Ormai è passato un mese dall’inizio dell’attacco israeliano contro la Striscia di Gaza. La furia di Israele non si è placata neanche per un attimo. In trenta giorni di intensi bombardamenti sono stati provocati oltre 10.000 morti fra la popolazione civile (tra cui 4.104 bambini e 2.641 donne), mentre i feriti hanno superato quota 25.000. Un livello di distruzione e morte spaventoso se si considera che in Ucraina, dopo 18 mesi di guerra, alla data del 24 agosto 2023, Save the Children ha stimato in 545 il numero dei bambini uccisi. Israele ha distrutto quasi il 50% delle abitazioni, ha bombardato ripetutamente i campi profughi, ha bombardato ospedali, chiese, moschee, scuole delle Nazioni Unite e altri luoghi di rifugio per la popolazione civile. Ha colpito le ambulanze che cercavano di evacuare i feriti in Egitto, ha bloccato le forniture di cibo, acqua, medicinali, energia e carburanti a una popolazione di oltre due milioni di persone. Non è ben chiaro quali siano gli scopi perseguiti da Israele e cosa accadrà quando la tempesta di fuoco si sarà esaurita. Secondo l’ex ambasciatore di Israele Dror Eydar, “per noi c’è un unico scopo: distruggere Gaza, distruggere questo male assoluto”. Distruggere Gaza significa compiere un genocidio, per questo non si possono prendere con leggerezza le dichiarazioni del ministro del Governo israeliano, Amichai Eliyahu, esponente del partito “potere ebraico” che ha detto che l’utilizzo della bomba atomica su Gaza è, a suo giudizio, “una delle possibilità in campo”. Una bomba atomica potrebbe consentire di portare a termine rapidamente, e con poca spesa, il lavoro di distruzione di Gaza. Naturalmente è un obiettivo impossibile, però il fatto che divenga oggetto di discussione negli ambienti del Governo israeliano, dimostra che, al di là della vendetta, l’operazione “Spade di ferro”non si comprende dove voglia andare a parare. Non si può dire che non esistano dei piani. Il 28 ottobre è stato pubblicato un documento diffuso dal Ministero dell’Intelligence, datato 13 ottobre, intitolato “Opzioni per una politica riguardante la popolazione civile di Gaza”. Le tre opzioni previste sono:
(a) i residenti di Gaza rimangono nella Striscia e sono governati dall’Autorità Palestinese;
(b) La popolazione di Gaza rimane nella Striscia e lì viene stabilita un’autorità araba locale;
(c) La popolazione civile viene evacuata da Gaza nel Sinai.
Il documento ritiene che le opzioni (a) e (b) soffrano di carenze significative, soprattutto perché nessuna delle due può fornire un sufficiente “effetto deterrente” a lungo termine. Per quanto riguarda l’opzione (c), il documento afferma che “produrrà risultati strategici positivi a lungo termine per Israele” ed è “realizzabile”. In sostanza gli analisti prospettano l’espulsione di tutti gli abitanti della striscia di Gaza (oltre 2 milioni di persone) come una soluzione realistica e vantaggiosa per Israele. In realtà si tratta di un wishful thinking che seduce la destra israeliana ma che non ha nessuna possibilità reale di essere impiantato. La Giordania ha già avvertito Israele: spostare gli abitanti da Gaza sarebbe dichiarazione di guerra, “non ci sono patrie alternative”. Non c’è dubbio che l’Egitto la pensi nello stesso modo. Se Israele intendesse veramente espellere nel Sinai la popolazione di Gaza, si troverebbe probabilmente in guerra con Egitto, Giordania, Libano e Siria.
L’ipotesi di reinstallare a Gaza il governo dell’ANP, come apparentemente suggerito da Blinken, è altrettanto irrealistica. L’ultima cosa che potrebbe fare Abu Mazen è di recarsi a Gaza a bordo di un carro armato israeliano. In realtà non si profila all’orizzonte alcuna prospettiva politica che possa restaurare la pace nella regione. Oltre la vendetta, il governo israeliano non è capace di indicare nulla.
Quello che rende ancora più fosca la tragedia di Gaza, è il fatto che anche gli altri attori internazionali non sono in grado di indicare alcuna soluzione del conflitto, che rischia di trascinarsi per l’eternità.
A questo punto deve intervenire la Comunità internazionale attraverso l’ONU per definire lo status giuridico di Gaza, almeno con una soluzione transitoria. Dopo tanti lutti e sofferenze, non si può consentire che Gaza diventi di nuovo un territorio occupato da Israele, né in via diretta, né in via indiretta attraverso l’assedio, com’è avvenuto dal 2006 con i risultati disastrosi che sono sotto gli occhi di tutti. La Striscia di Gaza deve essere distaccata da Israele con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, adottata a norma del Cap. VII della Carta, come in passato avvenne per il Kosovo che fu distaccato dalla Serbia e sottoposto a una amministrazione ad interim delle Nazioni Unite, in virtù della Risoluzione 1244 del 10 giugno 1999. Un’amministrazione civile e militare dell’ONU dovrebbe procedere al disarmo di Hamas, che potrebbe restare attivo come partito politico, assieme ad altri, affrontare tutte le emergenze causate dalla guerra, ripristinare i collegamenti aerei e marittimi della Striscia con il resto del mondo, avviare la ricostruzione e ogni altro programma indispensabile per consentire alla popolazione civile di superare i traumi prodotti dai massacri e dalle privazioni causate dai lunghi anni di assedio a cui sono stati sottoposti. È un libro dei sogni? No sarebbe una soluzione molto più realistica delle tre opzioni che Israele ha messo in campo senza poterle attuare.
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