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Chissà se il nome di Frank Böwe, oscuro (per il momento) amministratore locale di Ruhla, altrettanto oscura cittadina della Turingia, passerà alla storia. Magari sì, giacché ha segnato un record, un precedente che potrebbe avere conseguenze al momento imprevedibili ma chissà… Böwe è il primo politico tedesco che rappresenta insieme la CDU e Alternative für Deutschland: è consigliere comunale cristiano-democratico nel suo comune e membro del Kreistag (qualcosa che corrisponde più o meno al nostro consiglio provinciale) di Wartburg, il distretto di cui Ruhla fa parte. Pochi, forse, se ne erano accorti finché in vista nelle ultime elezioni il bi-consigliere ha pensato bene di fare contemporaneamente due campagne, una con i colori cristiano-democratici e l’altra sotto le insegne di AfD. I dirigenti della CDU si sono alquanto risentiti, ma a quanto pare, non c’è niente nelle leggi elettorali che proibisca un simile sdoppiamento politico della personalità. Non sappiamo com’è finita la storia, se Böwe ha rinunciato a una delle sue identità politiche, e nel caso a quale, oppure continua nella sua doppia performance.

Visto che siamo in Turingia, restiamoci. Nel febbraio del 2020 un titolo della Süddeutsche Zeitung evocava “i sette giorni che hanno terremotato la Germania”. La settimana terribile era quella tra il 5 febbraio quando il parlamento regionale della Turingia elesse Ministerpräsident del Land il liberale Thomas Kemmerich e il 12 dello stesso mese, quando arrivarono le clamorose dimissioni di Annegret Kamp-Karrenbauer, ministra federale della Difesa (succeduta a Ursula von der Leyen migrata a Bruxelles) ma soprattutto presidente della CDU, delfina designata alla successione ad Angela Merkel come candidata alla cancelleria e tanto vicina alla potente cancelliera da essersi meritata il nomignolo di MiniMe, Minimerkel.

Era successo che, entrato in crisi il precedente governo regionale formato da SPD e Linke, la sinistra radicale, nel parlamento regionale, in modo del tutto inaspettato, si era formata una estemporanea maggioranza formata dai deputati della CDU, della liberale FDP e di Alternative für Deutschland che aveva eletto Kemmerich alla presidenza del Land. Era la prima volta assoluta che un governo regionale (che nel sistema federale tedesco ha molti poteri) veniva formato con i voti degli estremisti di destra. Molto estremisti, oltretutto, perché AfD in Turingia faceva, e fa, capo alla corrente più lontana dalle forme, le consuetudini e gli ideali della democrazia parlamentare: der Flügel (l’ala) che si era già meritata all’epoca le attenzioni del Verfassungsschutz, l’organismo federale di protezione della Costituzione, che ne aveva imposto ai dirigenti del partito lo scioglimento. Con comprensibili ragioni, visto che il suo capo, tale Björn Höcke, si era prodotto in almeno 25 esternazioni punibili dalla legge tedesca che proibisce la propaganda nazista. Quella, solo per fare un paio di esempi, in cui si era lamentato del fatto che “noi tedeschi siamo l’unico popolo al mondo che ha piazzato nel cuore della sua capitale un monumento alla vergogna”, intendendo il memoriale all’Olocausto degli ebrei a Berlino, oppure l’urgenza di superare il “problema” che consisterebbe nel rappresentare Hitler “come il male assoluto”.

Il non possumus in soffitta

Angela Merkel, dal Sudafrica dove si trovava in visita di Stato, ordinò alla presidente del partito di sconfessare il voto dei deputati cristiano-democratici e di ritirare l’appoggio a Kemmerich, ma i dirigenti locali non vollero saperne. Kamp-Karrenbauer non seppe imporsi e fu costretta alle dimissioni mentre la Germania intera scopriva che quello che era considerato un consolidato non possumus democristiano nei confronti degli estremisti alla loro destra si era sgretolato, almeno in Turingia.

Solo in Turingia? Vedremo. Intanto va detto che più che altro, ma non solo, nei Länder dell’est al livello locale più basso il non possumus era stato, all’epoca, qua e là già mandato in soffitta. Senza arrivare al paradosso impersonato dal bi-consigliere Böwe, accordi locali a livello comunale e inciuci, per dirla all’italiana, con personaggi di AfD erano (e continuano a essere) praticati e – va detto anche questo – non soltanto dalla CDU e in Baviera anche dall’altro partito democristiano, la CSU, ma anche talora dai socialdemocratici, i liberali, i verdi e perfino, in qualche caso, dal partito della sinistra-sinistra Die Linke. Ma si sa: un po’ dappertutto la politica nei piccoli centri sfugge spesso e volentieri ai principii dettati dalla grande politica dei partiti nazionali…

La questione, al livello politico più alto, va posta, semplificandola al massimo, nei termini seguenti: quanto sta reggendo, e reggerà, tra le file moderate e conservatrici tedesche la conventio ad excludendum nei confronti della destra estrema? Quanto resteranno fedeli la CDU e la CSU alla perentoria raccomandazione del guru indiscusso della destra tedesca, la buonanima di Franz Josef Strauss, secondo il quale “alla nostra destra ci deve essere soltanto il Muro”? Principio che poteva essere letto come l’intenzione di combattere e sconfiggere le posizioni dell’estrema destra fino ad annichilirle, ma anche come il proposito di svuotare il mare in cui gli estremisti navigano facendo proprie le loro istanze e correndo dietro alle pulsioni del loro elettorato. Cosa, quest’ultima, che la CSU dei successori di Strauss in Baviera ha praticato alla grande, specie in materia di politiche sull’immigrazione, ma che anche la CDU dell’ovest e più ancora quella dell’est non hanno mancato di perseguire.

Di nuove due Germanie

Un’idea di quanto il problema sia delicato ce la si può formare dando un’occhiata alla mappa elettorale della Germania così com’è stata disegnata dai risultati delle ultime elezioni europee. L’ovest è tutto coperto dal grigio-nero della CDU-CSU con qualche timida isoletta rosa o verde; l’est, eccetto l’isola di Berlino, e minuscole macchiette che corrispondono alle città di Erfurt, Jena e Weimar è tutto blu, il colore che per sé ha scelto Alternative für Deutschland e fa impressione come i contorni del paese della destra trionfante coincidano esattamente con il vecchio confine tra le due Germanie, segnalando l’enormità dei problemi ancora non risolti sollevati dal modo in cui si è giunti alla riunificazione tedesca. Manca solo il Muro.

La mappa ci racconta che l’AfD è di gran lunga prima in tutti i Länder della fu DDR con percentuali che vanno dal 30,5% al 22,5% (in dettaglio: 30,5% in Sassonia-Anhalt, 28,2% nel Meclemburgo-Pomerania anteriore, 27,5% nel Brandeburgo, 25,3% in Sassonia, 22,5% in Turingia) e hanno l’11,6% a Berlino. Inoltre ha ottenuto un considerevole successo con percentuali che vanno dall’11,6% di Berlino al 16,4% del Meclemburgo anche il partito appena fondato dalla ex carismatica stella della Linke Sahra Wagenknecht che ha portato molti elettori dell’estrema sinistra sulla alleanza che porta il suo nome (BSW).

Basta fare due conti per capire che, a parte Berlino, l’unica formula di governo nelle regioni dell’est che escluda l’estrema destra è un’alleanza di tutti gli altri partiti, un’Union Sacrée in nome della democrazia e anche della decenza politica nonché del buon nome della Germania nel mondo. Ma la condivisione del potere con i socialdemocratici, i verdi, i liberali e eventualmente anche la Linke o il nuovo populismo di sinistra del BSW sarebbe un rospo molto, molto indigesto per i cristiano-democratici dell’est e anche dell’ovest.

Questa è la situazione. E il tempo per affrontarla è pochissimo: il primo settembre si vota per il rinnovo dei parlamenti regionali in Turingia e in Sassonia. Quando il giorno successivo alla proclamazione dei risultati delle europee i giornalisti lo hanno incalzato, dal presidente della CDU Friedrich Merz hanno raccolto una dichiarazione che corregge sostanzialmente la linea d’azione che lui stesso aveva indicato prima del voto e che suonava come un no secco a ogni compromesso con l’estrema sinistra e con l’estrema destra. Nelle realtà locali – ha detto non prima di aver rivolto alla SPD un cauto invito alla collaborazione – si legifera e si governa su materie che non determinano la politica nazionale, non riguardano la politica estera, la difesa del paese o le grandi scelte economiche. Allora bisogna vedere che cosa si può fare alla luce dei risultati elettorali”. Lo stesso Merz e altri esponenti non hanno voluto escludere che qualche compromesso, intanto, si potrebbe trovare con i populisti di sinistra del partito di Sahra Wagenknecht, ma parrebbe sottinteso che l’ipotesi riguarderebbe anche l’estrema destra: si tratterebbe solo di determinare il livello (regionale, distrettuale, comunale?) fino al quale le intese sarebbero possibili. Con l’ovvia considerazione, comunque, che per essere utili l’asticella dovrebbe essere fissata al livello più alto, subito sotto quello federale: il governo dei Länder.

Questo per quanto riguarda la politica ufficiale. Ma poi c’è un terreno, assai più scivoloso, che riguarda gli orientamenti e le propensioni che si percepiscono nel corpaccione dell’Unione democristiana (CDU e CSU) e che riflettono lo spostamento a destra avvenuto con il passaggio delle consegne dal gruppo dirigente che si era formato intorno alla ex cancelliera Merkel a quello di Merz, che già all’epoca del cambio era profilato ben più a destra. Ci sono ambienti dei due partiti conservatori per i quali il non possumus della linea ufficiale non valeva ormai già da tempo. Qualche mese fa sono uscite corpose indiscrezioni sull’esistenza di aree grigie in cui cristiano-democratici e cristiano-sociali discutono e condividono non solo idee ma anche qualche più preciso piano politico sul futuro della Repubblica federale con personaggi dell’estrema destra.

Il settimanale Der Spiegel ha rivelato che uno dei luoghi d’incontro e di raccordo tra la destra democristiana, AfD e altre formazioni estremistiche austriache e di altri paesi era (o è) nel quartiere berlinese di Zehlendorf la sede di una Burscheschaft (le congreghe universitarie della tradizione reazionaria prussiana e austriaca) chiamata Gothia. Qui vari esponenti della CDU berlinese, tra i quali una personalità in vista come l’ex ministro regionale delle Finanze Peter Kurth, erano soliti organizzare discussioni e seminari politici con membri di AfD, del partito di estrema destra austriaco e “cani sciolti” della galassia xenofoba, razzista, islamofoba e apertamente nazisteggiante che ruota intorno agli “alternativi” e al più vecchio partito neonazista della NPD. Kurth avrebbe anche finanziato l’acquisizione di un cospicuo patrimonio abitativo e, soprattutto, avrebbe partecipato alle riunioni in cui venne messo a punto il famigerato piano di “re-migrazione” che prevedrebbe la cacciata di tutti gli stranieri presenti nella Repubblica federale e in Austria. Si tratta del programma che, venuto alla luce all’inizio di quest’anno, provocò un’ondata di manifestazioni contro AfD e in difesa della democrazia in tutta la Germania.

Dato il carattere quasi cospirativo che hanno queste zone grigie è difficile dire quanta parte della destra democristiana tedesca ne sia coinvolta, anche se ci sono buone ragioni per credere che si tratti di fenomeni contenuti, almeno per il momento. Quello che deve preoccupare chi ha a cuore la salute e il buon funzionamento della democrazia in Germania, ma anche in tutta Europa, è che da molto tempo è percepibile una precisa strategia delle destre, quelle estreme e quelle almeno apparentemente più moderate, di rovesciare gli assetti politici tradizionali con l’obiettivo di cacciare dal potere i socialisti, i verdi, le sinistre e i liberaldemocratici e costringere i moderati a nuove alleanze che sostituiscano le sovranità nazionali a quella dell’Unione europea e dei paesi che la compongono. Cominciando, intanto, dai Länder tedeschi.

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