Viviamo ormai in una “democrazia senza popolo”? A mezza bocca, molti soloni del post-progressismo italico ormai ammettono che, ai loro occhi, quello che è veramente importante in una democrazia non è il dèmos, la sovranità popolare (che bisogna anzi neutralizzare). Perché quando il popolo si palesa, smentendo la narrazione mainstream sulle “magnifiche sorti e progressive” dell’Europa ordoliberale e sugli effetti del “pilota automatico” richiamato da Draghi, è un problema (come si è visto nel referendum costituzionale del 4 dicembre, il cui risultato infatti si cerca in tutti i modi di rimuovere). In un libro controcorrente e salutare rispetto al luogo-comunismo imperante (Democrazia senza popolo, Feltrinelli 2017), Carlo Galli prende invece posizione per una democrazia del popolo, analizzando la deriva del PD in quanto “partito del sistema”, che ha trovato in Renzi il suo compimento, ma viene da lontano: nelle contraddizioni di un soggetto politico senza identità, troppo light e allo stesso tempo bloccato da mille zavorre, che ha via via perso la sua vocazione a rappresentare i ceti popolari e il mondo del lavoro. Subalternità al ciclo neoliberale, europeismo di maniera, elitismo “migliorista” (officiato da Napolitano) hanno portato a errori esiziali, come il sostegno al governo Monti, da cui è derivato il fallimento della proposta neo-socialdemocratica – generosa ma troppo timida in tempi di stato di eccezione tecnocratico – di Bersani. Il libro di Galli è molto più di una cronaca dell’attuale Legislatura dall’interno del Parlamento. È un efficace tentativo di sottrarsi alla post-verità del sistema, per comprendere le ragioni che hanno condotto alla spoliticizzazione contemporanea, cioè alla perdita di sostanza sociale e culturale dei corpi intermedi. La causa fondamentale è il neoliberismo. Che, con il suo assolutismo fideistico, ha generato una crisi economica strutturale e disgregato i vincoli di solidarietà sociale, preparando il terreno a una ripoliticizzazione reattiva e polemica (il cosiddetto “populismo”), che smentisce la narrazione dominante. La svalutazione sistematica del lavoro e di tutto ciò che è pubblico ha generato una nuova questione sociale e degradato la qualità complessiva delle democrazie occidentali. Che fare? Galli pensa che si debba ripartire dallo Stato, per riconquistare autonomia democratica e fronteggiare la crisi della globalizzazione. E fa bene: quella post-statale è una retorica inefficace nel fare ordine e funzionale al dominio post-democratico della finanza globale. La lotta per la democrazia e per i diritti sociali ha bisogno di contesti concreti, politici e istituzionali, per essere realistica. Quindi il libro di Galli è anche una lezione per la sinistra, tanto riformista quanto radicale (a parole), che non riesce a pensare il potere e l’identità, e per questo balbetta di fronte alle grandi questioni del presente (la crisi dell’eurozona, la deflazione salariale e l’impoverimento del ceto medio, l’immigrazione), rifugiandosi in un buonismo astratto e ingannevole. Non è strano che proprio i ceti popolari che dovrebbe rappresentare l’abbiano abbandonata. Oggi l’energia politica, e anche alcuni temi sociali tipici di una vera sinistra, si trovano nel fronte antioligarchico, che perciò rappresenta il terreno da cui ripartire, anche per impedire che la nuova questione sociale slitti in lotta d’identità, cioè nella ricerca di capri espiatori. Ma per farlo, sostiene Galli, occorre radicalità dell’analisi (sulla globalizzazione, sull’Europa, sull’euro, sul Welfare, perché non è più tempo di bicchieri mezzi pieni), e capacità di operare una mediazione politica alta. La questione aperta è: come costruire un soggetto critico, alternativo al neoliberismo, in un ambiente neoliberale? I 5 Stelle danno espressione a una rabbia e a un disagio motivati (per certi aspetti tenendoli a freno), ma faticano a proporre un progetto alternativo. Quindi il loro problema è che mancano di radicalità, non che ne hanno troppa (soprattutto rispetto alle logiche neoliberali, dentro il cui orizzonte complessivo si muovono). Un eventuale “populismo di sinistra” potrebbe essere una risposta? Galli pensa giustamente a una politica egemonica. La sfida è provare a egemonizzare da sinistra le ragioni del “populismo”. Per far saltare il bunker tecnocratico, ma in nome di una democrazia sociale e inclusiva. Qui la scheda del libro
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