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Il titolo del film diretto e interpretato da Alberto Sordi nel 1974 ben si può adattare ai risultati del vertice di Washington del 9/11 luglio, che ha celebrato con toni trionfalistici il settantacinquesimo anniversario della NATO. Il lungo comunicato diffuso alla conclusione del vertice, più che una speranza, alimenta la certezza di una straordinaria corsa al riarmo, tanto gradita al complesso militare industriale. A Washington non sono emerse novità rispetto agli indirizzi strategici già assunti dalla NATO, ma è stato compiuto un ulteriore “passo in avanti” nella costruzione di un solido sistema di guerra dell’Occidente con il resto del Mondo.

Ma procediamo per gradi. La NATO, fondata sul Trattato siglato il 4 aprile 1949 da 12 Stati, è nata con la missione di rafforzare la capacità individuale e collettiva dei suoi membri di resistere a un attacco armato in Europa e nell’Atlantico settentrionale, cioè per fronteggiare sul piano militare e politico la minaccia (vera o presunta) proveniente dall’Unione sovietica, nel quadro di un acceso conflitto ideologico fra il comunismo e il “mondo libero”. Dopo l’89 la NATO ha vissuto una stagione di incertezza per la scomparsa del nemico. Questa stagione si è risolta quando nel 1997 l’amministrazione Clinton, stracciando gli accordi assunti con Gorbaciov, ha deciso di espandere la NATO a est, cominciando da Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Il passo successivo è stato quello di cambiare la “missione” della NATO, che ha superato la sua natura di patto difensivo e si è trasformata in un formidabile strumento militare, del tutto svincolato dal rispetto della Carta dell’ONU.

Questa nuova missione è stata sperimentata con l’aggressione alla Jugoslavia il 23 marzo 1999: 78 giorni di bombardamenti ininterrotti, volti a smembrare l’integrità territoriale della Jugoslavia attraverso la separazione del Kosovo. Nel summit per il suo cinquantenario a Washington il 23 e 24 aprile 1999, la NATO ha “superato” la sua natura di Patto difensivo, dichiarandosi competente a compiere azioni militari al di fuori dell’art. 5 del Patto atlantico, cioè a ricorrere alle armi anche in assenza di attacchi armati altrui. La sfida alla Russia è proseguita con l’inglobamento di quelle Repubbliche che una volta facevano parte dell’Unione sovietica (Lituania, Lettonia ed Estonia) e con la politica delle porte aperte per Ucraina e Georgia, deliberata a Bucarest il 2 aprile 2008.

Nel summit della NATO a Madrid il 29 e 30 giugno 2022 si è verificata una “svolta storica”, com’è stata definita dal suo stesso Segretario generale, Stoltenberg/Stranamore. Nel nuovo concetto strategico approvato a Madrid, la Russia è stata anche formalmente qualificata come il nemico. Secondo Carl Schmitt, una dichiarazione di guerra non è altro che l’individuazione di un nemico. Per individuare un nemico non è necessario che parlino i cannoni, quello che conta è l’ostilità, e l’ostilità è stata scritta nella pietra nel Nuovo Concetto Strategico. Contestualmente è stato deliberato un “pacchetto di assistenza globale rafforzato” all’Ucraina. A Madrid, per la prima volta nei documenti atlantici è comparsa la Cina, candidata al ruolo di nemico strategico, dopo la Russia, sebbene esterna all’area del Trattato del Nord Atlantico.

Il vertice della NATO a Vilnius l’11 e 12 luglio 2023 ha ribadito la condanna per la “unjustifiable and unprovoked” guerra di aggressione della Russia, e ha garantito la sua assistenza militare all’Ucraina per tutto il tempo necessario. A Vilnius si è parlato anche degli sforzi per raggiungere una pace “giusta e duratura”. A questo riguardo la NATO ha sposato la “formula di pace” di Zelensky, che prevede di raggiungere la pace attraverso l’umiliazione, la punizione e lo smembramento della Russia.

A Washington, della chimerica “formula di pace” di Zelensky non si è fatto nemmeno cenno, non vi è traccia di nessuna visione di una pace da raggiungere: la pace non è prevista. Quello che è previsto è l’intensificazione della guerra in Ucraina e l’escalation del confronto militare con la Russia nel teatro europeo, oltre ai soliti avvertimenti alla Cina, competitore strategico e futuro nemico dell’Alleanza. L’unico obiettivo perseguito per la soluzione del conflitto in atto è la sconfitta della Russia e la riconquista manu militari di quei territori che l’Ucraina non controlla più dal 2014, ivi compresa la Crimea, che costituisce una Repubblica autonoma inserita nella Federazione russa da oltre dieci anni.

La dichiarazione finale del summit va subito al sodo. La NATO accoglie “con favore gli annunci degli alleati volti a fornire all’Ucraina ulteriori sistemi critici di difesa aerea e altre capacità militari”. Vale a dire: sia benvenuta la fornitura di aerei di attacco come gli F16 e di missili capaci di colpire in profondità nel territorio della Russia. La NATO ci comunica che ha deciso di istituire una speciale missione di assistenza e addestramento militare (la NATO Security Assistance and Training for Ucraina: NSATU) “per coordinare la fornitura di equipaggiamento militare e formazione per l’Ucraina da parte di alleati e partner. Il suo scopo è quello di porre l’assistenza in materia di sicurezza all’Ucraina su una base duratura, garantendo un sostegno rafforzato, prevedibile e coerente”. La dichiarazione ci tiene a precisare che “la NSATU non renderà la NATO una parte del conflitto” (in questa fase devono morire soltanto gli ucraini). In conseguenza di questa missione viene “annunciato un impegno di assistenza alla sicurezza a lungo termine per l’Ucraina per la fornitura di equipaggiamento militare, assistenza e addestramento per sostenere l’Ucraina nella costruzione di una forza in grado di sconfiggere l’aggressione russa. Attraverso contributi proporzionali, gli alleati intendono fornire un finanziamento di base minimo di 40 miliardi di euro entro il prossimo anno e fornire livelli sostenibili di assistenza alla sicurezza affinché l’Ucraina possa prevalere”. Poiché quest’obiettivo non è a portata di mano, il progetto è quello di proseguire la guerra a tempo indeterminato, almeno fino a quando l’Ucraina non finirà gli uomini da sacrificare sul campo di battaglia.

Il vertice di Washington va subito al sodo anche in punto di corsa al riarmo e precisa: “Accogliamo con favore il fatto che più di due terzi degli alleati abbiano rispettato il loro impegno di almeno il 2% del PIL annuo di spesa per la difesa ed elogiamo quegli alleati che lo hanno superato. Gli alleati stanno facendo passi avanti: la spesa per la difesa degli alleati europei e del Canada è cresciuta del 18% nel 2024, l’aumento più grande degli ultimi decenni”. Ma il 2% non basta alla famelica industria militare dell’Occidente: “Riaffermiamo che, in molti casi, sarà necessaria una spesa superiore al 2% del PIL per rimediare alle carenze esistenti e soddisfare i requisiti in tutti i settori derivanti da un ordine di sicurezza più contestato”.

In questo tripudio di armamenti e di spese folli si inserisce una novità particolarmente allarmante, la decisione di schierare missili a lungo raggio in Germania, in particolare i missili Tomahawk e le nuove armi ipersoniche, dotate di testate nucleari, che offrono la possibilità di condurre attacchi di precisione a lungo raggio, aumentando la possibilità dello scoppio di una guerra nucleare, anche per errore. Di fronte a quest’annuncio i giornali italiani, in perfetto stile orwelliano, hanno denunciato le “minacce” di Mosca.

In questo modo è stato definitivamente seppellito il Trattato per l’eliminazione dei missili nucleari a raggio intermedio (INF), siglato l’8 dicembre 1987 tra Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov, da cui Trump si ritirò nel 2018. Questo scenario ci riporta alla mente gli anni più bui della Guerra fredda, quando il mondo viveva costantemente sotto la minaccia di un olocausto atomico. Dopo i “successi” dell’Alleanza, celebrati a Washington, prevediamo che le lancette del Doomsday Clock (l’orologio dell’apocalisse) si avvicineranno ancora di più alla mezzanotte.

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Un commento a “Finché c’è guerra c’è speranza”

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