Interventi

Articolo uscito su “Strisciarossa” il 21.03.2020
Può un’emergenza sanitaria imporre delle soluzioni politiche eccezionali? Che la conservazione della vita sia in un rapporto stretto, addirittura fondativo, con la genesi della sovranità statale è una acquisizione per certi versi originaria nel razionalismo politico occidentale. Fu Hobbes a connettere lo scudo della sovranità e la tutela del bene primario della vita. La difesa del corpo era per lui la ragione essenziale che induceva una moltitudine irrelata ad alienare le proprie potenze private di spada per giungere così, con le forme dell’artificio politico, al monopolio degli strumenti della coercizione legittima, necessario per impiantare la grande macchina statale.

Proprio in nome della vita, come bene soggettivo indisponibile, egli accennava a una sorta di catalogo minimo dei diritti fondamentali (diserzione dalla guerra, possibilità di tentare la fuga dalle prigioni, rifiuto di obbedienza a richieste pubbliche percepite come nocive rispetto alla propria integrità fisica e mentale). Il singolo corpo, se lasciato sprofondare nella insecuritas, avrebbe potuto attivare l’esperienza di una disobbedienza anche nei confronti della sovranità in liquidazione che pure aveva rivestito con i simboli dell’unitarietà, assolutezza, irresistibilità.

La difesa della vita e la legge

L’obbligo politico si mantiene come esigibile tramite gli apparati della coazione sin quando il sovrano conserva la vita e quindi nei casi in cui il corpo è minacciato, e il bene primario della sicurezza vacilla, il “dio mortale” si decompone e cessa di fatto anche la ragione della obbedienza alla legge.

La soluzione ventilata in questi giorni dal governo inglese, di perseguire nell’onda dell’effetto gregge lasciando al virus di operare come la mano invisibile che genera una selezione naturale dei corpi comporta il rischio concreto del bene della vita per circa 400mila persone. Si tratta di una autentica “brexit” dalla condizione della statualità moderna che, anche nella lente teorica di Hobbes, se attacca il principio della vita scioglie dal vincolo dell’obbligo politico ed autorizza a ricercare altre forme alternative di sovranità.

Che lo Stato assuma il tema della salute come suo compito fondamentale, e decreti di conseguenza misure fuori dell’ordinario per reagire ad una minaccia reale alla vita, è quindi comprensibile proprio nell’ottica della sovranità politica. Al di là della loro forma di governo, la difesa della vita è una condizione irrinunciabile che si impone per ogni tipologia di Stato. Il modello cinese, in tal senso, va valutato per l’efficacia della risposta offerta alla questione della conservazione della vita e non sulla base di un giudizio ideologico sul regime comunista. E’ quello che traspare nelle parole di Piero Ignazi che con una certa enfasi ammonisce che “la Cina è sì un modello, ma di un universo concentrazionario da far impallidire le dittature novecentesche”. Già di per sé ambiguo, tratto dall’arsenale della guerra fredda ideologica, il concetto di totalitarismo pare fuori luogo per descrivere l’impasto cinese tra tecnologia, mercato, élite di qualità selezionata dall’assolutismo di partito.

Due modelli di risposta all’emergenza

Stando ai fatti, e non ai valori soggettivi che poco contano nell’analisi politica, emergono due modelli nella risposta degli Stati alla emergenza corona virus. Quello cinese stabilisce la sovranità della politica sull’economia e sospende lo star per sé dei traffici di mercato sopportando nell’immediato gli elevati costi finanziari della chiusura di ogni attività produttiva e commerciale. Non c’è, per il potere cinese, un ordine del capitale autofondantesi, è lo Stato che lo istituisce e lo sospende con un atto discrezionale della sovranità di partito che perderebbe legittimazione se soccombesse nella guerra contro la malattia. A Pechino hanno separato l’endiade lockiana, che connetteva corpo e beni, privilegiando l’essere (la salute) sull’avere (mercato). Anche nel calcio la proprietà cinese (imprenditore e parlamentare del partito comunista) ha sfidato il “pagliaccio” della Lega che violava la salute in nome del business che in tempi di malattia esigeva spalti pieni per vendere il prodotto televisivo.

La destra inglese ha anch’essa separato l’endiade di Locke nel senso però che le convenienze e le opportunità del mercato tendono a prevalere sulle pure esigenze della vita.

Diritti sospesi

Non è la democrazia ad ostacolare la decisione efficace nelle situazioni critiche, Locke è stato il primo teorico della “prerogativa” che consente al potere di intervenire in condizioni critiche con potestà diverse da quelle ordinarie di legge. Con soli 2 due voti contrari registrati in entrambi i rami del parlamento, è stato conferito al governo il potere necessario per rispondere all’emergenza sanitaria. La figura giuridica piuttosto anomala del decreto del presidente del consiglio (che non è convertibile in legge) diventa lo strumento per governare l’eccezione con sospensioni temporanee di diritti costituzionali compatibili con il mandato parlamentare. Nelle opzioni specifiche del governo italiano la componente di centro-sinistra è riuscita ad imporre ad un alleato no-vax e simpatizzante con il metodo stamina la precedenza del bene primario della vita che autorizza momentanee limitazioni di altre libertà fondamentali.

La considerazione che ispira la scelta è che la sovranità di ciascuno sul proprio corpo e la propria mente (Locke e Mill) va comunque commisurata all’effetto che l’esercizio di diritti soggettivi (circolazione, riunione culto), in tempi di pandemia, comporta sull’integrità del corpo dell’altro con veicoli aerei di trasmissione del virus.

Interviene qui, in presenza di una tangibile minaccia di contagio che incombe sulla vita dell’altro, il profilo giuspubblicistico dell’azione individuale che, per i suoi risvolti relazionali intersoggettivi, giustifica una assunzione di responsabilità eccezionali da parte del pubblico potere (che lascia inalterati i diritti di inviolabilità della corrispondenza, del domicilio). Si tratta però di un territorio minato e non a caso l’esecutivo scambia spesso legge e consiglio, pure raccomandazioni e divieti muniti di sanzionabilità. Per un tempo estremamente circoscritto il governo sospende la società (differenze, autonomia, libertà di circolazione, riunione) e postula un approccio di comunità (omogeneità, responsabilità, civismo).

La clausura del Parlamento, precedente pericoloso

Quello che della Cina non andava imitato, proprio per la specificità dello Stato costituzionale di diritto, è però il rinvio della seduta dell’assemblea del popolo. La clausura del parlamento è un precedente molto pericoloso in una democrazia liberale. “L’emergenza non può chiudere la democrazia come un negozio” ha affermato Luigi Zanda. La testa politica di una repubblica non può smettere di operare in un luogo fisico e con corpi naturali tangibili che si riuniscono e preoccupanti sono per questo gli accenti a introdurre il voto on line e sedute telematiche.

Il parlamento è storicamente la istituzionalizzazione della presenza (deputato) che legifera in luogo dell’assente (popolo), e per questo non si può prescrivere l’assenza del rappresentante senza con ciò distruggere l’impianto stesso del regime liberaldemocratico. La seduta telematica fa saltare il rapporto hobbesiano tra attore e autore e colpisce in maniera definitiva la finzione moderna di un governo della discussione e abbatte l’autonomia funzionale del deputato nel processo di decisione che deve svolgersi rigorosamente in pubblico.

Un gabinetto di emergenza, se non riesce a definire in corso d’opera più larghe maggioranze, deve almeno tentare il coinvolgimento in una cabina di regia, assieme ai competenti (altro che mistica dell’uno vale uno), dei governatori delle regioni più colpite (che tornano ad esibire maschere secessionistiche con la sfida di efficienza nell’allestimento della vecchia Fiera in struttura di cura). Il governo non deve lasciare la sensazione di un uso politico-strumentale dell’emergenza, qualsiasi ombra di un plusvalore politico è disfunzionale nell’eccezione senza nemico pubblico da annientare.

Una lezione per la sinistra

Per la sinistra la emergenza deve essere l’occasione per il definitivo abbandono del paradigma liberista adottato sin dagli anni ’90 (privatizzazione, cogestione pubblico-privato dei diritti di cittadinanza, federalismo e riforma del titolo quinto, indebolimento dell’amministrazione pubblica).

Quando negli anni ’90 la Confindustria suonò la carica contro lo Stato gestore invocando “tagli strutturali” nel sistema sanitario non ha trovato le resistenze politiche necessarie. Anzi nel 1997 Ciampi dichiarò che “pensioni e sanità vanno tagliate ora o nel prossimo futuro”. La sola politica pubblica in campo sanitario nel corso della seconda repubblica è perciò stata quella di come organizzare tagli, imporre chiusure di strutture ospedaliere per mere ragioni di costo.

La cosiddetta modernizzazione oggi presenta però i conti con il disastro di un paese che dispone di appena 5 mila posti in rianimazione (contro i 30 mila della Germania) e incredibili situazioni di precarietà nel personale medico.

Quello che a distanza resiste è l’introduzione, voluta dal Pci negli anni ’70, del servizio sanitario nazionale a base universalistica (certo, copre anche gli evasori che lo demoliscono in radice), una grande riforma che consente di apprezzare la diversità strutturale tra l’Italia e gli Usa (dove un tampone costa fino a 3 mila dollari). Dimenticare la seconda repubblica liberista è la condizione per ricostruire radici democratiche.

Il senso positivo della sovranità, abbandonata in nome di malintesi modelli post-moderni di governance multilivello che in realtà fanno da maschera all’asimmetria di potenza riscontrabile nelle pieghe del Berlino consensus, oggi torna ad essere rievocata nella sua saldatura con la vita (può uno Stato non riconvertire rapidamente alcune aziende per assicurare il bene della sicurezza con le mascherine?). Le domande di vita che il virus sollecita ripropongono il grande tema del sovrano democratico (niente a che fare con il sovranismo di destra tutto interno al paradigma mercatista) come condizione di diritti (natura, società) e di tenuta dell’ordinamento costituzionale.

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