Mentre l’onda scatenata dalla vicenda della Flotilla dilaga e travolge l’agenda politica nazionale e internazionale, la campagna elettorale più breve della storia porta domenica la Calabria al voto anticipato di un anno per volere del suo presidente uscente di centrodestra Roberto Occhiuto. E anche in Calabria, come altrove, la prima e fondamentale questione che si pone è se la mobilitazione straordinaria delle coscienze su guerra e pace, violenza e genocidio, neocolonialismo e repressione del dissenso riuscirà a incrinare il muro di indifferenza alla politica ordinaria che si esprime con l’astensione (alle regionali calabresi di quattro anni fa votò solo il 44%). E non è affatto detto, non perché valga sempre il refrain “piazze piene urne vuote” ma perché la divaricazione fra la politica che ci vorrebbe all’altezza dei problemi del mondo e quella che c’è nel cortile di casa è sempre più evidente.
Per una volta però la campagna elettorale calabrese ha alzato, non abbassato, la qualità del confronto pubblico. Eterogenesi dei fini rispetto al punto di partenza, la furbata di Occhiuto, che in piena estate ha creduto bene di risolvere il problema di un’inchiesta giudiziaria per corruzione pendente su di lui con un “Mi dimetto e mi ricandido” annunciato con un video via social. Motivazione dichiarata, la burocrazia regionale che a seguito di quell’inchiesta si sarebbe messa in stand by impedendogli di lavorare. Ma si sa che “la burocrazia” se la batte con la magistratura nella classifica dei capri espiatori della destra; e in questo caso l’occasione era ghiotta per prendere tutti e due i piccioni, burocrazia e magistratura, con una sola fava, la scommessa su un plebiscito popolare. Tutto in linea con il berlusconismo da cui Occhiuto – vicesegretario nazionale di Forza Italia ed ex deputato di lungo corso – proviene, e con il conseguente sovversivismo delle classi dirigenti a cui siamo ormai talmente abituati da non farci salire come dovremmo sulle barricate. Ma tutto astutamente pensato, anche, per prendere di sorpresa il centrosinistra, dato come al solito per diviso e impreparato, nonché lo stesso centrodestra, sospettato di scarsa tenuta rispetto ai possibili esiti dell’inchiesta giudiziaria in questione. Altri due piccioni con una sola fava.
Acchiappato il secondo, perché come al solito di fronte alla convocazione delle urne il centrodestra ha fatto quadrato, a Occhiuto è però sfuggito il primo, perché stavolta il centrosinistra si è compattato anch’esso, sulla linea del campo largo “testardamente unitario”, e ha tirato fuori un ottimo candidato, Pasquale Tridico – economista, ex presidente dell’INPS, deputato europeo del M5S – scompigliando il gioco spericolato del presidente dimissionario per finta. Sì che quella che nei calcoli di Occhiuto doveva essere una campagna elettorale tutta in discesa si è trasformata in una sfida vera, sul piano dei contenuti programmatici e su quello della comunicazione, altrettanto importante tanto più in una regione la cui realtà, complicata ma differenziata e articolata, resta sempre imprigionata in rappresentazioni stereotipate (e spesso di squisito stampo coloniale).
Prendiamo gli slogan dei due candidati. Quello di Occhiuto, “In 4 anni più che in 40”, esalta (quando non millanta) i risultati di quattro anni di governo e punta al rilancio, sostenuta da una campagna social martellante in cui dal governatore uscente non esce mai una sola parola su quello che manca ma solo sorrisi su opportunità, bellezza e risorse. Occhiuto non è nuovo a questo tipo di comunicazione: durante il suo mandato “cambiare l’immagine” della Calabria è stato un imperativo costante, supportato da sponsorizzazioni televisive, campagne di promozione del turismo, fiction girate nelle migliori location di cui la Calabria dispone. Giusto, se non fosse che ha esagerato: l’immagine alla fine si è mangiata la realtà con i molti problemi irrisolti che restano (do you remember Berlusconi?).
Tridico, viceversa, ha puntato tutto su quello che manca, accogliendo e ribaltando con lo slogan “Resta. Torna. Crediamoci” la narrativa classica dell’emigrazione forzata e dello spopolamento della Calabria; a supporto, la propria biografia di figlio di emigrati che si mette al servizio della terra d’origine perché ci crede, e un “Crediamoci tour” che lo ha effettivamente portato di persona, non solo via social, in tutte le aree interne, i borghi spopolati, le periferie isolate della regione. Giustissimo, ma qualche accento in più sulle realtà più dinamiche, quelle dove non si vive affatto male e si fa fatica a riconoscersi in una storia fatta solo di deprivazione, forse sarebbe stato d’aiuto.
Fra queste due narrative polarizzate, restano sul tappeto i punti di attrito sui problemi più scottanti e più cronici, sanità, trasporti, povertà, lavoro, intrecciati con quelli dell’uso dei fondi europei, della politica ambientale ed energetica e dell’innovazione tecnologica. Sulla sanità, Occhiuto addossa il peggio alla gestione dei commissari nominati dal Governo Conte (che lui chiama per due volte Antonio anziché Giuseppe, una gaffe che pareggia e supera il conto di quelle accumulate da Tridico) e rivendica i miglioramenti accertati dal rapporto Gimbe, nonché l’ormai famosa assunzione dei medici cubani: facile per Tridico ricordagli che i nuovi ospedali sono ancora in alto mare e che delle 62 case della salute programmate ne è stata aperta una sola, ma c’è Meloni che soccorre il suo uomo annunciando urbi et orbi, in coda di campagna elettorale, che il commissariamento della sanità calabrese è finito, si torna a regime ordinario. Sui trasporti lo scontro si fa ancora più duro, perché incombe l’incubo, o il sogno secondo i punti di vista, del ponte sullo Stretto, il capriccio di Salvini a cui Occhiuto si è adeguato e che Tridico demolisce con i dati, e l’esperienza diretta, dello stato in cui versano strade e ferrovie soprattutto sul versante jonico e fra le zone montane della regione: è lì che bisogna investire e non su un’altra cattedrale nel deserto. Su povertà e lavoro la proposta-vessillo di Tridico – un reddito di dignità regionale e già sperimentato in Sardegna, finanziato con risorse europee, depurato dagli aspetti assistenziali del vecchio reddito di cittadinanza e collegato all’ingresso nel mercato del lavoro – , obbliga Occhiuto alla rincorsa con l’invenzione di “reddito di merito” di 500 euro agli studenti che si iscrivono nelle università calabresi e di un bonus di ben 100.000 euro per l’acquisto o la ristrutturazione di una casa in un borgo spopolato da eleggere a residenza. Sull’innovazione tecnologica spinge di più Tridico con l’istituzione di tre poli di ricerca scientifica; sull’innovazione istituzionale anche, con l’ottima proposta di una federazione fra le regioni del Sud; sulla cultura Occhiuto punta sui grandi eventi e Tridico risponde proponendo come assessore regionale un sindaco che ha fatto rifiorire il suo piccolo comune valorizzando gli artisti di strada. Insomma una sfida elettorale in cui la differenza fra due visioni, nonché due persone, finalmente si vede.
A favore del centrodestra gioca, non c’è bisogno di dirlo, una macchina elettorale ben più potente e strutturata di quella dei partiti del “campo largo”. Tuttavia l’andamento dei sondaggi mostra una netta riduzione del vantaggio iniziale di 8 punti del presidente uscente, che nel 2021 fu eletto con il 54% dei votanti. Con Tridico e la sua squadra i calabresi hanno un’ottima occasione per sottrarsi alla scommessa plebiscitaria spericolata di Occhiuto. Che comunque, se invece sarà eletto, dovrà affrontare a breve i risultati dell’inchiesta giudiziaria. Sarà per questo che – vedi mai – al suo fianco Meloni ha fatto candidare la sottosegretaria del Ministro dell’Interno e sua protetta Wanda Ferro.
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