Articolo pubblicato su “Transform!Italia” il 13.09.2023.
In un’epoca in cui la geopolitica è tornata prepotentemente in primo piano e la cooperazione internazionale è in fase di stallo, ci si deve chiedere quale senso e valore abbiano per la governance globale vertici come quello del gruppo G20 tenutosi a Nuova Delhi il 9-10 settembre. L’India aveva annunciato sei priorità di lavoro: sviluppo verde e finanza climatica, crescita inclusiva, economia digitale, infrastrutture pubbliche, trasformazione tecnologica e riforme per l’emancipazione delle donne per il progresso socio-economico. A giudicare dalla dichiarazione finale ben poco di nuovo è stato deciso in questi campi, mentre il fallimento del vertice è stato evitato solo grazie a un compromesso sulla questione del conflitto Russia-Ucraina, non citando direttamente la Russia. Il vertice ha rafforzato l’immagine dell’aspirante dittatore indiano Narendra Modi e ha evidenziato che i problemi e le sfide globali continuano a intensificarsi, mentre allo stesso tempo il senso di urgenza e di unità del mondo per superare le difficoltà, così come la sua volontà e capacità di affrontare le sfide globali, sono indeboliti da crescenti divisioni geopolitiche e geoeconomiche dovute alle lotte tra il blocco G7 (a guida USA), il blocco BRICS (a guida Cina-Russia) e l’emergente blocco del Sud Globale (che l’India ambisce a guidare). La sensazione è che stia diventando sempre più difficile per i paesi raggiungere un consenso, per non parlare di cooperare per portare avanti azioni comuni, sostanziali e credibili. Non a caso Modi aveva deciso che il tema del vertice fosse “Una Terra, una Famiglia, un Futuro” e ha esortato a passare dal “deficit di fiducia globale alla fiducia globale” e a indicare soluzioni concrete ai problemi globali.
Il Gruppo dei 20 (G20) ha incluso i 19 paesi con le maggiori economie del mondo e l’Unione Europea1. Un meccanismo multilaterale per la governance globale che si autodefinisce “il principale forum per la cooperazione economica internazionale”, anche se negli ultimi anni non si è più dimostrato molto efficace nella gestione delle crisi (come la pandemia, i cambiamenti climatici, la guerra Russia-Ucraina e le sue destabilizzanti conseguenze) e nel fungere da comitato direttivo dell’economia globale (peraltro in forte rallentamento, se non proprio in stagnazione e, almeno in Europa, in recessione) nell’era della “globalizzazione selettiva” (sul tema della “globalizzazione selettiva” si veda il nostro articolo qui).
Il vertice di Delhi (il diciottesimo del G20) innanzitutto è stato caratterizzato per rilevanti assenze – Vladimir Putin, Xi Jinping, il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador e il premier spagnolo Pedro Sanchez (per aver contratto il Covid-19) – che avevano smorzato di molto le aspettative di successo dell’evento. Se l’assenza di Putin era data per scontata perché strettamente legata al conflitto con l’Ucraina (la Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato di arresto contro di lui, anche se l’India non riconosce la giurisdizione della CPI)2, quella di Xi (la prima volta che ha saltato l’incontro annuale; sostituito dal premier Li Qiang) ha alimentato la speculazione che fosse legata alle differenze di punti di vista con il primo ministro indiano Narendra Modi a causa della crescente tensione sul confine himalayano condiviso e, soprattutto, ai tentativi degli Stati Uniti di corteggiare l’India e utilizzarla come sponda contro la Cina nella regione indo-pacifica3. Il 22-24 agosto sia Modi sia Xi hanno partecipato al forum dei BRICS di Johannesburg, dove i 5 Paesi fondatori del blocco (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) hanno deciso di far entrare altri 6 paesi (Etiopia, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran e Argentina), espandendo l’influenza del gruppo in settori quali l’energia e la sicurezza alimentare, e definendo una piattaforma che ambisce a promuovere la multipolarità della politica e della finanza globale in esplicito contrasto con “l’ordine internazionale basato sulle regole” sostenuto da Stati Uniti e altre potenze occidentali (sul vertice BRICS di Johannesburg si veda il nostro articolo qui).
In ogni caso, assenze che in un vertice di un gruppo come il G20, privo di un segretariato permanente e di una propria burocrazia (come invece hanno Banca mondiale o FMI), assumono un forte peso4. Vertici come il G20 sono preziosi perché offrono ai leader l’opportunità di scambi di opinioni diretti, spontanei e sinceri. Avere più di 20 leader mondiali, in gran parte senza troppo personale, in una stanza per due giorni è una rara opportunità. La vera azione in un incontro multilaterale come il G20, infatti, avviene nelle plenarie, ma soprattutto negli incontri bilaterali e privati nel corso dei quali si concludono i veri affari. Così l’assenza di Putin (sostituito dal ministro degli Esteri Sergej Lavrov) ha privato i partecipanti dell’opportunità di appellarsi direttamente a lui per porre fine alla guerra in Ucraina e alle sue ricadute, compreso il suo effetto sui prezzi dei prodotti alimentari.
Al tempo stesso, l’assenza di Xi ha offerto a Biden una grande opportunità per vendere la partnership americana – soprattutto a Modi5 – a spese della Cina (sull’avanzare di una Nuova Guerra Fredda abbiamo parlato nei nostri articoli qui, qui, qui e qui), sostenendo che un’alleanza globale guidata dagli Stati Uniti è una scommessa più sicura per i paesi del mondo rispetto alla Cina6. Soprattutto, ha offerto al padrone di casa, il primo ministro indiano Narendra Modi, di celebrare sé stesso e il suo regime, nonostante sia responsabile del declino democratico del suo paese con gravi discriminazioni e violazioni dei diritti umani contro la popolazione musulmana (200 milioni) e altre minoranze (linciaggi, molestie della polizia, maltrattamenti a scuola, etc.), e con severe limitazioni del diritto di informazione7 (questioni accuratamente ignorate nelle dichiarazioni pubbliche di tutti i leader occidentali, come denunciato dall’acclamata scrittrice e attivista Arundhati Roy). Modi è alla guida del paese più popoloso del mondo, una potenza economica in crescita che ambisce a fungere da contrappeso alla Cina e da ponte tra i paesi più poveri del mondo – il cosiddetto Sud Globale8 – e l’Occidente, paesi disponibili a lavorare con l’Occidente su alcune questioni e con Cina e Russia su altre. L’India è al centro dell’attenzione globale dopo il successo del suo atterraggio sulla superficie meridionale lunare e il lancio della sua prima missione di osservatorio solare. Le sue ambizioni sono sostenute da una crescita economica e demografica costante con il governo che prevede che l’economia cresca del 7% quest’anno (su politica, economia, società indiana e la figura di Nerendra Modi si vedano i nostri articoli qui, qui e qui).
Modi ha utilizzato il vertice per affermare il proprio culto della personalità in vista delle elezioni politiche nazionali previste nel 2024 e celebrare il nazionalismo e suprematismo indù e le ambizioni politiche, economiche e culturali del suo paese9, ma ha anche dimostrato di essere un abile navigatore nelle attuali acque agitate della geopolitica globale. È riuscito a sfatare le aspettative negative e ad ottenere il consenso su una dichiarazione congiunta dei leader mondiali con dei compromessi sul conflitto in Ucraina e sull’azione sul cambiamento climatico. Il consenso è stata una sorpresa, date le profonde divisioni all’interno del blocco di paesi, frutto di concessioni fatte dagli Stati Uniti e dagli altri paesi membri del G7. Nelle settimane precedenti al vertice, opinioni nettamente divergenti sulla guerra (un tema formalmente non all’ordine del giorno del vertice) avevano minacciato di far fallire l’incontro con i paesi occidentali che chiedevano ai membri di nominare Mosca come responsabile per l’invasione e la Russia (sostenuta dalla Cina) che affermava che avrebbe bloccato qualsiasi risoluzione che non avesse riflesso la sua posizione. Una possibilità molto concreta dal momento che i vertici ministeriali dei mesi precedenti erano tutti finiti senza una dichiarazione finale.
L’India, interessata a continuare a perseguire una strategia di “multi-allineamento” geopolitico e mantenere buone relazioni politiche ed economiche con la Russia10, è riuscita a convincere tutti i partecipanti a firmare una dichiarazione finale che è stata apprezzata dal ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov e, al tempo stesso, difesa dal segretario di Stato americano Anthony Blinken.
Assente Putin, Modi non ha invitato il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj (mentre l’anno scorso Zelenskyj aveva tenuto un discorso virtuale all’evento). Di fronte alla prospettiva di un grave imbarazzo diplomatico, l’India (sostenuta da Brasile e Sud Africa) ha esercitato pressioni sui membri occidentali affinché concordassero una dichiarazione comune che attenuasse la condanna della guerra in Ucraina contenuta nella dichiarazione del precedente vertice di Bali11. La dichiarazione ha denunciato l’uso della forza per ottenere guadagni territoriali, ma si è astenuta dal criticare direttamente la Russia nominandola. “Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, pur ricordando la discussione di Bali, abbiamo ribadito le nostre posizioni nazionali e le risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e dall’Assemblea Generale dell’ONU“, si legge nella dichiarazione, rilevando che “In linea con la Carta dell’ONU, tutti gli Stati devono astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza per perseguire l’acquisizione territoriale contro l’integrità territoriale e la sovranità o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato. L’uso o la minaccia di uso di armi nucleari è inammissibile”, si legge nella dichiarazione. “Chiediamo a tutti gli Stati di sostenere i principi del diritto internazionale, tra cui l’integrità territoriale e la sovranità, il diritto internazionale umanitario e il sistema multilaterale che salvaguarda la pace e la stabilità. Noi… accogliamo con favore tutte le iniziative pertinenti e costruttive che sostengono una pace globale, giusta e duratura in Ucraina”, aggiunge il testo.
Il portavoce del Ministero degli Affari Esteri ucraino Oleg Nikolenko ha criticato la dichiarazione, affermando che “l’Ucraina è grata ai suoi partner che hanno cercato di includere una formulazione forte nel testo. Allo stesso tempo, per quanto riguarda l’aggressione della Russia contro l’Ucraina, il G20 non ha nulla di cui essere orgoglioso”.
Il primo ministro indiano Narendra Modi ha aperto i lavori del G20 dando il benvenuto all’Unione Africana (UA) come nuovo membro del blocco. Ha invitato il presidente dell’UA Azali Assoumani a sedersi accanto ai leader mondiali al tavolo del vertice. L’entrata della UA nel blocco è stata un’iniziativa voluta da Modi (e sostenuta da Cina e Indonesia) che ha descritto questo vertice come il momento in cui l’India ha raggiunto la maggiore età diplomatica e la presidenza del suo paese come un’opportunità per dare voce ai bisogni del Sud Globale. L’UA a pieno regime conta 55 membri, ma sei nazioni governate dai militari sono attualmente sospese (su questo tema si veda il nostro articolo qui). Ha un PIL collettivo di 3 trilioni di dollari con circa 1,4 miliardi di persone. L’UA ha costantemente sostenuto l’attuazione di riforme rispetto alle istituzioni finanziarie globali e al modo in cui lo sviluppo viene finanziato12. Spinge per la riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in cui chiede di essere ammessa come membro permanente.
Sia la Cina sia l’India sono impegnate a favore dei paesi emergenti e del Sud Globale. Ma questa è anche un’area in cui gli interessi dei due paesi si scontrano. Il Sud Globale è molto importante sia per l’India che per la Cina. Entrambi i paesi – essendo i più grandi paesi in via di sviluppo del mondo – sono consapevoli delle proprie credenziali nel rappresentare il Sud Globale nei principali forum globali. Ciò è particolarmente vero quando gran parte del Sud Globale soffre pesantemente di alcuni dei maggiori problemi del mondo: la crescente incidenza dei cambiamenti climatici ha causato eventi meteorologici estremi; oneri debitori elevati e mancanza di risorse per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG); e notevoli deficit nelle infrastrutture economiche e sociali per la fornitura di beni pubblici. Molti paesi in via di sviluppo sono frustrati dall’incapacità del mondo sviluppato, in particolare del G7, di sostenerli nell’affrontare efficacemente i loro problemi comuni.
Cina e India, in virtù del peso che detengono negli ordinamenti economici e politici globali, sono probabilmente in una posizione migliore per articolare e affrontare la difficile situazione del Sud del mondo. Per entrambi, avere la comunità del Sud del mondo come alleato a lungo termine consente loro di assumere posizioni inclusive su questioni globali e di influenzare il processo decisionale negli organismi globali a beneficio di ampie fasce della popolazione globale emarginata. La collaborazione con i membri del Sud del mondo comporta inoltre vantaggi per entrambi i paesi, consentendo loro di accedere a risorse minerarie ed energetiche critiche non sfruttate e incanalando esportazioni e investimenti in nuovi mercati.
La rivalità sino-indiana nel collegamento con il Sud del mondo è già visibile nello sviluppo delle infrastrutture. La BRI cinese – la sua strategia economica di punta per conquistare alleati nel Sud del mondo – ha rallentato a causa del crescente indebitamento di molti beneficiari. L’India è stata una strenua critica della BRI e sta cercando di collaborare con altri importanti finanziatori globali di infrastrutture, come l’UE e il Giappone, per fornire scelte di finanziamento sostenibili ai paesi con carenze infrastrutturali. Ma con i flussi di capitale globali che devono ancora riprendersi dalle incertezze causate dal Covid-19 e dal conflitto in corso in Ucraina, questi sforzi di finanziamento collaborativo potrebbero richiedere molto tempo per prosperare.
L’India non considera la Cina come una voce del Sud Globale, ma come un Paese ormai economicamente sviluppato che cerca di intromettersi nella narrativa del Sud del mondo e di trasformare il gruppo BRICS in un’organizzazione di sostegno all’agenda geopolitica cinese, come la promozione della Belt and Road Initiative (sostenuta dalla Asian Infrastructure Investment Bank), della Global Development Initiative (accompagnata dalla Global Security Initiative e dalla Global Civilization Initiative), dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (che comprende tra i suoi membri oltre alla Cina, anche Russia e India) e dell’esplicita retorica anti-americana (sulle proposte cinesi si vedano i nostri articoli qui e qui). L’India e soprattutto Modi non hanno alcun interesse a plasmare la politica estera indiana in una direzione antioccidentale anche perché punta ad essere una destinazione di investimento alternativa alla Cina per costruire “more resilient supply chains”. I BRICS sono stati concepiti come una piattaforma geoeconomica, ma l’India teme che stiano scivolando verso un ruolo geopolitico e non si sente a proprio agio con questa deriva.
Invece, l’India ha concentrato le discussioni e le attività dei BRICS su progetti di cooperazione economica e finanziaria Sud-Sud, iniziative per ridurre la dipendenza globale dal sistema finanziario e di pagamento internazionale basato sul dollaro statunitense e riforme delle istituzioni finanziarie internazionali per dare ai Paesi in via di sviluppo più voce e rappresentanza. Il Sudafrica ha seguito questo approccio nel formulare il tema dell’ultimo vertice: “BRICS e Africa: partenariato per una crescita reciprocamente accelerata, uno sviluppo sostenibile e un multilateralismo inclusivo”. Per rafforzare la propria attenzione sull’Africa, il Sudafrica aveva invitato i leader di tutti i Paesi africani a partecipare al vertice.
Nel suo periodo di massimo splendore, il G20 è stato un forum produttivo per gettare le basi per i progressi nei negoziati delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (a cominciare dall’Accordo di Parigi del 2015-16). Questo ora, purtroppo con “un pianeta in ebollizione”, è diventato oltre il regno delle possibilità. I leader dei paesi del G20 non sono riusciti a raggiungere un accordo sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili nonostante un recentissimo rapporto delle Nazioni Unite ritenesse la riduzione “indispensabile” per raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette. L’impegno a “ridurre gradualmente” piuttosto che a “eliminare gradualmente” il carbone è rimasto lo stesso, e alcuni combustibili fossili come petrolio e gas non sono stati neanche menzionati.
I paesi del G20 rappresentano circa l’80% delle emissioni globali e l’incapacità di trovare un accordo sulla loro eliminazione graduale è un’ombra su un ciclo chiave di discussioni sul clima che inizierà a novembre negli Emirati Arabi Uniti.
Il presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva ha affermato durante il vertice che nel mondo prevale la mancanza di impegno per l’ambiente, che porta a un’emergenza climatica senza precedenti. Ha affermato che dalla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP) tenutasi a Copenaghen, in Danimarca, nel 2009, i paesi ricchi avrebbero dovuto fornire 100 miliardi di dollari all’anno in nuovi e aggiuntivi finanziamenti per il clima ai paesi in via di sviluppo, ma quella promessa non è mai stata mantenuta. Ciò dimostra che le divergenze tra paesi sviluppati e in via di sviluppo rimangono irrisolte sulla questione del cambiamento climatico, ed è improbabile che i paesi occidentali sviluppati mantengano le loro promesse in futuro.
Ma per la prima volta, la dichiarazione del G20 ha sostenuto l’obiettivo di triplicare la capacità globale di energia rinnovabile e ha fatto riferimento alla necessità che le emissioni raggiungano il picco prima del 2025. Ha inoltre riconosciuto che limitare il riscaldamento a 1,5 gradi richiederà una riduzione dei gas serra del 43% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, e Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, si sono impegnati a investire almeno 4 miliardi di euro in energie rinnovabili e idrogeno nelle economie in via di sviluppo attraverso il “piano Global Gateway” dell’UE nei prossimi 5 anni. Inoltre, i leader hanno annunciato la Global Biofuel Alliance (GBA) volta a facilitare la cooperazione internazionale e intensificare l’uso di biocarburanti sostenibili.
Sabato pomeriggio, Biden e i leader di India, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Unione Europea, Germania, Francia e Italia hanno annunciato piani infrastrutturali ambiziosi, alternativi a quelli del programma cinese della Via della Seta (la Belt and Road Initiative – BRI – lanciata da Xi nel 2013), per creare una “Via delle Spezie” che colleghi India, Medio Oriente, Israele e Europa (attraverso i porti israeliani)13. Se la “India-Middle East-Europe Economic Corridor Partnership” (IMEC) andasse avanti, creerebbe ferrovie, rotte marittime, porti, reti elettriche e di dati e gasdotti per l’idrogeno in tutto il Medio Oriente, in contrapposizione alla corposa spesa infrastrutturale cinese più a nord, accelerando potenzialmente il commercio tra India ed Europa fino al 40% (al momento l’India è solo il decimo esportatore in Europa, per un valore pari solo al 2% del totale dell’import europeo). I piani vengono anche pubblicizzati (si veda qui, qui, qui e qui) come parti di un mega accordo che dovrebbe contribuire a normalizzare le relazioni tra Israele, l’Arabia Saudita e gli altri stati arabi del Golfo (in linea con gli “Accordi di Abramo” firmati dagli Emirati Arabi Uniti e dal Bahrein con Israele nel 2020), prima delle elezioni presidenziali americane del novembre 2024. Gli Emirati Arabi Uniti hanno già firmato Accordi di partenariato economico globale per il libero scambio (CEPA) con Israele e India e sono entrati in due blocchi mini-laterali: l’I1U2 o Quad dell’Asia Occidentale (2021), con Stati Uniti, India e Israele, e l’Iniziativa di Cooperazione Trilaterale (2022), con India e Francia. Le questioni affrontate attraverso il progetto IMEC sono state incluse nel “Partenariato strategico dell’UE con il Golfo”: il documento, presentato nel 2022, definisce il Golfo come una “porta tra Europa, Asia e Africa”. Per l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, divenuti di recente membri del gruppo BRICS, il progetto del corridoio rappresenta un’opportunità per dare concretezza alla posizione multipolare propugnata dal gruppo e per consolidare in Asia i rapporti con l’India, come alternativa a quelli già forti con la Cina.
Modi ha affermato che il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa promette di essere “un faro di cooperazione, innovazione e progresso condiviso”. Biden ha detto che si tratta di un “investimento rivoluzionario”. Von der Leyen lo ha descritto come “molto più di una semplice ferrovia o un cavo”. “È un ponte verde e digitale che attraversa continenti e civiltà”, ha affermato.
Al di là delle implicazioni diplomatiche e geopolitiche, i funzionari statunitensi hanno affermato di sperare che un simile accordo sulle infrastrutture possa ridurre i tempi di spedizione, i costi e l’uso del diesel e rendere il commercio più veloce ed economico.
I piani annunciati dovrebbero fare parte del programma “Partenariato per le infrastrutture e gli investimenti globali” (PGII), promosso dagli Stati Uniti nell’ambito del G7 per proporre Washington come partner e investitore nei paesi in via di sviluppo, in particolare nella regione dell’Indo-Pacifico. “Riteniamo che il progetto in sé sia audace e trasformativo, ma la visione alla base del progetto è altrettanto audace e trasformativa, e lo vedremo replicato anche in altre parti del mondo”, ha affermato Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale di Biden.
I leader non hanno specificato chi e come si pagherà il progetto (solo Mohammed bin Salman ha detto che l’Arabia Saudita potrà investire 20 miliardi di dollari) e quali sono le valutazioni economiche su cui poggia. Al momento la PGII prevede un impegno a mobilitare risorse per 600 miliardi di dollari per sostenere i paesi a basso e medio reddito nella costruzione di infrastrutture sostenibili. L’iniziativa è allineata con la Global Gateway, lanciata dalla Commissione Europea nel 2021 per mobilitare finanziamenti fino a 300 miliardi di euro per progetti infrastrutturali nei paesi in via di sviluppo.
Un gruppo di lavoro elaborerà piani più completi nei prossimi 60 giorni, inclusa una tempistica per la costruzione dell’infrastruttura. Sullivan ha affermato che le discussioni sul progetto erano iniziate nel luglio dello scorso anno durante la visita di Biden in Arabia Saudita14.
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