Internazionale, Politica, Temi, Interventi

Articolo pubblicato anche su “Transform!Italia” il 02.07.2025: https://transform-italia.it/a-proposito-del-congresso-della-spd/

A fronte della clamorosa débacle elettorale dell’SPD alle ultime elezioni, il peggiore da 138 anni, non in ultimo a causa dell’oblio subìto dalle politiche di distensione, non pare che i socialdemocratici siano consapevoli dello stato deplorevole in cui si trovano. Cosicché le istanze espresse nel manifesto “Garantire la pace in Europa con capacità di difesa, controllo di armamenti e intesa”1 sono cadute nel vuoto. Questa iniziativa era stata lanciata dai Friedenskreise (Circoli della pace) ovvero svariati gruppi di lavoro e personalità riconducibili a quella che viene definita sinistra socialdemocratica (come il Forum Demokratische Linke 21), tra cui eminenti rappresentanti della “vecchia guardia” che trae ispirazione dall’opera di Willy Brandt, incluso il figlio stesso dell’ispiratore della politica di distensione (Ostpolitik), lo storico Peter Brandt, ma anche personalità come il portavoce della storica associazione ambientalista e pacifista Naturfreunde (Amici della natura), in tutto oltre un centinaio. Primi firmatari sono l’ex capogruppo Rolf Mützenich e Ralf Stegner, tuttora parlamentare membro della Commissione esteri del Bundestag. L’iniziativa del manifesto, pensata come “stimolo al dibattito” per il ritorno a una razionalità politico-diplomatica in vista del congresso dell’SPD (27-29 giugno), e del vertice Nato del 24-25 giugno, intendeva indicare la via verso un’alternativa di distensione al riarmo e al militarismo imperante, ispirandosi alla conferenza di Helsinki del 1975, ma non ha avuto alcun riscontro nell’esito dell’assise congressuale, nonostante avesse animato il dibattito pubblico nelle settimane precedenti e avesse incontrato il favore di Gregor Gysi della Linke, che aveva persino proposto ai firmatari di organizzare una conferenza congiunta su “pace e distensione nel XXI secolo”, che erano stati invece attaccati duramente dai compagni di partito.

Nonostante l’ambizioso slogan “Il cambiamento comincia con noi”, non si scorgono segnali di rinnovamento dopo la caduta agli inferi del 16,4 percento, in terza posizione dopo i cristiano-democratici di CDU/CSU e AfD, e quarto partito nei Länder orientali dove AfD spadroneggia con il 32 percento, primo partito nel voto operaio e delle classi disagiate, che la SPD pretenderebbe (ancora) di rappresentare. Merita forse ricordare che mentre alle elezioni del 2021 l’AfD aveva ottenuto il 10%, due punti in meno rispetto al 2017, il 23 febbraio scorso ha raddoppiato i consensi. Non sarebbe l’ora per la SPD di fare mea culpa e di cambiare davvero registro, e non solo a parole? Impresa ancor più ardua ora che è tornata al governo anche da sconfitta e con ministri pienamente a loro agio nel governo Merz. È evidente anche l’impasse dei sindacati tradizionalmente vicini prevalentemente alla SPD. Pur in presenza della crisi economica e di fronte al rischio della perdita di decine migliaia di posti di lavoro, in particolar modo nel settore metalmeccanico, automotive e chimico, languono le politiche del lavoro. La proposta SPD dell’innalzamento del salario minimo a 15 euro lordi all’ora da subito è stata bocciata dalla commissione ad hoc di padronato e rappresentanti delle classi lavoratrici, che ha raggiunto un accordo per 13,90 euro a partire dal 2026 e 14,60 dal 2027, anche se, secondo le stime, persino 15 euro sarebbero ormai insufficienti per far fronte all’impoverimento anche di chi ha un’occupazione.

Il risultato elettorale non è stato solo lo schiaffo dovuto al fallimentare governo semaforo guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz, in coalizione con Verdi e Liberali, con tassi di gradimento infimi. Anche in campagna elettorale non si intravvedevano speranze di svolta dato che già si delineava la prospettiva di una ennesima coalizione con la CDU/CSU. L’ex cancelliere Scholz, nel suo intervento al congresso, si autoincensa per il risultato elettorale del 2021 (sic!) e rivendica incredibilmente l’operato del suo governo (“una modernizzazione che senza questo governo – con Verdi e Liberali – non sarebbe stata possibile”), compresa la riforma costituzionale che ha dato il via a un riarmo assurdo, diventato una specie di variabile indipendente della politica. Scholz si dichiara addirittura orgoglioso che la legge per la riforma, varata da un Bundestag scaduto, porti ancora la sua firma da cancelliere di un Governo ormai bocciato, come il Bundestag, dal mandato popolare. E non è il solo a celebrare quella riforma, soprattutto il fondo straordinario di 500 miliardi di accompagnamento al riarmo, come un successo della SPD. Non solo: senza criticare espressamente il manifesto per la distensione, Scholz mette in evidenza, quale secondo lui, sarebbe l’eredità centrale della conferenza di Helsinki, per cui si sono così profusi Willy Brandt e Helmut Schmidt: l’immutabilità dei confini tracciati dopo la Seconda guerra mondiale, la cui violazione da parte di Putin con l’aggressione dell’Ucraina, grave per la pace in Europa, ha dato luogo alla Zeitenwende, la svolta epocale annunciata da Scholz il 27 febbraio 2022 e avviata con il via libera al primo fondo straordinario per un riarmo di 100 miliardi. Piena quindi la sintonia con Klingbeil, vice-cancelliere della coalizione, che è stato riconfermato, in assenza di sfidanti, alla guida della SPD in co-leadership con la piuttosto anonima Bärbel Bas, ex presidente del Bundestag e attuale ministra del Lavoro, al posto di Saskia Esken. A differenza di Bas, eletta con il 95%, Klingbeil ha ottenuto un magro 64,9%, circa venti punti in meno rispetto alla precedente elezione del 2021, secondo lui da imputare al riposizionamento deciso a favore dell’Ucraina, in contrasto con alcune parti del partito, a giudicare da quanto dichiara dal palco appena rieletto. Il riferimento indiretto non può che essere rivolto ai firmatari del manifesto, ma questa spiegazione non convince fino in fondo. In primis perché purtroppo questa parte non sembra di godere un consenso interno di quelle dimensioni. Sembra piuttosto il suo piglio decisionista e il modo abbastanza “intraprendente” con cui Klingbeil ha condotto le trattative sul programma e sulla formazione del governo, a partire dalla scelta autonoma dei ministri, a lasciare perplessi i compagni di partito, come lui stesso poi concede in alcune interviste, rammaricandosi che la critica espressasi nel voto non si sia palesata apertamente. E dire che il congresso è stato convocato con sei mesi di anticipo in seguito alla sconfitta elettorale. Ma le cause del crollo non sono tema di dibattito. Anzi, Scholz e i ministri vengono festeggiati e molti interventi sono auto-celebratori. Non si può che constatare una situazione paradossale: il segretario/presidente del partito subisce una batosta elettorale, ciononostante conduce in questo ruolo le trattative di governo, prende decisioni in tal senso, si fa assegnare il dicastero delle finanze e la carica di numero due della coalizione, e si fa rieleggere alla guida del partito. Semina risentimento ivi compreso nella sua ex co-presidente Esken, le cui ambizioni per un dicastero sono andate deluse, e che pure con lui ha condotto le trattative, ma da quel che sembra, da comparsa. Nella dinamica del congresso si alternano l’entusiasmo per il ministro della difesa Boris Pistorius – incredibilmente il politico più amato dall’opinione pubblica tedesca, che difende la linea “dura” con la Russia e che molti socialdemocratici avrebbero preferito candidare alla cancelleria al posto di Scholz alle ultime elezioni – a molteplici dibattiti in difesa dello Stato sociale, dei diritti dei migranti e delle donne, contro la minaccia fascista dell’AfD, con velate critiche e moniti sull’azione di governo, come per esempio sulla cancellazione dei due milioni di finanziamento alle ONG del salvataggio umanitario e sulla sospensione per due anni del diritto al ricongiungimento delle famiglie dei migranti. Quanto basta per far cantare vittoria al ministro degli interni Alexander Dobrindt (CSU) per l’avvio di una nuova politica migratoria (come promesso). Il responsabile dell’organizzazione giovanile Jusos Philipp Türmer denuncia le sempre più vistose disuguaglianze sociali, non ricordandosi forse che la SPD ha governato dal 1998 in diverse coalizioni con un’unica interruzione di quattro anni (2009-2013). Il manifesto che aveva animato il dibattito pubblico per un paio di settimane prima del congresso e che avrebbe rappresentato la vera novità è messo così fuori gioco. Uno degli iniziatori, l’ex capogruppo Mützenich, non è nemmeno presente al congresso. Brucia l’amarezza per “la veemenza degli attacchi e l’ostilità” di altri socialdemocratici che gli hanno rinfacciato “ingenuità nei confronti di Putin”, di voler attaccare direttamente la direzione del partito, e come Pistorius, di “negazione della realtà”. Mützenich si è risentito ancor di più per il fatto che questa accusa provenga da quanti hanno reso dipendente la Germania dal gas russo, rivela in un’intervista. Per alcuni suoi critici si è trattata di una mancanza di rispetto aver divulgato pubblicamente l’iniziativa senza neanche poi aver presentato nel dibattito congressuale una mozione che si ispirasse al manifesto. E in effetti, è un po’ singolare. La questione non è quindi all’ordine del giorno e nonostante alcuni autorevoli interventi appassionati, tra cui quello del firmatario Stegner, contro l’irrazionalità della folle corsa al riarmo (“come illudersi che le armi non verranno usate? Alla guerra c’è sempre un’alternativa, alla pace mai”) e una quota pianificata così elevata nell’arco di cinque anni, mentre “il pericolo maggiore è la crisi climatica” (Michael Müller, Amici della natura), alla fine viene bocciato un emendamento al documento del congresso sulla quota NATO del 5% per le armi. Intanto la militarizzazione della politica e, conseguentemente, della società procede a passi da gigante: il 21 giugno si è celebrata la prima giornata dei veterani e il 28 giugno, in ogni dove, la giornata del Bundeswehr, in cui l’esercito tedesco si è autocelebrato con feste di paese e stand in un bel dispiegamento di armi e mezzi pesanti messi a disposizione di grandi e piccini, a cui vengono fatti indossare uniformi e fatti provare fucili. Che orrore. Anche le resistenze degli Jusos alla reintroduzione della leva obbligatoria, ipotesi sempre più concreta, sono venute meno. Un testo che vi si opponeva è stato “ammorbidito” nel modo seguente: “Siamo contrari alla possibilità che si attivi in sede legislativa la leva obbligatoria senza che prima si siano esaurite le misure per l’aumento delle unità volontarie. Intendiamo rendere possibili misure quali la visita di leva, la registrazione e la sorveglianza militare di giovani uomini in obbligo di leva”.

Senza che vi sia stata una proposta politica sul come riacquistare la fiducia dei ceti popolari, piuttosto difficile da offrire dalle postazioni governative nella coalizione guidata dal cancelliere Friedrich Merz con CDU/CSU, oltre un’ora e mezza è stata dedicata all’avvio di una procedura per mettere al bando AfD, approvata poi all’unanimità. Questa sembra questa un’ulteriore prova della distanza della SPD dalla realtà (anche se per esempio, anche nella Linke quella posizione sembra maggioritaria). In prima analisi sarebbe necessario concentrarsi sulle cause politico-sociali che hanno portato alla drastica ascesa dell’estrema destra e l’allontanamento dei ceti popolari che ha molto a che vedere con le politiche praticate dalla SPD stessa nel corso degli ultimi anni. La procedura in questione, per cui si stima un anno e mezzo di preparazione, necessita di un mandato del Bundestag, o del Bundesrat o del Governo, (cioè di maggioranze istituzionali poco probabili, CDU/CSU sono contrarie) e quindi della decisione finale della Corte costituzionale. Vaste programme – che, se per pura ipotesi dovesse andare in porto, è poco probabile che metta a freno l’ulteriore dilagare di una destra con un così alto consenso popolare (un quinto dell’elettorato), con il rischio di inasprire invece la crisi democratica. L’eurodeputata e vice-presidente del Parlamento europeo Katarina Barley, afferma nel suo intervento che proprio perché questo partito si è radicalizzato e ha raggiunto le notevoli dimensioni attuali a maggior ragione se ne deve chiedere l’illegalità. “Cacciare l’AfD dal Parlamento è per noi un compito storico”, dice Klingbeil. A esser cattive si vorrebbe aggiungere, prima che la SPD ne venga cacciata col voto popolare.

Nota

1 https://www.erhard-eppler-kreis.de/manifest/

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *