Interventi
Dopo l’abilità matematica, mostrata nel calcolare l’età media dei 56 costituzionalisti che hanno firmato l’appello per il no, Gualmini e Vassallo, sul giornale apocrifo, si cimentano anche nella prova, altrettanto ardua, della attitudine storiografica. E avvalendosi di un tweet, come fonte superiore rispetto alla ammuffita documentazione d’archivio, riscrivono la vicenda della cultura costituzionale dei comunisti. Questi postdemocristiani, così attenti a recuperare sulla corretta via della salvezza riformatrice i perfidi comunisti, non esitano alla manipolazione delle biografie e degli avvenimenti: a fin di bene, naturalmente.
Per Gualmini e Vassallo la storia deve solo offrire una giustificazione ai calcoli del leader del momento. Adesso fa discutere la figura del presidente del consiglio che è anche segretario di partito? Niente paura, ecco dal cilindro della storiografia a conduzione familiare la formula per cui già Occhetto operava “nel suo doppio ruolo di segretario e candidato premier”. Ma dai.
E’ in atto una contesa per le sorti del senato e per l’avvio di un meccanismo elettorale ipermaggioritario? Calma, sono proprio i comunisti ad averlo suggerito, all’alba della seconda repubblica. Nella storiografia compassionevole (per i vinti) di Gualmini e Vassallo appare anche il riferimento al Crs, e alla sua rivista “Democrazia e Diritto”, come “principale crogiolo del cambiamento” della cultura del Pci in un senso favorevole al leaderismo maggioritario. Che collaboratori del Crs e di “Democrazia e Diritto” abbiano potuto seguire le orme di Mario Segni è possibile. Ma non è corretto coinvolgere il centro studi e la sua rivista in una deriva maggioritaria e leaderistica della repubblica che invece ha largamente osteggiato.
Maria Luisa Boccia, che del Crs è ora presidente, in vista del referendum elettorale di Segni votò, nella direzione del Pds di cui era componente, contro il sì voluto da Occhetto. Io stesso, attuale direttore di “Democrazia e Diritto”, e all’epoca membro del consiglio nazionale del Pds, mi schierai per l’astensione, come segno di disobbedienza consapevole alla decisione della Consulta di consentire un referendum a forte tratto manipolativo-propositivo. Ingrao, Rodotà, Cotturri, Ferrara, tante personalità vicine al Crs, non solo votarono no ma furono i protagonisti principali del referendum impegnandosi attivamente nei comitati.
Ecco, se una lezione per l’oggi si può ricavare dagli accadimenti del 1993 è che, benché la maggioranza di Occhetto fosse schierata con Segni per il sì al quesito, la minoranza del partito, con Tortorella, Aresta ecc. organizzò i comitati per il no. Nei referendum istituzionali non esiste, infatti, disciplina di partito. Per questo colpisce il ritardo con il quale la minoranza del Pd promuove i suoi comitati per il no al referendum-plebiscito di ottobre. Rispolverando le vicende di oltre vent’anni fa, la storiografia teleologica di Gualmini e Vassallo non aiuta come vorrebbe il prode condottiero e anzi porta munizioni ai suoi nemici che possono così trovare utile conforto nelle prove di normale disobbedienza maturate a sinistra nel 1993.

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