Cultura, Politica, Temi, Interventi

Articolo pubblicato su “il manifesto” del 13.05.2025.

A dieci anni dalla scomparsa di Pietro Ingrao, avvenuta il 27 settembre 2015, la Fondazione CRS – Archivio Pietro Ingrao – Centro di studi e iniziative per la Riforma dello Stato promuove una serie di incontri che di quel protagonista della vicenda italiana approfondiscano la figura e l’opera. Opera e figura che si presentano assai significative e degne d’essere ragionate per come si intrecciano alle questioni della politica e della cultura dell’Italia dagli anni Trenta del Novecento alle soglie del Duemila. Si constata come non manchi una attenzione ai suoi scritti e ai suoi libri. Einaudi ha appena ristampato l’autobiografia Volevo la luna; Bordeaux ha pubblicato L’azzardo della poesia una sua corrispondenza con Attilio Lolini e si appresta a stampare un suo saggio inedito – Una difficoltà storica – sulla mancata affermazione del socialismo in Europa che Ingrao elaborò nel 1968.

Gli incontri previsti sono cinque, affidati a storici e a giuristi, a filosofi, a letterati e a esponenti politici. Avranno luogo presso la Camera dei Deputati (che Ingrao ebbe a presiedere dal 1976 al 1979); presso l’Università di Roma “La Sapienza” (dove Ingrao si laureò prima in Giurisprudenza e poi in Lettere), e a Lenola (dove è nato il 30 marzo del 1915). Essi sono pensati come altrettanti momenti di studio intesi a lumeggiare le peculiarità del percorso di Ingrao, modalità tanto rilevanti quanto non scontate, da illuminare nelle loro interne concordanze come nelle difficili interrelazioni. I linguaggi nuovi del Novecento, la rivoluzione delle arti (la precoce sperimentazione che fa Ingrao della poesia e del cinema) e la novità del comunismo, linguaggio anch’esso, che rivoluziona la prassi politica e chiama a un impegno inteso a conseguire una affermazione di umanità rinnovata, emancipata dalla condizione alienata del capitalismo.

Gli anni dal 1930 al 1945 sono cruciali, in Italia e in Europa, per gli intellettuali e gli artisti della generazione di Ingrao e segnano indelebilmente le figure di quanti tra loro assunsero un ruolo nei partiti comunisti. Ruolo irto di difficoltà che costringe a un costante esame di coscienza, a una grande sofferenza interiore, a una permanente ricerca.

Dalla critica del fascismo all’adesione al comunismo maturata tra 1936 e 1940 motivata in Ingrao, come scrive, «prima di tutto per un bisogno di libertà» (aggiunge: «So che questa parola è abusata, ed è pronunciata in molti sensi. Eppure, allora, in quegli anni essa si presentò con una stringente, drammatica concretezza». Dalla cospirazione nelle organizzazioni clandestine comuniste alla Resistenza «ormai sentivi di lottare insieme: dentro la gente, e fra la gente»); e poi alla Repubblica e alla sua Costituzione: le grandi questioni della democrazia rappresentativa, delle forme della soggettività politica organizzata, gli strumenti della partecipazione attiva in rapporto ad una trasformazione radicale della società.

Nel corso della sua lunga vita Ingrao non ha mai smesso di cercare: da dirigente di partito applica questo fermo proposito agli atti e alle loro ragioni attenendosi alla «pratica del dubbio», come la chiama. Sottopone ad esame le scelte da lui stesso indicate, così come le decisioni condivise. Un continuo rifletterci su per verificarne la fondatezza, la ‘non arbitrarietà’. Vale, lezione di Gramsci, per i presupposti: da Marx a Lenin a Togliatti. Per questa attitudine l’Ingrao comunista si spiega con l’Ingrao intellettuale e non viceversa.

Ingrao sta tra quanti esercitarono, come scrive Eugenio Garin, «il compito dell’intellettuale nella trasformazione e nuova strutturazione di una società divisa, ossia circa la possibile funzione del momento dell’intelligenza, della conoscenza, rispetto alla prassi, e ciò fecero nella direzione della ricerca gramsciana dell’‘intellettuale collettivo’, ossia di un legame organico con il partito e la classe, ma di ‘guida’, non di subordinazione».

In Intervista sull’intellettuale Garin precisa a Mario Ajello che «i moderni progenitori di questa figura di cittadino che non concepisce l’esercizio della cultura separato da quello di funzioni pubbliche, bisognerebbe forse risalire all’età umanistica», nel convincimento allora consolidatosi, che «l’attività dell’uomo di pensiero non può limitarsi alla riflessione solitaria». Quando nell’Intervista si giunge a toccare la questione degli intellettuali negli anni del fascismo, dice Ajello a Garin: «Nell’Introduzione a Intellettuali italiani del XX secolo, lei parla di un giovane poeta che negli anni Trenta, trovandosi a Firenze come concorrente ai Littoriali, sentì il bisogno di incontrare Eugenio Montale, poeta antifascista. ‘Sono entrambe persone dello stesso dramma’, lei postilla. Quel giovane si chiamava Pietro Ingrao. Vede in lui un personaggio simbolico?». Risponde Garin: «In qualche modo sì. Era uno che cercava».

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