Dalla relazione alla prima assemblea generale dell’Associazione CRS sul tema “I ‘poteri’ si rifondano: quale risposta?”, Roma, 20 gennaio 1986. Pubblicato in Pietro Ingrao, “Crisi e riforma del Parlamento”, Collana Pietro Ingrao, Ediesse, Roma 2014.

Quando ragioniamo quindi di riforma istituzionale, non possiamo farlo – mi sembra – quasi fossimo di fronte a un quadro di stagnazione, di lenta sopravvivenza dei vecchi ordinamenti, ispetto a cui starebbe a noi decidere, autonomamente, se e come procedere a una revisione. È vero invece – questa è la mia opinione – che noi siamo al centro di un conflitto che già da ora, già da prima, sta avendo impatti istituzionali rilevanti.

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E non mi sembra dubbio che il primo terreno su cui l’offensiva neoconservatrice (poiché di questo si tratta) ha investito non solo la distribuzione delle risorse materiali, ma un insieme di regole, di istituzioni nel senso più alto e stringente, sia l’attacco alle strategie e alle politiche di stato sociale.

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Il trentennio, pure così faticoso, diversificato e contrastato di welfare corrisponde a questo modo di costituirsi dell’Europa attorno a questo sistema di valori e a questa concezione della statualità, delle sue sfere e articolazioni, dei suoi criteri di regolazione.

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Perciò, secondo me, è chiamata in causa tutta una prospettiva democratica, che – attraverso circuiti complessi, avanzate e sconfitte – aveva delineato forme di statualità e processi di eguagliamento e di cittadinanza, i quali tendevano a configurare il volto dei differenti paesi, la loro composizione sociale (o demografica, per dirlo con Gramsci), i rapporti tra le classi e le regole che li organizzavano, gli equilibri territoriali e zonali. Questo potere di controllo sul volto nazionale degli Stati era in definitiva la manifestazione più alta e più stringente della sovranità: e quel potere tanto più poteva essere riconosciuto, quanto più si fondava su una legittimazione che traeva la sua forza da una interpretazione espansiva del suffragio universale e di una lettura ‘democratica’ del conflitto di classe.

È ancora valido questo orizzonte, soprattutto, può esprimere tutte le sue potenzialità se invece, la composizione sociale – quello che ho chiamato il volto dei singoli paesi, ma oggi potremmo dire dell’Europa – sfugge ai poteri legittimati democraticamente, e tende a spostarsi nelle mani di grandi apparati economici e militari che scavalcano le frontiere nazionali e incidono direttamente non solo sui tassi di profitto e sui livelli di reddito, ma sulle figure sociali, sulle sovranità territoriali, sugli squilibri interni?

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Il declino dell’Europa è senza dubbio anche un declino materiale come perdita di livelli di competitività; ma anche – legato a questo e insieme a questo – un rischio di perdita di sovranità sostanziale.

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