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Articolo pubblicato sul blog “Il Disertore” il 29.11.2024.

Non ho disertato lo sciopero generale convocato dalla CGIL e dalla UIL, né ho disertato Piazza Maggiore, dove ho ascoltato, oltre alle voci della folla, il comizio di Maurizio Landini.

Sapevo che lo sciopero è convocato perché i salari diminuiscono, la sanità pubblica è abbandonata e i debiti li pagano i lavoratori, mentre nessuno tocca i super-profitti bancari. Ma alcuni punti del suo discorso mi hanno colpito.

Mi ha colpito quando ha detto che se passa il decreto sicurezza molti dei lavoratori che occupano le fabbriche minacciate di smobilitazione, o bloccano le strade per difendere il posto di lavoro sarebbero passibili di arresto.

Mi ha colpito l’autocritica. Abbiamo sbagliato a non opporci con tutte le forze alla riforma Fornero, ha detto. Ma in realtà stava dicendo che il sindacato e tutta la sinistra non hanno fatto molto per fermare l’offensiva padronale che oggi culmina nel fascio-liberismo.

Ma mi ha colpito particolarmente quando ha detto che la guerra cambia le cose.

Si stava riferendo a quel che la guerra ucraina ha già cambiato nelle condizioni di vita dei lavoratori italiani (ed europei).

Ma io mi permetto di interpretare le sue parole: la guerra sta investendo l’Europa in modo diretto, occorre prepararsi a quel che accadrà nel prossimo futuro.

Per me da sempre il luogo migliore per mettere a fuoco le prospettive è stata la piazza, quando è gremita di gente che parla, si scambia frasi rapide e inalbera cartelli.

Anche oggi mi è servito andare in piazza perché ho capito (o almeno ho sentito) che il mio discorso sulla diserzione è inappuntabile, ma deve tenere conto degli eventi: occorre ricordare che è nostro compito intellettuale guardare in faccia l’inevitabile senza scordare che l’inevitabile spesso non accade, perché deve lasciare il passo all’imprevedibile.

A quale imprevedibile dobbiamo predisporci?
Non si può pensare l’imprevedibile, per la semplice ragione che è imprevedibile.

Ma occorre annusare l’aria per capire quali montagne stanno per franare, quali valanghe stanno per sommergerci, e per immaginare quali orizzonti nuovi emergeranno dopo le frane e dopo le valanghe.

Allora diamo un’occhiata in giro.

Una montagna che sta per franare è l’Unione europea, trascinata in una guerra tra fascismo russo e nazismo ucraino dagli alleati americani, che ora però se la svignano, cone hanno già fatto più volte negli ultimi decenni.

La Russia di Putin ha vinto quasi tutto, in questa guerra: l’economia russa è cresciuta del 3.6%, mentre le economie europee boccheggiano intorno allo zero. Quanti morti è costato alla Russia? Questo a Putin non importa molto.

L’esercito russo sta avanzando nel Donbass mentre si approfondisce la tragedia del popolo ucraino, spinto avanti dai democratici statunitensi in una guerra per procura, e oggi abbandonati dai repubblicani.

Prima di lasciare la Casa Bianca, uno dei peggiori criminali che la storia ricordi, sta cercando di render le cose difficili per il suo successore. Lo fa spingendo il povero Zelenskyy all’ultimo sacrificio: gli ordina di arruolare i diciottenni, mentre le diserzioni si moltiplicano, il gelo avanza nelle città senza riscaldamento, e la disperazione dilaga.

Lo scopo principale di questa guerra, per Biden e i suoi complici, era distruggere il rapporto tra Russia e Germania, il secondo scopo era indebolire l’Unione europea. Il terzo (improbabile, e tutti lo sapevano) era sconfiggere Putin.

Ma adesso Putin non sta vincendo solo la guerra contro gli americani d’Ucraina, ma sta vincendo una dopo l’altra le elezioni in ogni paese europeo.

Il 16 dicembre il Bundestag va a votare la fiducia. Intanto Scholz dà ordine di spostare una batteria di Patriot in Polonia, per proteggere i rifornimenti militari all’Ucraina.

Un altro passo vero lo scontro diretto, mentre in Germania cresce l’AfD e cresce il partito di Sarah Wagenknecht, che non vogliono più mandare armi all’Ucraina.

Nel frattempo la Francia si incammina verso il collasso. Lo sfondo è la crisi sociale, l’ondata di licenziamenti, la fragilità finanziaria, e sul proscenio vedremo la settimana prossima se i lepenisti decidono di dare il colpo finale all’infido Macron, togliendo l’appoggio al Governo Barnier (n.d.r: il Governo è stato sfiduciato ed è caduto il 4 dicembre scorso).

Si può immaginare che Marine Le Pen voglia accelerare i tempi delle presidenziali prima di essere dichiarata ineleggibile per le malversazioni del suo partito?

I disertori non sono sordi (solo un pochino), e sanno percepire il rumore del tuono che sembra venire dal sottosuolo d’Europa.

È il momento della rivolta sociale, dicevano i cartelli e le pettorine di migliaia di lavoratrici e di lavoratori, questa mattina in Piazza Maggiore.

Direi che è sempre il momento della rivolta sociale, ma se lo dice Landini la cosa si fa seria.

Vinceremo questa battaglia? Domanda stupida.

La domanda intelligente è un’altra: servirà questa battaglia per rafforzare la solidarietà sociale, e l’intelligenza collettiva, mentre dobbiamo prepararci all’estendersi di una guerra i cui limiti sono ignoti?

Dobbiamo prepararci al precipizio, pare che non ci sia maniera di evitarlo.

Prepararsi da soli non serve.

La rivolta sociale ci renderà meno soli.

Un commento a “È il momento della rivolta sociale”

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