Dichiarazione di Parigi della Fondazione europea di studi progressisti, vicina al Partito Socialista Europeo, Fondazione Jean Jaurès, vicina al Partito Socialista francese, Fondazione Italianieuropei, vicina al PD italiano, Fondazione Friedrich Ebert, vicina alla SPD tedesca
L’Europa è il nostro patrimonio comune. Il nostro compito è di perseguire la costruzione di un’Europa più unita e democratica. Prendiamo atto che l’assenza di una governance economica europea democratica ed efficace minaccia di trascinare l’Europa in recessione. Privilegiando la deflazione salariale, omettendo di condurre politiche per la crescita e l’occupazione, trascurando la solidarietà e la lotta contro le disparità, riducendo l’Europa a uno spazio di vigilanza e di sanzioni, trascurando il dialogo sociale e la democrazia, si voltano le spalle alla necessità di lottare contro la crisi e allo stesso progetto europeo. Adesso spetta all’Unione europea fornire risposte appropriate. La responsabilità di bilancio e la disciplina fiscale sono degli imperativi per la stabilità nella zona euro e per rilanciare il modello sociale europeo. In ogni Stato, dovrebbe essere istituito un percorso che garantisca la riduzione del deficit e dell’indebitamento. È’ indispensabile ridurre l’indebitamento sovrano in Europa. Ciò andrebbe fatto in modo responsabile, nel rispetto delle regole democratiche di una nuova sovranità europea condivisa e in accordo con i principi di uguaglianza e giustizia sociale. Dovrebbero essere adottate quanto prima iniziative, a livello di Unione europea, per stimolare una crescita sostenuta e sostenibile. Andrebbero rafforzati in questa direzione gli interventi della Banca Europea per gli Investimenti (BEI). Nella fattispecie, le priorità dovrebbero essere la creazione di posti di lavoro e la lotta contro la segmentazione del mercato del lavoro, in particolare nei confronti dei giovani e delle donne. La politica industriale deve essere reinventata. Questa deve essere messa al servizio dello sviluppo dei grandi progetti industriali, tecnologici, infrastrutturali, di ricerca di innovazione, che favoriscano la conversione ecologica dell’Europa. Questa politica industriale dovrà favorire un’industria sostenibile (“sobria in carbone”) basata sulle tecnologie verdi, che assicuri impieghi duraturi e qualificati . Ci sembra inoltre fondamentale appoggiare la diffusione generale e l’armonizzazione dei “certificati verdi” già esistenti in alcuni paesi dell’Unione europea, per contribuire alla lotta contro il riscaldamento climatico. Devono essere create nuove risorse. Dovrebbe essere subito adottata dal Consiglio la proposta – difesa da tempo dai progressisti europei e presentata recentemente dal Gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento europeo – che punta a istituire una tassa sulle transazioni finanziarie. Questa consentirà un rincaro del costo delle operazioni speculative, il riequilibrio della tassazione del capitale e del lavoro e faciliterà la lotta contro l’ingiustizia fiscale. Questa tassa assicurerà inoltre che al rilancio dell’economia contribuiscano gli stessi soggetti che hanno provocato la crisi finanziaria. L’Unione Europea dovrebbe assumere iniziative sulle relazioni con i “paradisi fiscali”, con l’obiettivo di lottare contro l’evasione fiscale e contribuire, nella fattispecie, a sanare le finanze pubbliche. Al tempo stesso, sarebbe opportuno affrontare seriamente i profondi squilibri macroeconomici e sociali all’origine della crisi nella zona euro. Il miglioramento della competitività dei paesi in situazione di deficit commerciale dovrebbe essere accompagnato da sforzi reciproci da parte dei Paesi che invece hanno eccedenze, stimolando la loro domanda interna. Ciò contribuirebbe ad invertire la tendenza alla distribuzione impari della ricchezza di questi ultimi decenni. Converrebbe inoltre distinguere le spese per gli investimenti dalle spese di funzionamento. La solidarietà deve essere posta al cuore delle politiche europee. E’ così che sarà garantita la stabilità della nostra moneta. Proponiamo di prendere in considerazione il rafforzamento di una responsabilità comune europea per una parte del debito sovrano. Le euro-obbligazioni contribuirebbero a un nuovo fondo per il riassorbimento del debito e permetterebbero un riequilibrio delle finanze pubbliche. Il fallimento dei tentativi di rispondere alla crisi nella zona euro, da parte dei governi conservatori in Europa, ha portato la Banca centrale europea a svolgere un ruolo attivo nei mercati finanziari. Se questo deficit di leadership politica persistesse, la Banca centrale europea si verrebbe, alla fine, obbligata a svolgere un ruolo ancora più capitale per combattere la crisi finanziaria. Questo riorientamento delle politiche economiche in Europa non può comunque essere concepito senza un vero regolamento finanziario, che rimetta i mercati finanziari al servizio dell’economia reale e ristabilisca gli opportuni legami tra finanza ed economia. Tutto ciò suppone il rafforzamento di una vera democrazia su scala europea. Per questo motivo, l’Unione europea dovrebbe rafforzare le proprie competenze e dotarsi di una vera governance. I cittadini europei dovrebbe essere messi nelle condizioni di poter decidere chiaramente gli orientamenti politici dell’Unione. Il metodo intergovernativo perseguito dai governi conservatori non aiuta. Converrebbe invece estendere la codecisione alle decisioni fondamentali di politica economica e sociale. Ciò implica una democrazia europea – basata sul metodo comunitario e su un ruolo più decisivo per il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali – fondata sulla sussidiarietà e la partecipazione dei cittadini, e accompagnata dal rafforzamento dell’influenza di veri partiti politici europei. A questo proposito, i partiti progressisti europei dovrebbero proporre un candidato comune alla presidenza della Commissione europea. È così che, nel rispetto della Carta dei diritti fondamentali, un’altro cammino per l’Europa è possibile.
Pubblichiamo qui di seguito un commento di Francesco Cerasani sulla dichiarazione di Parigi
Della foto di Parigi si è discusso molto sulla stampa italiana, a volte anche con toni un po’ provinciali e con letture ad hoc, tutte legate al contesto politico e al dibattito interno al PD. Senza scivolare in facili entusiasmi, è indubbio tuttavia che l’incontro Renaissance Europe promosso dalla Fondazione Europea degli Studi Progressisti ha le potenzialità di aprire un percorso nuovo, a suo modo storico. Il cambiamento è adesso, le “changement c’est maintenant”, è stato lo slogan del Cirque d’Hiver. Si apre un percorso verso la transizione politica in Europa che non è a portata di mano (la campagna di Hollande si è resa infatti più difficile in questi ultimi giorni) e né va letto con facili trionfalismi, ma sarebbe però ingeneroso non coglierne alcuni importanti segnali di svolta. In primo luogo, perché l’incontro di Parigi è stato animato da alcune delle personalità politiche che più saranno in vista negli anni a venire nel ridefinire l’assetto politico europeo. Una possibile vittoria di Hollande avrà un peso dirimente nel riequilibrare la visione europea in materia di governance economica e di austerity. La promessa di rivedere il Fiscal Compact e negoziare l’inserimento di nuove politiche per la crescita e l’occupazione è un punto costitutivo del patto elettorale che il candidato socialista propone agli elettori, e questo comporterà forzatamente un nuovo orientamento all’interno del Consiglio UE. Un ritorno socialista all’Eliseo sarebbe un traguardo davvero storico, visto che nella Quinta Repubblica è successo solo a un tale Mitterrand. E sarebbe un segnale nettissimo di un cambiamento di indirizzo politico nell’elettorato europeo. Tralasciamo per un momento, se possibile, il caso italiano e la scadenza delle prossime elezioni politiche del 2013. Tra 18 mesi la Germania affronterà elezioni importantissime, che vedono la cancelliera Merkel triste profeta in patria, dopo una lunga serie di sconfitte nei Länder, lo sfaldamento del junior partner FDP e gli scandali senza precedenti delle dimissioni degli ultimi due Capi di Stato cristiano-democratici. Nel frattempo, maggioranze di centrosinistra si sono già realizzate in paesi come Danimarca, Slovacchia, Croazia, Slovenia. In Belgio, seppure in un governo di grande coalizione, il premier è un socialista di famiglia operaia e italiana ed il PS è saldamente il primo partito nella parte francofona. Nelle istituzioni UE, il neopresidente del Parlamento Europeo Martin Schulz sta imponendo una sensibile svolta politica al ruolo dell’istituzione da lui rappresentata e sta scaldando i motori per una propria probabile leadership comunitaria a nome della famiglia progressista e socialista in vista delle elezioni europee 2014. Certamente, non assistiamo ancora ad una riscossa del centrosinistra europeo, né va sottovalutata la pesante sconfitta spagnola o le difficoltà dei partiti socialisti in paesi colpiti in modo durissimo dalla crisi come Grecia e Portogallo. Ma il nodo di come gestire in modo concertato, comune e davvero federale la fase di crescita del centrosinistra in Europa viene finalmente colto come un aspetto essenziale per il futuro della famiglia progressista europea. Il Presidente della SPD Sigmar Gabriel, nel concludere il proprio intervento a Parigi, ha auspicato che l’incontro del Cirque d’Hiver potesse essere percepito dalle generazioni future come il momento di avvio di una nuova Europa e di un nuovo cammino nella storia del movimento socialista. La memoria corre allora a più di un decennio fa, ovvero all’eredità di quei Roaring Nineties e alla fase della maggioranza socialista negli allora 15 Paesi dell’UE, che proprio sul tema dell’azione a livello europeo mostrarono la propria mancanza di comprensione e lungimiranza. Non dipenderà solo dal consenso popolare o dalla vittoria di singoli partiti nazionali di centrosinistra se l’Europa tornerà ad essere un soggetto politico attivo, unitario e capace di correggere in senso democratico e sociale il proprio destino. Senza un orizzonte davvero comune e senza politiche e partiti pienamente europei, l’UE non potrà pensare di saper invertire il proprio percorso di declino politico ed economico.

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