instaurare tra governo e parlamento una serie di comportamenti che già trovano riscontro nelle attuali norme costituzionali e che coinvolgono lo stile nei reciproci rapporti tra maggioranza e opposizione, affrontare la reimpostazione del sistema dell’informazione e ritornare a una legislazione e a una prassi corrette nei riguardi dell’indipen-denza della magistratu-ra e dell’ordinamento giudiziario.
II)Una vasta opera legislativa della destra – condotta con una accettazione di relazione con l’opposizione ben più scarsa che in passato – ha coinvolto le parti più varie dell’ordinamento, non limitandosi ai settori da tempo bisognosi di innovazione e ai luoghi di instabilità normativa quali il lavoro e le garanzie sociali, la sanità, il governo del territorio, i beni culturali, l’ambiente, la ricerca, la scuola. Anche campi più stabilizzati e di recente riformati, come certi settori di legislazione penale (basti pensare alle norme che praticamente depenalizzano il falso in bilancio, a quelle che declassano la protezione penale dell’ambiente o che contrastano l’immigrazione illegale, alla riforma del codice penale militare di guerra, alle norme ripetutamente proposte sulla tossicodipendenza; e in generale a tutti quegli interventi che inaspriscono le pene per i deboli e le mitigano per i potenti), il sistema tributario, la protezione civile, l’immigrazione, o che non costituivano teatro riconosciuto di conflittualità né erano oggetto di atten-zione dell’opinione pubblica come la normazione tecnica sulle opere pubbliche e la normazione sismica.
Ovviamente le innovazioni non tutte e in ogni aspetto sono da criticare, ma sicuramente vanno affrontati, per essere oggetto di nuovo intervento in altro senso, tutti quegli aspetti nei quali netta è stata l’opera di dissolvimento di prin-cipi di etica e di legalità, di uguaglianza e perfino di protezione della libertà. A questo fine, in questo fascicolo della rivista ne vengono trattati alcuni, a titolo di campione, presentando alcune proposte di innovazione e pensando di ritornare su altri aspetti in fascicoli futuri.
III)La politica estera è stata oggetto da parte del berlusconismo di una vera rivoluzione, incomposta ma sorretta da pensieri e istinti precisi. A essere stato sovvertito è quel nodo di fondo che lega molteplicemente la politica europea e la relazione con gli Stati Uniti d’America. Il polo di attrazione dell’azione esterna del governo sono state le scelte personali del presidente del consiglio appunto sul terreno di quella relazione e la sua decisione di darle preminenza su tutti i nostri atteggiamenti di politica internazionale, perseguendo la instaurazione di un supposto privilegio dell’Italia nella politica del potente alleato. A questo intento sono stati uniformati prima di tutto i comportamenti (tanto importanti in politica estera) o addirittura i gesti, e però anche molti concreti atti di decisione come le posizioni sulla guerra in Iraq, appena temperate ma non sostanzialmente modificate dalle reazioni dell’opinione pubblica.
A parte i notevoli insuccessi avutisi in realtà proprio riguardo all’obiettivo per-seguito, questa scelta ha comportato una serie di correlativi atteggiamenti, con anche più cospicui effetti sulle decisioni, inclusi una serie di atti di legislazione, nei rapporti con i paesi europei e in seno all’Unione europea. Ma tutto ciò ha trascinato, per corollario o per parallelismo, risultanze risentite in tema di rap-porti con i paesi esterni, come i rapporti privilegiati che si è pensato di poter instaurare con la Russia, alcuni non coerenti atteggiamenti con la Cina, la tra-scuranza, del resto tradizionale per l’Italia, delle decisioni a cui pur si è chiamati a collaborare in seno alle grandi istituzioni economiche internazionali, e l’ulteriore contrazione degli aiuti al Sud del mondo.
Rispetto a ciò, abbiamo tentato di delineare linee di politica internazionale che riprendano, e anzi incrementino, l’assunzione di responsabilità del nostro paese per il progresso dell’Unione europea, che riequilibrino i rapporti con gli Stati Uniti e che ci rendano, forse per la prima volta, motori di iniziative nell’arena mondiale sia per una politica di pace attiva che per un raddrizzamento della po-litica mondiale nella direzione di affrontare il nodo più grave dei problemi del pianeta, che è quello dell’ingiustizia distributiva mondiale e di relazioni corrette tra le civiltà e nei confronti dell’ambiente.

Note
  1. Cfr. F. Cassano, Homo civicus. La ragionevole follia dei beni comuni, Bari, Dedalo, 2004.
  2. Cfr. le notizie sulle espressioni usate sia da Prodi che da Monti (pronosticato come mini-stro dell’economia nel governo dell’Unione) in merito alla compatibilità tra politiche li-beriste e della concorrenza e garanzie sociali, di cui danno notizia i giornali del 10 aprile 2005.
  3. In realtà il presidente del consiglio cercò di resuscitare un clima di allarme circa possibili insorgenze di violenza di fronte alla convocazione, nell’autunno 2002, della grande as-semblea del Forum sociale europeo indetta a Firenze, senza distinguere un’occasione di convocazione autonoma di una riunione del movimento rispetto al precedente controver-tice contestativo di Genova. L’operazione tuttavia fallì completamente, dato il carattere assolutamente pacifico di quella riunione.
  4. Cfr. le dichiarazioni di Prodi, rispettivamente dell’11 marzo (discorso davanti ai gruppi dell’Unione in senato) e del 25 febbraio 2005 (lettera al Corriere della Sera).

Un commento a “Dal «sistema Berlusconi» a un’altra Italia”

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