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Diritto non crimine. In difesa dell’attivismo

Un rapporto di esperti legali e organizzazioni ambientaliste analizza leggi, provvedimenti e processi fatti contro chi pratica la disobbedienza civile e l’azione diretta nonviolenta, a cui si affibbia spesso l'etichetta di criminali, eco-vandali o nemici dell’ordine pubblico. La Rete in difesa di e l'Osservatorio repressione chiedono di cambiare queste norme.

Con il contributo di:
Ludovico Basili, Francesco Martone, Michel Forst, Amnesty International, Legal Team Italia, Paola
Bevere, Alessandro Gariglio, Alessandro Giannì (Greenpeace Italia), Fridays For Future, Extinction
Rebellion, Ultima Generazione, Case Italia [Coalition Against SLAPPs in Europe], Osservatorio
dei Balcani Transeuropa Andrea di Pietro,Livio Pepino [Controsservatorio valsusa].

Questo rapporto è il risultato di un lavoro collettivo coordinato dalla Rete In Difesa di e da Osservatorio Repressione. È il prodotto di un gruppo di lavoro informale promosso dalla Rete all’indomani
della visita accademica di Michel Forst, Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i difensori dell’ambiente
nell’ambito della Convenzione di Aarhus Michel Forst in Italia nell’aprile dello scorso anno.
Da allora, legali, avvocati di movimenti quali No TAP e No TAV, rappresentanti di organizzazioni
tra le quali Greenpeace Italia, Amnesty International Italia, Yaku, A Sud, Extinction Rebellion, Fridays for
Future, Ultima Generazione, Osservatorio Repressione, Per il Clima, fuori dal Fossile, Legal Team Italia e
CASE Italia si sono incontrati periodicamente per scambiare esperienze e pratiche di supporto legale ad
attivisti ed attiviste per l’ambiente e la giustizia climatica. Nel corso degli incontri sono state confermate
le preoccupazioni già espresse dalle varie organizzazioni e dalla comunità internazionale riguardo leggi,
provvedimenti e processi contro attivisti ed attiviste che praticano la disobbedienza civile e l’azione diretta nonviolenta, spesso etichettati come criminali, eco-vandali o nemici dell’ordine pubblico. La torsione repressiva vissuta da queste realtà in Italia è il riflesso di un fenomeno che da tempo persiste e si aggrava a livello internazionale e negli ultimi anni in Europa, in modo particolare. Nel caso dell’Italia, disposizioni normative adottate ad-hoc per contrastare, reprimere o dissuadere associazioni e movimenti dal praticare il loro legittimo diritto a difendere l’ambiente ed il clima, risultano in gravi restrizioni – se non violazioni – degli impegni internazionali riguardo il rispetto delle libertà civili, di espressione, associazione, manifestazione e la tutela e il rispetto dell’operato di chi difende dei difensori dei i diritti umani e dell’ambiente.

Negli ultimi mesi, infatti, il paese ha vissuto un’impennata di azioni legali e amministrative contro individui e gruppi che si sono spesi per la giustizia climatica, inclusi arresti, multe e misure preventive – come
fogli di via e DASPO.

Inoltre, va ribadito come l’Italia sia tenuta a rispettare e tutelare le attività di chi difende i diritti umani anche al suo interno. E difensori dei diritti umani, secondo la definizione contenuta nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani (che lo scorso anno ha celebrato il suo venticinquesimo
anniversario), sono coloro che, a titolo individuale o collettivo, si impegnano per il rispetto dei diritti dell’ambiente attraverso pratiche nonviolente. Pertanto, oggi gli attivisti e le attiviste, spesso descritti dai
media, da taluna stampa e dai decisori politici come eco-vandali o ecoterroristi (addirittura è stato approvato un disegno di legge ad hoc che inasprisce le pene pecuniarie e di detenzione per attivisti ed attiviste che svolgono azioni dirette nonviolente in musei, o monumenti), stanno operando assolutamente in linea con gli standard internazionalmente riconosciuti riguardo la tutela e promozione dei diritti umani. Giova ricordare, al riguardo, come i procedimenti giudiziari intrapresi verso chi esercita il proprio diritto a manifestare trovano sempre il loro input in segnalazioni degli organismi di polizia, e sembrano rispondere
più a direttive e decisioni di carattere squisitamente politico che a necessità di tutela dell’ordine pubblico
o di repressione dei reati. Prova ne è che, se in molti casi le procure e poi i giudicanti hanno acriticamente
fatto proprie le ricostruzioni degli organi di polizia, in molti altri, in specie a fronte di condotte non violente e/o di ipotesi di reato piuttosto “fantasiose”, le accuse sono cadute in dibattimento (se non già davanti al P.M., con richiesta di archiviazione).

La gran mole di precedimenti aperti e lo spropositato numero di persone sotto indagine (insieme
all’introduzione di reati e di circostanze aggravanti specificamente modellati sulle proteste ambientaliste
e ai reiterati aumenti delle pene previste per blocco stradale, da ultimo anche nel “Decreto Sicurezza” al
vaglio del Parlamento che prevede il carcere per chi effettua blocchi stradali ) hanno comunque prodotto,
indipendentemente dall’esito dei procedimenti, quello che viene definito chilling effect ossia un disincentivo ad agire. Ulteriormente aggravato da sanzioni pecuniarie spropositate che di fatto, assieme alle alte spese legali, mirano ad azzoppare la capacità di iniziativa delle associazioni e movimenti, di fatto pregiudicando il diritto alla libertà associazione.

Le conclusioni del nostro lavoro di indagine e ricerca sono chiare: l’Italia, il governo, il Parlamento
attraverso le loro iniziative, le narrazioni, le leggi mirate a contrastare, delegittimare, criminalizzare, denigrare chi protegge la Madre Terra e il clima violano o pregiudicano sistematicamente gli impegni presi a livello internazionale per quanto concerne i diritti umani, la difesa dei diritti umani e dell’ambiente, il diritto alla libertà di espressione e di associazione.

Cosa chiediamo

1) Contrastare le narrazioni che dipingono i difensori dell’ambiente e i loro movimenti come criminali, riconoscendo pubblicamente l’importante ruolo svolto dai difensori e dalle difensore dell’ambiente e del clima e promuovere a tutela delle loro libertà di espressione, riunione pacifica e associazione astenendosi
da qualsiasi forma di stigmatizzazione delegittimazione, denigrazione o criminalizzazione verso gli stessi.

2) L’uso ricorrente di pratiche di disobbedienza civile da parte di movimenti ambientalisti e per la giustizia climatica non deve costituire il pretesto per limitare lo spazio civico e l’esercizio delle libertà fondamentali.

3) Qualsiasi misura o pratica quali il ricorso a misure di contrasto al terrorismo o alla criminalità organizzata che risultino in un effetto dissuasivo sull’attivismo ambientale e climatico andrà prontamente abbandonata.

4) Andrà garantito che l’operato del settore giudiziario ed eventuali sentenze comminate riguardo i casi di protesta ambientale e per la giustizia climatica che comportino effetti dirompenti per l’ordine pubblico non contribuiscano alla restrizione degli spazi di agibilità civica o alla violazione dei diritti civili ed ambientali sottoscritti dall’Italia.

Qui il rapporto intero

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