(Pubblicato su l’Huffington Post del 10 ottobre 2016) Molto è stato scritto sulla fine del Pci, sia in relazione al contesto internazionale (fine del comunismo), sia in rapporto a fenomeni caratteristici del sistema italiano. Più originale e utile ad arricchire la comprensione di quella fine è la prospettiva che sceglie nel suo ultimo libro Giuseppe Cotturri (Declino di partito. Il Pci negli anni Ottanta visto da un suo centro studi, Ediesse, pp. 125) nel quale il Crs, da lui diretto per 15 anni sotto la presidenza di Pietro Ingrao, viene utilizzato come prisma per leggere quella vicenda. La tesi principale del libro è che il partito non è stato in grado di stabilire un rapporto nuovo e sinergico con i centri studi e in generale con le nuove spinte politiche e culturali che venivano fuori dal partito. Ciò ha portato i gruppi dirigenti a chiudersi, anziché aprirsi, e a non valorizzare le letture nuove e le conseguenti proposte. A dare queste spinte ci fu proprio il Crs che, durante gli anni ottanta, elaborò un consistente numero di ricerche e iniziative molto avanzate sia sul piano della proposta politica che su quello dei soggetti coinvolti. La parola chiave per leggere questa vicenda è autonomia, termine introdotto da Mario Tronti in un convegno a Torino con Norberto Bobbio, riferita al “politico”, col tentativo di marcare l’indipendenza e il primato della politica rispetto all’economia, ma che ebbe interpretazioni diverse (si pensi al movimento del ’77). All’interno del Pci, si cominciò a parlare di autonomia grazie proprio a Ingrao col fine di trasferirla nel rapporto con gli intellettuali e tradurlo nella ricerca dei centri studi. Un’idea che, come prevedibile, trovò le resistenze di una parte importante del gruppo dirigente comunista. Ciò nonostante, il nuovo modello organizzativo del Crs che fu messo in campo da Ingrao, a partire dal 1979, contribuì di fatto a rendere più autonomo il lavoro del centro grazie all’apertura a un numero ampio di giovani studiosi e al nuovo assetto dipartimentale. Molto importante fu poi una serie di scambi politici che si volle tenere con fondazioni e centri studi legati alla tradizione socialista europea, a cominciare dalla Yusi. In questi anni, il Crs elaborò alcune proposte di riforma dei partiti per lanciare nuove forme di partecipazione attraverso una maggiore “diffusione” della politica. Si trattava di un’idea che scaturiva da una precisa lettura del decennio settanta nella quale i movimenti sociali di quegli anni erano stati interpretati come il sintomo di una strozzatura dei circuiti di partecipazione democratica. È in questa cornice di rinnovamento che nel Crs fanno ingresso nuove culture, tra tutte quella del femminismo grazie, soprattutto, all’impegno di Maria Luisa Boccia, oggi presidente del centro. Un tema molto importante di questi anni è quello della riforma istituzionale, messo in agenda con spregiudicatezza dalla nuova leadership socialista di Bettino Craxi (la “grande riforma”) alla quale il Pci reagisce con una difesa “alla lettera” della costituzione. Diverso, però, fu l’orientamento del Crs che, invece, si misura proprio su questi temi. All’inizio, lo fa nella prima commissione bicamerale per le riforme (la Bozzi) della quale fanno parte personalità legate al centro. Poi, quando fallisce la commissione, è lo stesso Ingrao a lanciare la proposta di un “governo costituente”, ritenendo importante “sbloccare” la democrazia prima di poter praticare qualunque alternativa. Per tutti gli anni ottanta, il Crs elabora molte proposte su altri temi, come, per esempio, la giustizia e la guerra, ma esse non vengono mai valorizzate a sufficienza da un Pci che, sotto la segreteria di Occhetto, si sta avviando alla fine. Qui si consuma un ulteriore distacco con il partito reso inevitabile dal carattere “leaderistico” che andava assumendo la nuova segreteria e che, in quanto tale, negava di fatto ogni reale trasformazione inclusiva, nonostante spessissimo essa veniva enunciata. L’epilogo avviene nel 1993, quando Ingrao decide di abbandonare il Pds e lasciare, conseguentemente, la presidenza del Crs. A significare non tanto una distanza tra cultura e politica, ma tra un modo di intendere la politica e un altro.
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